Bissi Anna - Cagnazzo Elisa
Maria
2025/5, p. 36
La donna accogliente

Accedi alla tua area riservata per visualizzare i contenuti.

Questo contenuto è riservato agli abbonati a
Testimoni
.
VOCI DI DONNA
Maria
La donna accogliente
ANNA BISSI – ELISA CAGNAZZO
Nel giardino di Eden, Dio cercava Adamo che si era nascosto dopo il peccato: Adamo dove sei? (Gn 3,9). Una domanda che immaginiamo detta con affanno e premura, non con il tono severo di chi cerca per punire. Se poi riconosciamo in Adamo, l'uomo per antonomasia, tutti gli uomini venuti dopo di lui, allora è proprio all'umanità intera che dobbiamo immaginare fosse rivolta quell'accorata domanda di Dio: «Dove sei?». Da allora, infatti, Dio non ha cessato di cercare l'uomo e di far risuonare la sua supplica. Da allora, Dio aveva cercato una creatura disposta ad accoglierlo, da allora aveva fatto risuonare la sua supplica per tutta l'umanità. Dicono i Padri che Dio ha creato l'uomo per avere qualcuno che rispondesse al suo amore, qualcuno che lo accogliesse. Maria è la prima a rispondere, a realizzare in pienezza la vocazione comune a tutti gli uomini. E in che modo Maria accoglie Dio? Come madre, offrendogli uno spazio, il suo grembo, perché possa venire alla luce. Ma il testo rimarca più volte: Maria è una madre vergine. La verginità di Maria indica che ciò che nasce in lei è puro dono di Dio, che in quel concepimento non c'è contributo umano: Maria è pura recettività, solo da Dio riceve la Vita. La sua verginità, come spazio vuoto che attende di essere colmato, è la condizione perché Dio possa riempirla della sua grazia. È la rinuncia ad agire, per lasciare spazio all'agire di Dio.
«Eccomi»
Maria domanda: Come avverrà questo, poiché non conosco uomo? Maria sa che le è impossibile, perciò domanda: Come? Ed ecco che riconoscere la propria impossibilità apre in lei lo spazio per l'agire di Dio. L'angelo le risponde: Lo Spirito Santo scenderà su di te... Nulla è impossibile a Dio. La contraddizione apparente tra verginità e maternità è superata con un balzo di fiducia. Solo il dare a Dio una fiducia totale e indubitabile rende possibile l'impossibile. È questa fiducia che le permette di rispondere: Avvenga per me secondo la tua parola. Dio chiedeva: Dove sei? In Maria l'umanità risponde «Eccomi». Come Maria ogni uomo può concepire Colui che è «inconcepibile», contenere in sé Colui che neanche i cieli dei cieli possono contenere. Come possiamo vivere e incarnare questa capacità di accoglienza che ha caratterizzato la vita di Maria? Accogliere è forse il primo verbo significativo dell'esistenza: che cosa significa, infatti, nascere, se non ricevere la vita che ci è donata da qualcun altro e mai da noi stessi? Questo primo atto del nostro vivere è accompagnato dal radicarsi in noi, per poi lentamente svilupparsi, di quella capacità che i Padri definivano come «philautia virtuosa»: quell'amore di sé appartenente alla natura dell'uomo e che Gesù stesso raccomandava quando diceva: «Amerai il tuo prossimo come te stesso» (Mc 12,31). Si tratta di una dimensione interiore che cresce con il tempo e orienta verso una giusta autoprotezione. Protezione del proprio corpo, innanzitutto, come hanno insegnato i martiri; essi, diversamente dai kamikaze che cercano una morte gloriosa e spettacolare, non hanno mai progettato intenzionalmente il loro martirio, ma lo hanno accolto in nome di un valore ancora più grande della loro vita. Protezione della propria dignità e identità; è anche in quest'ottica che forse possiamo leggere il turbamento provato da Maria alle parole dell'angelo. Interrogarsi rispetto a quanto le sta accadendo, al nuovo appellativo con cui è chiamata, alla proposta che le viene fatta è segno di libertà e maturità interiore. Accogliere, infatti, non significa accettare passivamente e senza giudizio tutto quanto accade, ma comporta l'interrogarsi e il valutare, implica l'esercizio della propria libertà. Grazie al suo giusto amore di sé, Maria insegna la vera umiltà. «Amare umilmente sé stessi»: accogliersi come Dio ci ha donati a noi stessi, riconoscendo la nostra identità di figli, un'identità non costruita con le nostre mani, grazie alle nostre doti, ma che abbiamo ricevuto e in cui ritroviamo la nostra dignità.
