La Chiesa
2025/5, p. 5
La professione di fede espressa in Nicea era molto essenziale rispetto al risultato
finale del processo di elaborazione del testo. Solo nel concilio di Costantinopoli
del 381 vennero aggiunte le verità finali che sono elencate nell’odierno «Credo» e che spesso sono ricollegate all’articolo sullo Spirito Santo. Tra esse si fa riferimento, come contenuto di fede, all’esperienza ecclesiale.
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SPECIALE GIUBILEO
La Chiesa
La professione di fede espressa in Nicea era molto essenziale rispetto al risultato finale del processo di elaborazione del testo. Solo nel concilio di Costantinopoli del 381 vennero aggiunte le verità finali che sono elencate nell’odierno «Credo» e che spesso sono ricollegate all’articolo sullo Spirito Santo. Tra esse si fa riferimento, come contenuto di fede, all’esperienza ecclesiale.
GIANLUCA MONTALDI
Come abbiamo già osservato nelle riflessioni precedenti, la professione di fede espressa in Nicea era molto essenziale rispetto al risultato finale del processo di elaborazione del testo. Solo nel concilio di Costantinopoli del 381 vennero aggiunte le verità finali che sono elencate nell’odierno «Credo» e che spesso sono ricollegate all’articolo sullo Spirito Santo. Tra esse si fa riferimento, come contenuto di fede, all’esperienza ecclesiale. Le controversie teologiche tra le comunità di fede avevano permesso di enucleare quattro aspetti sui quali il concilio converge ritenendoli caratteristiche essenziali della chiesa conforme al simbolo. Li si chiama «note ecclesiali» (notae Ecclesiae) perché non hanno solo una funzione esterna, di distinzione da altri gruppi o sette, ma corrispondono soprattutto ad una dinamica interna, in quanto determinano alcune linee di strutturazione stessa della chiesa, ovvero sono note prettamente teologali. In realtà, di esse si possono dare due diverse interpretazioni, che chiameremo ‘storica’ ed ‘escatologica’, senza giustificare troppo questa aggettivazione.
La chiesa una, santa, cattolica e apostolica
La prima nota descrive la chiesa come dotata di unità. Non si tratta, quindi, dell’affermazione di una unicità strutturale della comunità credente; questa potrebbe derivare per lo meno dalla proclamazione dell’unicità di Dio e in questo modo essere letta – come di fatto è stata letta – in senso escludente: così come il Dio unico esclude idoli, la chiesa è unica escludendo ogni altra setta o associazione. In senso proprio, invece, questa nota ecclesiale rimanda alla preghiera di Gesù: «che tutti siano uno» (cf. Gv 17,20-23). Significa, cioè, prima di tutto l’adesione al comandamento dell’amore, come comandamento nuovo dei discepoli di Gesù e come strada per sperimentare comunione reciproca. Si tratta di una unità strutturale, per cui le varie membra e le varie funzioni ecclesiali non hanno consistenza propria, se non con le altre (cf. 1Cor 12,12-13). Non ci può essere un ministero pensato in modo isolato dal quale dipenderebbero altri, ma è un unico corpo organico che avviene insieme, in unità, oppure non avviene. Questo è il livello storico, che rimanda subito a quello escatologico, a quel momento in cui la preghiera di Gesù avrà finalmente il suo compimento ultimo (cf. 1Cor 15,28).
La seconda nota ricorda la santità della chiesa. Storicamente questo si concretizza nei tanti volti che mostrano come la potenza della grazia di Dio sia in grado di convertire, cambiare e sovvertire le esistenze dei singoli e le ambivalenze della storia. S. Paolo, S. Agostino, S. Benedetto, S. Cirillo e S. Metodio, S. Gregorio Magno, S. Domenico, S. Francesco, S. Giovanni Paolo II, solo per citare alcuni di questi volti; S. Monica, S. Chiara, S. Angela Merici, S. Teresa d’Avila, S. Teresa Benedetta della Croce, solo per citarne al femminile. E solo per fermarsi a quanti e quante hanno avuto un riconoscimento canonico, ovvero una percentuale minima. La santità della chiesa è prima di tutto questa. Dato che la sua struttura è toccata dal peccato, come appare evidente non solo dopo la crisi legata agli abusi sessuali ma per le tensioni causate dal magistero evangelico di papa Francesco, solo escatologicamente, al compimento del tempo, potremo avere la piena visione del suo volto raggiante di luce; nel frattempo solo per grazia viene salvata dal drago che la rincorre (cf. Ap 12).
Dopo la divisione confessionale, la cattolicità della chiesa viene spesso colpevolmente identificata con la chiesa cattolico-romana, ovvero con la comunione delle chiese che sono in modo globale in comunione con il vescovo di Roma; a volte in completa mala fede si arriva persino a fare della curia romana il centro della vita cattolica. In realtà, l’aggettivazione rimanda prima di tutto ad una diffusione geografica, che tuttavia significa una diffusione culturale: la chiesa, in quanto cattolica, non può identificarsi, infatti, con un luogo o con una cultura, ma è «il sacramento, ossia il segno e lo strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano» (LG 1), ovvero segno e strumento della pari dignità di ogni cultura e della possibile convivenza di ogni diversità. Teologicamente, diventa la possibilità di tentare un’applicazione costante del principio dell’et-et: Scrittura e Tradizione, Carisma e Tradizione, Parola e Sacramento, etc. Non sempre ci siamo riusciti, per esempio quando abbiamo contrapposto Femmina e Maschio o Laicato e Ordine, etc. Per questo anche la cattolicità ha un senso pieno solo in prospettiva escatologica quando ogni nazione si potrà avvicinare al monte santo (cf. Is 2,1-5).
