ALDO MORO PER UNA «PACE IN SICUREZZA» NEL MEDITERRANEO
2025/5, p. 44
Quando il mare è in tempesta conviene sempre ancorarsi a qualcosa di stabile, che aiuti a orientarsi e a orientare la propria rotta di navigazione. Così, in questi tempi di grande caos internazionale, vale la pena prendere in mano la lezione di uno dei più grandi statisti italiani: Aldo Moro. Leonardo Gnisci, studioso di politica e di storia delle relazioni internazionali, ha curato un interessante volumetto dal titolo "La diplomazia dell’equilibrio – Aldo Moro e la dimensione euromediterranea della politica estera italiana". Il saggio racconta le principali direttive seguite da Moro negli anni da Presidente del Consiglio (1963-68 e 1974-76) e da Ministro degli Esteri (1969-74). Sono spunti di rifessione tuttora utili per capire la fase storica che stiamo attraversando e per trovare qualche possibile soluzione.
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NEL SOLCO DI DE GASPERI E MATTEI
Aldo Moro per una «pace in sicurezza»
nel Mediterraneo
Quando il mare è in tempesta conviene sempre ancorarsi a qualcosa di stabile, che aiuti a orientarsi e a orientare la propria rotta di navigazione. Così, in questi tempi di grande caos internazionale, vale la pena prendere in mano la lezione di uno dei più grandi statisti italiani: Aldo Moro. Leonardo Gnisci, studioso di politica e di storia delle relazioni internazionali, ha curato un interessante volumetto dal titolo La diplomazia dell’equilibrio – Aldo Moro e la dimensione euromediterranea della politica estera italiana. Il saggio racconta le principali direttive seguite da Moro negli anni da Presidente del Consiglio (1963-68 e 1974-76) e da Ministro degli Esteri (1969-74). Sono spunti di riflessione tuttora utili per capire la fase storica che stiamo attraversando e per trovare qualche possibile soluzione.
FEDERICO COVILI
Nel solco di De Gasperi e Mattei
Innanzitutto, la politica estera di Aldo Moro si inserisce nel solco già tracciato da De Gasperi e dai governi democristiani del dopoguerra. Si tratta innanzitutto di scelte verso Nato e Comunità Europea che oggi ci appaiono abbastanza scontate, ma che all’epoca furono contrastate e per nulla condivise. L’Alleanza atlantica vide una fiera opposizione da parte di socialisti e comunisti, oltre che l’ostilità di una parte significativa della sinistra democristiana (Dossetti, La Pira, Gronchi…). E anche la scelta della Comunità Europea fu una strada per nulla unanime. Si trattava di un sentiero che, nel pensiero di De Gasperi, avrebbe dovuto portare a una Europa federale, inclusa quella Comunità Europea di Difesa (Ced) che poi non riuscì a realizzarsi secondo le ambizioni prefissate (e sappiamo quanto lo statista trentino soffrì per questo, nelle settimane prima di morire). L’altro solco piuttosto chiaro della politica estera del dopoguerra era quello tracciato dall’Ente nazionale idrocarburi (Eni) di Mattei: inserirsi nelle dinamiche di scontro tra ex potenze coloniali e forze del terzo mondo, offrendo condizioni vantaggiose dal punto di vista economico e le conoscenze di un paese che cresceva a grande velocità, ma che aveva fame di materie prime e fonti energetiche. La crisi di Suez del 1956 rappresentò un’occasione ghiotta: il fallimento della spedizione anglo-francese in Egitto permise all’Italia di presentarsi come «migliore amica» delle nazioni emergenti, perseguendo anche una politica di massimizzazione degli interessi economici italiani. L’Eni di Mattei forniva il know-how (competenza tecnica) e garantiva agli Stati emergenti profitti molto vantaggiosi, positivi anche sul piano politico e diplomatico. Moro proseguì e intensificò questo ruolo del nostro paese.
