Bolognesi Elena
Maria, «scuola di festa»
2025/5, p. 32
In questo anno giubilare, di fronte ad antiche e nuove forme di violenza, siamo forse tentati di smarrire il senso della festa. Torniamo allora a contemplare la biografia di Maria per scoprire come la giovane donna di Nazaret sia ancora per noi «scuola di festa» pur attraversando le tempeste della vita.

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MARIA E IL GIUBILEO
Maria, «scuola di festa»
In questo anno giubilare, di fronte ad antiche e nuove forme di violenza, siamo forse tentati di smarrire il senso della festa. Torniamo allora a contemplare la biografia di Maria per scoprire come la giovane donna di Nazaret sia ancora per noi «scuola di festa» pur attraversando le tempeste della vita.
ELENA BOLOGNESI
Maria, l’anima della festa
Chi è Maria di Nazaret che canta il Magnificat? A porsi la domanda fu il cardinale Carlo Maria Martini, durante la Scuola della Parola, nel Duomo di Milano, quarant’anni fa. «Maria – rispondeva Martini – è l’anima di Israele, è l’umanità a cui essa dà voce, è l’umanità umiliata e sorpresa dalla tenerezza di Dio […] Maria è quindi la scuola della festa dell’umanità».
In questo anno giubilare, di fronte ad antiche e nuove forme di violenza, siamo forse tentati di smarrire il senso della festa. Torniamo allora a contemplare la biografia di Maria per scoprire come la giovane donna di Nazaret sia ancora per noi «scuola di festa» pur attraversando le tempeste della vita.
Festa e pellegrinaggio
Uno dei due verbi ebraici utilizzati nel testo biblico per esprimere l’idea del fare festa, il più ricorrente, è hagag, che lega strettamente la celebrazione all’idea del movimento, del pellegrinaggio. Non sfuggirà la stretta parentela con il corrispondente termine arabo hajj, che indica il pellegrinaggio e, per eccellenza, il pellegrinaggio a Mecca, uno dei cinque pilastri della religione islamica. I cristiani sono chiamati «quelli della via» sin dalle prime pagine degli Atti degli Apostoli (9,2), «stranieri e pellegrini» li definisce Pietro nella sua prima lettera (2,11).
Il significato che sta all’origine di hagag allude a un movimento circolare, una danza, e assume un significato pregnante per il riferimento alle tre grandi feste di pellegrinaggio della tradizione ebraica: pesah (pasqua), shavuot (pentecoste o festa delle settimane) e sukkot (festa delle capanne). Queste tre festività sono chiamate in ebraico shalosh regalim, perché i piedi (regalim) si accordano al cuore e sospingono il credente verso Gerusalemme. E anche se il comando di presentarsi tre volte all’anno alla presenza del Signore (che poi coinciderà con il tempio edificato da Salomone a Gerusalemme abitato dalla Shekinah di Dio) era da principio riservato ai maschi (cf. Es 23,17), il desiderio di mettersi in cammino per celebrare l’alleanza coinvolge da sempre un popolo unito, oltre ogni distinzione.
La dimensione spirituale del pellegrinaggio percorre tutto il Nuovo Testamento, anche se la meta del viaggio va oltre il luogo geografico perché Gesù è il vero e definitivo tempio, lui che è «via verità e vita».
Maria si mette in cammino
A Maria oggi sono dedicati molti santuari, diventati mete di pellegrinaggio spirituale, luoghi in cui si nutre la fede e si coltiva la speranza. Mi viene da pensare che questi cammini pieni di devozione abbiano origine proprio nei piedi di Maria, che si è messa in cammino. Figlia del suo popolo e delle sue tradizioni, è al contempo custode nel suo grembo del germoglio di una nuova alleanza, che chiede di aprire strade, di raggiungere esistenze. Maria disegna con la sua vita una traiettoria a volte invisibile, nascosta, soprattutto silenziosa, ma è sempre lì, testimone degli snodi fondamentali dell’esistenza del figlio, pronta a ricucire, a trasmettere memorie, a consolare. A fare festa.
