UOME, DONNE, UOMINI, DONNI
2025/5, p. 12
Il titolo non è solo un gioco di parole ma la percezione che mi abita
della difficoltà di essere uomini e donne, nella Chiesa così come nella società, a partire da una corporeità, affettività e pensiero differenti e in continua evoluzione.
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CHIESA E SOCIETÀ
Uome, donne, uomini, donni
Il titolo non è solo un gioco di parole ma la percezione che mi abita della difficoltà di essere uomini e donne, nella Chiesa così come nella società, a partire da una corporeità, affettività e pensiero differenti e in continua evoluzione.
PATRIZIA MORGANTE
Il correttore automatico mi segna in rosso due dei quattro sostantivi del titolo. Vi tranquillizzo: non parlerò di teoria gender, sono consapevole che è, ancora, un tema divisivo, anche se non ne comprendo totalmente le ragioni. Mi sembrano molto pregiudiziali, ma avevo premesso che ne avrei parlato.
Il titolo non è solo un gioco di parole ma la percezione che mi abita della difficoltà di essere uomini e donne, nella Chiesa così come nella società, a partire da una corporeità, affettività e pensiero differenti e in continua evoluzione: non come il risultato di una eredità culturale e interpretativa fissa, ma incarnata nella storia collettiva e nella biografia personale. La persona non è la mera somma algebrica di biologia, cultura ed esperienze: è molto di più, è una sintesi unica e irripetibile. Pertanto, non abbiamo bisogno di donne che diventano ‘uome’ per essere accolte in un sistema declinato al maschile, così come non abbiamo necessità di ‘donni’ che cercano di barcamenarsi tra una maschilità clericale o tossica.
La realtà ci schiaffeggia
Scrivo questo articolo dopo due fatti, diversi tra loro ma molto significativi per me:
due ennesimi efferati femminicidi di giovani donne in Italia;
la non approvazione del documento sinodale della Chiesa italiana, a causa della mancanza di consenso su alcuni temi: trasparenza, donne nella chiesa, comunità lgbtq+ o, come descritte nel documento ‘delle persone con orientamenti sessuali diversi.’
Il primo fatto conferma che la relazione tra uomini e donne è, non tanto un tema, ma il tema. «È vincolante e ambiguo, il corpo delle donne. È padrone e servo. È bottino di guerra e strumento di piacere, genera alleanze che allargano il regno, viene violato per vendetta, segna il passaggio del nemico sui campi di battaglia. Gli uomini uccidono più di prima perché le donne decidono di lasciarli più spesso di prima. Le donne sono cambiate troppo, gli uomini troppo poco». Scrive Lidia Ravera, nel suo libro Volevo essere un uomo (Einaudi 2025).
Questo vale nella società come nella Chiesa, in capo ai numerosi abusi emersi negli ultimi decenni di uomini maschi di Chiesa nei confronti di laiche, consacrate e giovani.
Quante incrostazioni ci portiamo dentro, senza esserne consapevoli e che informano e deformano le nostre attitudini, scelte e azioni?
Avremmo bisogno di un percorso che ci consenta di liberarci da residui patriarcali e di potere esercitato sulle donne, che inficiano totalmente la possibilità di relazioni simmetriche.
Mi sembra che, da questi fatti, emerga il messaggio «Io maschio posso continuare ad esistere solo nella misura in cui tu sei oggetto che ruota intorno a me che sono il centro». Se ti sposti, se reclami un altro posto, se eserciti il tuo potere di autonomia, la reazione può essere più o meno violenta. Più o meno violenta, perché non devo uccidere una donna per renderla ridicola agli occhi di un pubblico maschilista e sessista: basta tacciare di emozionalismo le sue posizioni, fare un po’ di body shaming o vittimismo maschile tipico della manosphere.
A proposito di questo, scusate la divagazione: avete visto la serie di Netflix Adolescence?
Il secondo avvenimento, quello della Chiesa italiana, mi dà speranza. Sento una maggiore capacità assertiva del popolo di Dio. L’assemblea sinodale della Chiesa italiana ha vissuto un momento insperato ma realmente sinodale: è mancato il consenso su un documento che non soddisfaceva la complessità della comunità ecclesiale e quindi si è scelto di non votarlo e continuare il processo di dialogo e discernimento.
Si è presa la parola su diversi temi, tra i quali l’inclusione piena delle donne e delle comunità LGBTQ+ nella Chiesa. Non so se sia a causa del cammino sinodale o dell’emergere di un tempo opportuno che possiamo solo riconoscere, ma non è più possibile invisibilizzare alcune categorie. Che siano donne, che siano divorziati risposati o persone con diverso orientamento.