Pace nella sicurezza e sicurezza nella pace
Secondo Gnisci, per comprendere l’azione di Aldo Moro in politica internazionale, è necessario distinguere fra quelle che erano le sue convinzioni etiche – con gli orizzonti di ampio respiro che immaginava per l’avvenire – e le azioni di realpolitik (politica realistica) per cui era necessario, a volte, ingoiare qualche boccone amaro o esibirsi in complicati equilibrismi. Sul piano dei valori, le idee di Moro erano riassumibili in una formula: «costruire la pace nella sicurezza e la sicurezza nella pace». Per quanto sembri trattarsi di uno di quei bizantinismi per cui viene ricordato lo statista pugliese, la frase contiene in sé aspetti molto concreti. L’8 ottobre 1969, Moro parlò all’Assemblea Generale dell’ONU, sostenendo che il conseguimento di una pace duratura non dipendesse solo dal contenimento o dalla prevenzione dei conflitti, bensì da un vero ridimensionamento degli squilibri di ordine demografico, economico, sociale, tecnologico, militare e politico tra le diverse regioni del mondo. Queste, a suo dire, rappresentavano le vere cause scatenanti i conflitti internazionali e, di conseguenza, l’obiettivo che egli affidava alle Nazioni Unite era quello di sostituire la politica di potenza con rapporti che ponessero al centro la tutela dei diritti umani. Ecco, quindi, perché «pace nella sicurezza»: perché ci sia la pace bisogna creare quelle condizioni di giustizia e di equità a cui ogni uomo inevitabilmente aspira. L’ONU doveva essere il punto di riferimento di un sistema politico mondiale basato sull’autorità del diritto e della giustizia. Tutto questo, ovviamente, non doveva essere portato avanti con ingenuità o inutile intransigenza, ma con la consapevolezza che quello era l’orizzonte migliore. «Noi vogliamo – affermò Moro alla Camera dei Deputati, il 13 ottobre 1965 – certamente, fortemente, la pace ma non siamo pacifisti ingenui, disattenti ai dati reali della situazione politica e al gioco delle forze che si confrontano nel mondo. Vogliamo una rigorosa tutela degli interessi permanenti della nazione, ma non siamo nazionalisti chiusi nell’egoismo, non curanti dell’insieme dei popoli, tra i quali il nostro si colloca con le sue caratteristiche peculiari, ma anche con la sua vocazione all’unità, siamo fieri della nostra libertà ed indipendenza, ma non ci sottraiamo alla legge d’integrazione e solidarietà che domina la nostra epoca».
Nato, Comunità Europea e Mediterraneo
Lo scacchiere su cui muovere le proprie pedine, nella visione di Moro, non poteva che essere l’Alleanza atlantica – nei confronti della quale bisognava avere «una fedeltà intelligente, non cieca; una fedeltà ragionata e cosciente, non illogica» – e la Comunità Europea. Anche nei confronti dell’Europa, egli aveva però uno sguardo assolutamente lungimirante. Moro vedeva l’Europa come terreno di incontro tra i popoli per superare quelle disuguaglianze e rivalità che erano all’origine delle guerre. Si doveva quindi partire dal basso, a partire dalla componente umana e popolare, piuttosto che dalla dimensione prettamente istituzionale. La prospettiva morotea di Europa era poi fondata sull’idea di un’Italia «ponte» tra Nord e Sud del Mediterraneo. E fu proprio il Mediterraneo la dimensione privilegiata della politica estera di Aldo Moro. Qui egli seppe operare con grande realismo, unendo interessi nazionali e valori globali. E da questa sua opera nacquero anche numerosi dissidi con l’Amministrazione americana di Nixon e Kissinger. L’area mediterranea, per la sua posizione geografica, doveva essere luogo di incontro di tre continenti e delle loro rispettive civiltà, avrebbe dovuto essere una regione di «pace, di solidarietà e di progresso», ripristinando quella funzione che il Mare Nostrum aveva avuto nel corso della storia. In tale disegno, l’Italia aveva un ruolo «cerniera mediterranea», mediatrice tra interessi occidentali e aspirazioni dei popoli rivieraschi. «Noi siamo in una posizione, dati i molteplici vincoli che ci legano ai paesi del Mediterraneo, di essere i migliori interpreti presso l’Occidente delle esigenze di gran parte di questi popoli in via di sviluppo, contribuendo così a creare e a mantenere un clima di fiduciosa e dignitosa cooperazione». La politica del Mare Nostrum doveva fare parte integrante di quella europea: «Quando ci accingiamo a trattare della sicurezza in Europa e della parziale riduzione delle forze in centro Europa, non perdiamo di vista che la sicurezza è indivisibile e che non ci possono essere pace ed equilibrio in Europa senza garantirli anche nel Mediterraneo». Parole che impressionano, se pensiamo a quanto accaduto negli ultimi anni, dopo l’esplodere delle cosiddette Primavere arabe. Per Moro risolvere l’instabilità del Mare Nostrum significava garantire sicurezza e pace in Europa. Le sorti delle due aree erano, per ragioni geografiche, storiche e culturali, legate indissolubilmente tra loro, al punto che «nessuno è chiamato a scegliere tra l’essere in Europa e nel Mediterraneo, poiché l’Europa intera è nel Mediterraneo».