Infine, la nota dell’apostolicità rimanda con ogni evidenza al legame con la chiesa dei primi secoli, con la vita e l’insegnamento dei padri della chiesa, come «struttura stabile» dell’esperienza ecclesiale (cf. Giovanni Paolo II, Patres Ecclesiae, 1). In realtà, la prima istanza della apostolicità ecclesiale va oltre e arriva alla costante fatica di preservare e trasmettere la Sacra Scrittura, interpretando la quale la chiesa ha la possibilità di ascoltare la «viva voce del Vangelo» (DV 8). Sia nella preghiera orante sulla Scrittura, sia nel suo studio personale che nelle varie forme di rispetto del testo in quanto tale (per esempio, in ogni tentativo accademico di ricostruire il testo ispirato) si attua uno sguardo memoriale capace di dare senso ad un’operosa vita cristiana. Anche in questo caso, la rivelazione non è un dato già acquisito una volta per tutte, fissato una volta per tutte, ma è aperta al futuro, quando ne saranno aperti finalmente i sigilli (cf. Ap 5-6).
La chiesa una (resa tale dalla comunione reciproca), santa (capace di celebrare la sacra sinossi), cattolica (con le molte anime che attraversano la storia umana), apostolica (nel suo continuo sforzo di leggere il passato e attualizzarlo perché nella storia sia immesso il futuro di Dio) è la chiesa che il credo pone nelle mani dei fedeli e che le strutture ecclesiali storiche tentano ai vari livelli di realizzare a volte con troppa prudenza, a volte con troppa tracotanza.
Cosa vuole dire «credere la chiesa»
Ovviamente non si possono porre sullo stesso piano i vari contenuti di fede, come espressi nel simbolo. Il concilio Vaticano II lo ricorda in senso ampio quando afferma che «[n]el mettere a confronto le dottrine si ricordi… che esiste un ordine o “gerarchia” nelle verità della dottrina cattolica, in ragione del loro rapporto differente col fondamento della fede cristiana» (UR 11).
Per esempio, l’assenso di fede richiesto nei confronti della struttura ecclesiale è derivato da quello richiesto per quello nei confronti della reale vita delle comunità di fede, che a sua volta è derivato dall’assenso di fede vero e proprio che è l’affidamento all’amore trinitario. Non sono sullo stesso piano il Padre, il Figlio, lo Spirito Santo e la Chiesa, anche se a volte l’applicazione del Codice di Diritto Canonico fa sembrare questo. La fede è un atto teologale, e non può essere ridotto ad una organizzazione delle strutture di evangelizzazione.
Quando il simbolo ci accompagna a «credere la chiesa» ci chiede di aprirci al mistero che essa è e non a sostituire una mediazione ecclesiale con la parola di Dio. Per quanto questo possa apparire aleatorio o opaco, solo in questa dinamica si entra in consonanza con la logica misteriosa della storia della salvezza. Altrimenti trasformiamo il vangelo in ideologia e in organizzazione del potere. Questo pericolo è avvenuto e ancora avviene, ma per questo dovremmo continuare a chiedere che la grazia di Dio ci aiuti a realizzare la chiesa come lui la vuole.
Aggiornare le note ecclesiali
Un’ultima riflessione riguarda la possibilità e in certo senso la necessità di aggiornare le note ecclesiali o, per lo meno, di completarle. Senza ovviamente toccare il credo condiviso dalle varie comunità cristiane, i nostri tempi hanno evidenziato altri aspetti della comunità ecclesiale che si rendono necessari per aiutare l’evangelizzazione della cultura di oggi. Ne ricordo brevemente tre.
Il primo aspetto è che la chiesa deve essere responsabile per le proprie azioni, o per utilizzare una parola più pregnante deve dimostrare la propria accontabilità (accountability). Per coloro cui non piacesse questo termine perché ripreso dal linguaggio economico, basti riferirsi alla richiesta scritturale di «rendere ragione della propria speranza» (cf. 1Pt 3,15-17). Si tratta cioè di «essere responsabili» di quanto si dice e di quanto si fa, e di quanto si spera. Se sono evidenti, in una lettura a livello storico, le opacità che hanno permesso la crisi di abusi all’interno della chiesa, oppure quelle relative alla gestione delle finanze ecclesiali (solo per fare due esempi che paiono particolarmente chiari) in prospettiva propriamente teologica e credente non hanno senso.
La seconda nota che vorrei suggerire è la sinodalità, che a conti fatti potrebbe essere letta come un approfondimento della nota della cattolicità, ma che mi pare meglio suggerire il carattere peregrinante dell’esperienza ecclesiale. Non dovrebbe essere necessario insistere molto su questo aspetto, data l’abbondante produzione di bibliografia e di riflessioni avvenuta da qualche anno a questa parte. A degli occhi disillusi, il fallimento attuale dell’esperienza sinodale italiana e quello rimandato dell’esperienza sinodale a livello di chiesa universale potrebbero far storcere il naso. In realtà, ribadire l’essenzialità di attuare un percorso sinodale aiuta a comprendere più appieno il senso della fede oggi.
Così come è necessario legare la nota della cattolicità a quella dell’ecumenicità. In realtà, i due termini potrebbero essere sovrapposti. Tuttavia, il secondo si è andato arricchendo di molteplici riflessioni e soprattutto di molteplici azioni comuni tra le chiese cristiane e proprio questo potrebbe costituire il senso nuovo di applicare questa nota alla chiesa del simbolo.