Nella casa di Nazaret: festa è accogliere il turbamento
«Entrando da lei, disse: “Rallegrati, piena di grazia: il Signore è con te”. A queste parole ella fu molto turbata e si domandava che senso avesse un saluto come questo» (Lc 1,28-29).
Il racconto dell’annunciazione è l’unica pagina evangelica che ci riporta Maria ferma, chiusa tra le pareti della sua casa. Anche se un racconto apocrifo del II secolo, il protovangelo di Giacomo, ritma l’episodio dell’annunciazione in due diversi momenti: il primo presso il pozzo, dove avviene il saluto dell’angelo, e il secondo in casa, dove prende forma e voce il vero e proprio annuncio. Per questo a Nazaret c’è una chiesa greco-ortodossa dedicata a San Gabriele, che fa memoria dell’incontro al pozzo. Mentre la chiesa custodita dai frati francescani sorge in corrispondenza della casa di Maria.
Certo è che in quel primo incontro con il divino, il movimento di Maria è tutto interiore, tra turbamento e domanda di senso. E non bastano l’invito alla gioia e il richiamo alla grazia: la gravità della parola di Dio trapassa il cuore. La sproporzione con la giovane di Nazaret stride. Eppure, accogliere il turbamento apre a un affidamento: festa non è leggerezza, è fiducia.
Verso le montagne della Giudea: festa è ospitalità
«In quei giorni Maria si alzò e andò in fretta verso la regione montuosa, in una città di Giuda. Entrata nella casa di Zaccaria, salutò Elisabetta. Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino sussultò nel suo grembo» (Lc 1,39-41).
Inizia il viaggio: i piedi si mettono in movimento. Il testo dell’evangelista Luca sembra alludere a un viaggio in solitaria: una giovane donna incinta attraversa il paese, da Nazaret ad Ain Karem. Un viaggio lungo e non privo di ostacoli e pericoli. Ma c’è una fretta che preme dentro, un saluto da portare: lo shalom di Dio, promessa di pienezza, legame di sororità che non ha bisogno di molte parole. La misericordia di Dio raggiunge grembi sterili, li fa sussultare di gioia e toglie da ogni solitudine.
Nell’abbraccio tra Maria ed Elisabetta viene da domandarsi chi accoglie e chi è accolta. La lingua ci inganna: per entrambe possiamo parlare di ospite. Maria ha accolto il mistero e ora si lascia accogliere da Elisabetta. L’Ospite divino allarga i paletti della tenda che ha scelto di abitare: d’ora in poi si lascerà incontrare nell’abbraccio di madri disposte a fare spazio, disposte a mettersi in viaggio, alzandosi, in fretta. «Se, secondo la carne – scriveva sant’Ambrogio – una sola è la madre di Cristo, secondo la fede tutte le anime generano Cristo; ognuna, infatti, accoglie in sé il Verbo di Dio…».
Il viaggio di Maria è appena iniziato e dalla sua bocca erompe un cantico di esultanza, di gioiosa riconoscenza: la portata del magnificat di Maria sorprende. All’umiltà della serva si apre una beatitudine senza limite, di generazione in generazione. Un formidabile trampolino di lancio. Ma tutto subito si ferma, come Maria, che rimane tre mesi da Elisabetta. Festa è dilatare il cuore verso le grandi cose dell’Onnipotente e fermarsi ad accudire un’anziana parente.
La salita a Gerusalemme: festa è non comprendere e custodire
L’evangelista Luca è il più generoso nel tramandarci i dettagli dell’infanzia di Gesù e annota che i suoi genitori tutti gli anni si recavano a Gerusalemme per la festa di Pasqua (cf. Lc 2,41). Poco prima aveva raccontato di un altro viaggio a Gerusalemme, non per una delle feste di pellegrinaggio ma per la presentazione al tempio di Gesù, scelta che andava ben oltre ciò che la legge prescriveva. Tanti dettagli ma nessuna parola di Maria: né a Betlemme, davanti a pastori e magi che adorano il bambino, né al tempio, di fronte a Simeone e Anna. Neppure quando Simeone, uomo giusto e pio che attendeva la consolazione di Israele, le predice l’anima trafitta da una spada. Maria tace. Solo si stupisce e custodisce meditando (cf. Lc 2,19).