L'esistenza inconsapevolmente accolta si sviluppa come un dinamismo il cui ritmo è fatto di dare e ricevere, di dono e di accettazione: noi ci strutturiamo, infatti, non solo in base al nostro impegno, alle nostre attività e iniziative ma anche grazie a quanto proviene dall'esterno e che - se recepito - diventa fonte di vita. Maria accoglie le parole dell'angelo e così concepisce e partorisce Colui che verrà chiamato Figlio dell'Altissimo. Da tale gesto ha origine quello scambio, quel riceversi e donarsi reciprocamente che per ogni madre è stimolo alla crescita e alla trasformazione interiore. Maria, che smarrisce Gesù nel tempio e inizia a cercarlo dopo una giornata di viaggio, è il modello di un'accoglienza che non trattiene nulla per sé. Eppure, avrebbe avuto mille motivi per sorvegliarlo di continuo. Come scriveva giustamente Carlo Carretto, se noi fossimo stati al suo posto, avremmo forse tenuto Gesù al guinzaglio; la responsabilità nei suoi confronti ci avrebbe resi ansiosi, preoccupati di perderlo e, in tale modo, di non rispondere in maniera adeguata all'impegno affidatoci da Dio. Maria, invece, non si impadronisce del figlio, come fosse una sua proprietà, ma lo lascia libero e in questo ci insegna che cosa significa la vera accoglienza. Maria ha tremato di paura davanti al crescendo di ostilità nei confronti di Gesù: anche questo è stato da lei accolto, un'accoglienza che ha senz'altro implicato anche un interrogarsi, un lasciarsi interpellare, un trovare conferme nella Parola, un trasformare interiormente l'immagine di Dio.
Accogliere l’altro
Anche per noi il verbo «accogliere» rimanda all'esperienza di Maria. Esso insegna innanzitutto a lasciarsi mettere in questione dalla differenza dell'altro: altro come fratello, il cui comportamento provoca, spiazza, rattrista o, talvolta, fa emergere il peggio di noi (e, se ciò accade, non è colpa dell'altro, come siamo sempre tentati di affermare da Adamo ed Eva in poi, ma testimonianza della presenza in noi di un peggio). Anche Maria è dovuta passare attraverso la sfida della differenza. Pensando a lei, rischiamo di attribuirle delle capacità sovrumane; dimentichiamo, infatti, che anch'essa - come tutti noi - è stata una creatura bisognosa di interrogarsi, di riflettere e di compiere un cammino per conoscere veramente chi fosse il Figlio. […] Tutta la sua vita si è snodata tra assenza e presenza, certezza e mancanza. Ed è proprio grazie alla sua capacità - ma forse dovremmo anche dire all'impegno – di custodire i diversi frammenti della sua esistenza, che ai piedi della croce Maria ha potuto stare. Stare – in questo caso - non significa esserci, ma rivela tutta la solidità della sua invincibile fede. Ella può accogliere anche quel momento – il più drammatico della sua esistenza – proprio perché la fede le permette di non percepirlo come l'istante conclusivo della sua vita e di quella del Figlio, ma come un passaggio, un'apertura a qualcosa di più grande, come la possibilità data al Padre di manifestare tutto il suo amore.
Per questo, come sant'Ignazio, il quale riteneva poco intelligenti coloro i quali dubitavano che Gesù fosse apparso per primo a sua madre, anche noi possiamo pensare a quel mattino di Pasqua come al momento in cui il massimo dell'accoglienza, avvenuto ai piedi della croce, si è trasformato nel massimo della pienezza. Maria da quell'istante non conoscerà più l'assenza, perché accogliendo il Risorto, ormai accoglie tutto. Ella diventa così gravida di ogni creatura, delle creature di tutti i tempi, realizzando in quel modo le parole dette da Gesù sulla croce: «Donna, ecco tuo figlio» (Gv 19,26).