Del Core Pina
«Anello generazionale e intergenerazionale»
2025/4, p. 3

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«Anello generazionale e intergenerazionale»
PINA DEL CORE
Ciò che caratterizza la tarda età adulta o età anziana (dai 65 anni in poi…), che viene articolata anche in terza e quarta età della vita, è la pluralità dei percorsi e delle modalità di invecchiamento e, soprattutto, la presenza di una transizione più lunga e più complessa, in cui convivono il tempo del benessere e del mantenimento di una vita attiva e produttiva accanto al tempo del declino, del decadimento psicofisico, talvolta improvviso, e della passività.
In questa fase della vita, i cambiamenti fisici sembrano essere dominanti: diminuzione di forza fisica, difficoltà di svolgere i compiti che prima venivano compiuti senza sforzo, fragilità progressive che rendono più facile contrarre malattie, ecc. Tutto ciò incide, non solo sulla percezione di sé (autostima) che cambia a seconda dell’approvazione o disapprovazione sociale (immagine corporea e rappresentazione sociale: il mito della giovinezza tipico delle società occidentali), ma anche sull’efficacia delle prestazioni nel lavoro e in altre attività compatibili con il pensionamento o con le proprie risorse residue.
Come affrontare la sfida del corpo che cambia con i suoi contraccolpi a livello psicologico e, soprattutto per le donne, a livello estetico? Come affrontare le conseguenze del metabolismo che si altera? Come gestire i passaggi critici del pensionamento e/o della malattia e poi quello della morte? È evidente che il modo di far fronte a tali criticità dipende da molti fattori: non poco influiscono il clima relazionale della famiglia, la presenza dei figli/figlie e soprattutto dei nipoti specie se piccoli. Il ritiro dalle attività e dalla vita sociale e/o professionale della generazione anziana coincide con la chiamata a fare spazio alle nuove generazioni e al prendersi cura di loro, sia nella direzione della trasmissione di valori e tradizioni, sia nella linea di operare un passaggio di consegne, in primo luogo alla generazione adulta (i figli adulti) mediante il dono della memoria familiare, delle modalità dell’esercizio di cura e di educazione delle nuove generazioni.
L’arte di continuare a camminare
Si tratta di assumere il compito di essere «anello generazionale e intergenerazionale» che, mentre promuove l’attitudine alla generatività, sorgente di fecondità, impedisce di cadere nel rischio della stagnazione e della infecondità. Questo è uno dei compiti di sviluppo più importanti e decisivi che lascerà una traccia indelebile nella memoria e nella vita delle nuove generazioni e della comunità umana futura. Ciò è ancora più indispensabile nella Chiesa e nella vita consacrata laddove la trasmissione del carisma ricevuto è il compito tipico di coloro che ci hanno preceduto, non solo i fondatori ma tutti i membri della comunità religiosa. Far memoria, raccontare, trasmettere con la testimonianza della vita, mentre permette alle persone anziane di acquisire un cuore saggio, divenute ormai maestre del «contare i nostri giorni» (Sl 90), insegna agli altri l’arte della ripresa, del ri-cominciare, del continuare a camminare ricordando la preziosità dei giorni trascorsi con tutto il loro carico di responsabilità, di fatiche, di crisi ma anche di speranza.
La maturità umana e spirituale che traspare da coloro che avanti negli anni hanno acquisito progressivamente una loro fisionomia caratteristica divenendo semplicemente se stessi, dimostra come la vecchiaia sia la verifica della trasparenza o dell’opacità raggiunta, nel delicato e armonico equilibrio tra il fare e l’essere, tra l’avere e l’essere, segno di un’interiorità vitale, abitata da molte presenze e soprattutto da una lunga e provata fedeltà ai valori.
Nell’età senile le trasformazioni della personalità, accanto alla possibilità di una maggiore disponibilità di tempo per sé e per gli altri, per dedicarsi ad attività di volontariato, culturali o sociali, fanno riscoprire nuove e significative potenzialità racchiuse nell’anzianità e ci rimandano una positiva percezione di vitalità e continuità.
Anche il momento critico della morte, vissuto con la consapevolezza dell’impegno nel passaggio di consegne alle generazioni successive, esprime la gratitudine per il dono della vita trascorsa e piena di senso, nonostante i dolori e le gioie, i successi e le prove. Si richiede simultaneamente distacco e attaccamento, resistenza e resa… che vengono facilitati se si supera il rischio della disperazione che è l’opposto della speranza. Mentre le condizioni psicofisiche conducono alla riduzione o all’abbandono degli impegni si aprono nuove vie di donazione di sé e di maggiore intensità nel coltivare la vita spirituale che consentono di far emergere al proprio orizzonte esistenziale il pensiero della morte come un compimento atteso, desiderato e non temuto, del pellegrinaggio terreno. Giungere a un’identità integra e coesa, serena e pacificata non è di tutti. È il culmine di un cammino di crescita personale e di fede, una fede/fiducia che attraversa la catena delle generazioni.
Come scrive sapientemente Bruno Secondin, «la morte chiede ad ogni uomo di aver imparato ad amare al punto da non trattenere nulla per sé, neppure il proprio corpo e da sapere, quindi, consegnare tutto. L’esistenza, perciò, è palestra per imparare ad amare in modo così oblativo da diventare capaci, nella morte, di offrire senza riserve ciò che la vita ci aveva consegnato perché diventassimo definitivamente viventi». L'autunno della vita si prepara in primavera coltivando atteggiamenti positivi, motivazioni, progetti. Il futuro non accade, si prepara, sul piano mentale, affettivo, corporeo e spirituale. È evidente che bisogna imparare ed insegnare ad investire sulla vita, ben sapendo che l'orientamento delle cose avrà bisogno di integrare anche il suo estremo, cioè il “passaggio” ultimo» (Secondin B. 2018, 49-58).