La diversità deve essere messa a tema non come qualcosa da gestire, da controllare o escludere: ma come condizione essenziale di vita. Senza differenziazione non ci sarebbe vita.
Smaschilizzare la Chiesa
«Smaschilizzare» è l’ultimo efficace e fortunato neologismo creato da papa Francesco. L’ha utilizzato il 30 novembre 2023 incontrando i membri della Commissione teologica internazionale. Di nuovo un gioco di parole: questo più fortunato del mio titolo, ma con lo stesso pericolo di nominare le cose, nascondendone altre. Io non voglio una Chiesa solo smaschilizzata (o magari femminilizzata), ma una comunità ecclesiale dove uomini, donne e persone con diverso orientamento sessuale possano vivere, dire, condividere la propria fede in Gesù Cristo, all’interno di una dinamica di relazioni simmetriche e di potere condiviso.
Le Edizioni Paoline hanno mutuato l’efficace espressione per dare il nome a una serie di libri, quattro, che raccolgono gli interventi delle persone invitate tra il 2023 e il 2024 a incontrare il C9, il gruppo dei 9 cardinali con il Papa. A coordinare gli inviti, la teologa Linda Pocher, Figlia di Maria Ausiliatrice: in totale otto donne e un uomo. Tutti i volumi sono aperti da una prefazione di papa Francesco.
«Con il loro ingresso nello spazio pubblico e con il riconoscimento della propria libertà, le donne hanno messo in questione questo modello patriarcale, provocando un urto che ancora genera onde di assestamento. Le donne hanno smesso di dargli credito, senza che sia ancora venuto avanti un modello di reciprocità reale – non ipotecato – realmente alternativo a quello della complementarità decisa dal mondo maschile. Il risultato è che tra i sessi si è aperto un vuoto nel quale dobbiamo imparare ad abitare senza ritornare a formule del passato. Di fronte al vuoto, occorre creatività» (Lucia Vantini).
Esiste un filo rosso nella Chiesa come nella società: le donne hanno fatto un cammino, grazie anche al femminismo, di liberazione e di evoluzione. Riconoscendosi sempre più la forza di incidere sulla storia e la comunità di cui sono parte. Non poteva che essere così: nessuna/o può essere tenuto in una situazione di sottomissione per sempre; perché quando non si possono aprire le ali, si muore, lentamente.
Nel mio precedente contributo su questa rivista, ipotizzavo un cammino di maschilità consapevole per gli uomini di Chiesa (consacrati, ordinati e laici), con l’intento di mettere a tema l’evoluzione di una maschilità che ha perso parte del suo potere, basato, sovente, sulla subordinazione del femminile e delle donne.
Dal libro alla prassi
La proposta editoriale delle Paoline non è solo per acquistare i libri nelle comunità e poi metterli in biblioteca: se siamo più progressiste, nello scaffale altezza occhi; se siamo più conservatrici, in alto.
Vorrei proporre di farli diventare oggetto di dialogo nelle riunioni comunitarie. Si possono scegliere metodologie diverse. Si possono organizzare dei circoli di lettura su ogni contributo (ce ne sono circa 3 o 4 per ogni testo): leggerlo e meditarlo personalmente per poi parlarne insieme con alcune domande che possono aiutare:
Come leggo la mia/nostra vita da laica o consacrata alla luce dei temi emersi nel testo?
Quali elementi abbiamo ereditato che non rispondono più allo stato evolutivo in cui ci troviamo?
A quali trasformazioni siamo chiamate/i: personalmente ed ecclesialmente?
Quali cambiamenti vorrei proporre nella mia comunità/organizzazione/movimento?
Mi sento abbastanza assertiva da usare la mia parola e il mio potere per nominare le ingiustizie di genere?
Come mi sento come donna nella Chiesa oggi?
«Entrambi gli studiosi [n.d.r. Amartya Sen e Martha Nussbaum] vedono il potere non solo come una questione di avere risorse o autorità, ma come la possibilità concreta di utilizzare queste risorse per realizzare obiettivi e aspirazioni personali. In questo senso, il potere è visto come la capacità effettiva di fare cose e di essere ciò che si desidera essere. Per essere davvero giuste, perciò, le istituzioni devono promuovere le capacità delle persone di potere, cioè di condurre vite degne di essere vissute. Di questa dimensione del potere, l’essere umano non può essere privato, pena l’annichilimento della sua dignità» (Linda Pocher).