I rapporti con la Libia di Gheddafi
Ma Aldo Moro, in politica estera, non fu solo un idealista o un profeta slegato dalla realtà. Seppe avventurarsi nella concretezza della realpolitik, riuscendo a dialogare con tutti. Ruolo che garantì di fatto all’Italia una sorta di immunità da attentati terroristici internazionali. L’esempio più emblematico è quello della Libia di Gheddafi. Dalla metà degli anni 1960 l’Italia aveva intensificato i propri rapporti economici e commerciali con la Libia, con la crescita dell’esportazione di prodotti petroliferi e con programmi di valorizzazione infrastrutturale del paese. Ma il colpo di stato del 1969 comportò una brusca frenata. Gheddafi inizialmente si contraddistinse per toni molto duri nei confronti dell’Italia, manifestando la volontà di eliminare le tracce della colonizzazione italiana e arrivando all’espulsione dei 20mila italiani residenti in Libia e alla confisca dei loro beni. La risposta di Moro fu quella di assicurare l’incolumità e l’assistenza dei connazionali prima e dopo il rimpatrio. Nonostante le critiche interne da parte di alcuni partiti (MSI e PCI), Moro decise di non sbilanciarsi e di agire con cautela. Cominciò invece a intessere un dialogo con Gheddafi che ben presto cominciò a dare i suoi frutti. Già nell’agosto 1971 il governo libico e l’Eni iniziarono le trattative per la creazione di una joint venture (accordo commerciale) alla pari per le concessioni più importanti della compagnia petrolifera in Libia. L’Italia, nei decenni successivi, continuerà a fornire manodopera specializzata e know-how per la fabbricazione di impianti industriali e per l’esecuzione di opere pubbliche. Le linee tracciate dalla politica estera morotea verso la Libia saranno portate avanti da tutti i governi per i successivi 40 anni (fino al 2011), nonostante le provocazioni di Gheddafi e i dubbi etici che questa collaborazione poteva comportare.
Una visione della politica estera ancora attuale
Fra tutti gli ambiti possibili, la politica estera è forse quello in cui meglio si misura la forza, la credibilità e la lungimiranza di un paese. Proprio per questo è importante prenderla a riferimento, nonostante le cronache giornalistiche tendano spesso a metterla in secondo piano, salvo poi sbatterla in prima pagina di fronte all’esplosione di errori e contraddizioni. L’Italia del dopoguerra, per quanto appesantita dalle conseguenze economiche e morali del conflitto, seppe costruirsi un proprio spazio di manovra, in grado di garantire un miglioramento della situazione interna e di quella internazionale. Aldo Moro fu un grande interprete, all’interno di questo solco. Un solco che sapeva operare a lungo termine senza perdere di vista la convenienza immediata; che ambiva a valori universali, senza perdersi in uno sterile idealismo; che faceva gli interessi del popolo, senza cadere nel facile (e becero) populismo.