Ora Gesù è dodicenne e il viaggio a Gerusalemme sembra preludere al rito di ingresso nell’età adulta. Se dunque è così, perché Maria e Giuseppe sono sorpresi dal soffermarsi di Gesù nel tempio? Non lo avevano presentato loro stessi perché fosse sacro al Signore? E non aveva detto loro Simeone che quel figlio era segno di contraddizione, per la caduta e la risurrezione di molti in Israele? (cf. Lc 2,34).
Non comprendono. Maria custodisce nel cuore quello che vede e quello che ascolta. Ma qualcosa sta cambiando. Prima del dialogo con Gesù nel tempio, Maria è in qualche modo protagonista: l’attenzione è concentrata prevalentemente su di lei e sulla sua adesione alla chiamata di Dio. «Si turbò… ragionava… “Non conosco uomo” … “Ecco la serva”… Levatasi, andò, entrò, salutò Elisabetta…». Per descrivere il suo modo di conservare tutte queste cose meditandole nel suo cuore, Luca utilizza dapprima i verbi syn-tereo, «custodire insieme», e syn-ballo, «mettere accanto, confrontare» (con il prefisso syn/con a sottolineare l’unione di vari elementi, Lc 2,19).
Di ritorno da Gerusalemme cambia il modo con cui Maria custodisce parole e fatti. Di lei si dice che conservava tutte queste cose nel suo cuore e il contenuto sembra del tutto simile a quello di Lc 2,19, ma qui Luca usa (caso unico nei vangeli) il verbo dia-tereo (con il prefisso dia, che implica l’idea di attraversamento), che esprime ancora fedeltà e attaccamento a qualcosa o qualcuno, ma il prefisso introduce una sfumatura nuova. Ora le cose di Dio chiedono di essere custodite mentre si procede attraverso: bisogna prendere il largo – dirà Gesù – dove l’acqua è profonda.
Festa è per Maria proseguire il pellegrinaggio senza comprendere ma esercitando una custodia che attraversa la vita, come la spada le attraverserà l’anima. Perché siano svelati i pensieri di molti cuori.
A Cana di Galilea: festa è l’ultima parola
Un villaggio molto vicino a Nazaret, una festa di nozze. Il contesto ora è sorprendentemente ordinario e familiare. E i ruoli sembrano quasi invertirsi: nel tempio di Gerusalemme Gesù sembrava preso dalla comprensibile fretta di occuparsi delle cose del Padre suo, mentre Maria lo cercava angosciata. Ora è Maria che con inattesa audacia forza la mano di Gesù, che sembra voler resistere: «Donna, che vuoi da me? Non è ancora giunta la mia ora» (Gv 2,4). Tono, linguaggio e contenuto scavano un abisso di distanza. Tornerà a chiamarla «Donna», in un’altra «ora», quella del compimento sotto la croce, e avrà tutt’altro sapore, ma qui dobbiamo confessare il nostro disorientamento. Eppure, Maria non ribatte, non discute. Si rivolge ai servitori: «Qualsiasi cosa vi dica, fatela» (Gv 2,5). E il figlio sembra tornato il dodicenne che cresceva in età e grazia davanti a Dio e agli uomini (cfr. Lc 2,52) e compie il primo segno trasformando l’acqua in vino.
È l’ultima parola di Maria, non ne ascolteremo più. Ma il suo pellegrinaggio non è terminato: la ritroveremo sul Golgota, con l’anima trafitta, mentre riceve dal figlio in eredità i pensieri di molti cuori. E la ritroveremo nel cenacolo, custode silenziosa del primo virgulto di Chiesa che attende la carezza infuocata dello Spirito. Festa è per lei attraversare le tenebre della storia. Festa è per noi seguirla in un pellegrinaggio di indicibile speranza.