La sapienza divina dell’albero
2025/4, p. 31
Tutto è collegato: noi, Dio e l’albero. Questo scritto si colloca all’interno di una ricerca teologica caratterizzata da una sensibilità ecologica, e da una coscienza femminista. L’obiettivo è quello di superare il pensiero dualista che divide la realtà in opposizioni del tipo sacro/profano, adottando un «pensiero ecologico»
di connessione totale col pianeta. Noi siamo dentro la natura e non in «una realtà a noi esterna».
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TEOLOGIA ECOLOGICA
LA SAPIENZA DIVINA DELL’ALBERO
Tutto è collegato: noi, Dio e l’albero.
Questo scritto si colloca all’interno di una ricerca teologica caratterizzata da una sensibilità ecologica, e da una coscienza femminista. L’obiettivo è quello di superare il pensiero dualista che divide la realtà in opposizioni del tipo sacro/profano, adottando un «pensiero ecologico» di connessione totale col pianeta. Noi siamo dentro la natura e non in «una realtà a noi esterna».
ELISABETH GREEN
Da una cinquantina di anni il cristianesimo è sotto accusa per aver contribuito, con la sua visione del mondo, alla crisi ecologica. Tra i fattori ritenuti responsabili di questa situazione, figura l’antropocentrismo che, nella forma di «antropocentrismo deviato della modernità», viene preso di mira anche da papa Francesco (Laudato si’ nn.115-116). In questo contesto, teologi e teologhe si sono messi all’opera per mitigare un antropocentrismo che, a dire il vero, sarebbe meglio denominare «andro-centrismo». Il papa parla di «un antropocentrismo situato», mentre altri teologi e teologhe adottano, in dialogo con le scienze, paradigmi teo-centrici o persino geo-centrici. Non è facile modificare consolidati approcci alle sacre Scritture e alla teologia che ne deriva. Tuttavia, nel mio saggio intitolato Theology/Treeology – l’assonanza in inglese tra «Theo» (Dio) e «tree» (albero) era troppo ghiotta da ignorare – ci provo, partendo appunto dall’albero. Nello specifico, mi chiedo se gli alberi facciano parte solo della scenografia di un dramma svolto nel teatro del mondo o se non ne siano partecipi, persino dei protagonisti.
La relazione tra discriminazione delle donne e sfruttamento della natura
Per scoprirlo, mi sono fatta aiutare non solo da un’ermeneutica biblica sensibile all’ecologia, ma anche dalla teologia femminista. Sì, perché negli stessi anni in cui si diventava consapevoli del danno che un certo modello di sviluppo aveva arrecato all’ambiente, come donne diventavamo consapevoli del danno che avevamo subito (e di cui volevamo liberarci) da parte di un mondo costruito dall’uomo per l’uomo. Ci rendevamo conto che le varie forme di esclusione, sfruttamento e oppressione – dei popoli, delle donne, delle persone omosessuali, nonché della stessa natura – avevano la stessa matrice. Nel suo libro «Per la liberazione della donna, del corpo e della natura» (1976), uno dei primi testi di teologia femminista tradotto in italiano, la teologa cattolica Rosemary Radford Ruether mette in evidenza come il cristianesimo legittima istanze diverse del dominio maschile, incluso il dominio della natura. Fondamentale in questo contesto è il volume della storica Carolyn Merchant «Donne, ecologia e rivoluzione scientifica» (1988), che dimostra come la discriminazione delle donne e lo sfruttamento della natura si sono tenuti per mano lungo la storia. In modo particolare, in Occidente la rivoluzione scientifica del Seicento, da molti ritenuta responsabile di uno sviluppo dannoso per l’ambiente, fu accompagnata da una rinnovata misoginia. Filosofe e teologhe declinano in modi diversi e talvolta contrastanti la connessione millenaria tra donne e natura. Dal mio punto di vista è importante non ribadire un legame tra «donna» e «natura» funzionale al patriarcato. Insieme a Ruether, considero l’associazione donna-natura frutto di condizioni sociali e culturali diverse, chiave di lettura utile per superare la logica binaria dalla quale dipende.
Nel principio è la relazione
Esistono ottimi libri scritti da botanici che gettano luce su piante e alberi nella Bibbia, con il loro eventuale simbolismo. Il mio approccio è diverso in quanto mi propongo di esplorare il ruolo che gli alberi occupano nell’economia del racconto biblico. Infatti, si può dire che a dare il là a tutta la storia sia un albero, l’albero posto al centro del giardino, albero della vita nonché della conoscenza del bene e del male. Secondo alcuni esegeti, si tratta di un unico albero, che si scinde solo in seguito alla decisione di Adamo ed Eva di mangiarne il frutto (l’unico a essere proibito tra tutti gli alberi del giardino!). In seguito, l’albero della vita ricompare nel testo sacro, riconnesso alla conoscenza, ma nella figura femminile della divina Sapienza: «albero di vita per chi fa riferimento a lei, chi si afferra a lei, può dire beato» (Proverbi 3,18). Il gesto di afferrare l’albero è molto suggestivo e lo troviamo nell’iconografia dell’Antico Medio Oriente come espressione del desiderio di connettersi alla vita. Ricordiamo che in India le donne sono considerate custodi di una cultura basata sulla cura delle foreste e che le attiviste del movimento Chipko («aggrapparsi», termine hindi) si afferravano agli alberi per salvarli dal disboscamento. Allora, possiamo dire che l’albero sia un simbolo femminile? Sì, ma anche no, perché altrove, dentro e fuori le Scritture, esso ha connotazioni decisamente maschili (il tronco che si erge). È interessante notare come il Cantico dei Cantici, che disfa il dominio dell’uomo sulla donna, esprima il nuovo rapporto reciproco tra i sessi. ricorrendo a un immaginario arboreo estremamente ricco e variegato.
Il fascino simbolico dell’albero
Sembra, dunque, che l’albero voglia dirci qualcosa. Posto tra terra e cielo, indica lo stato della relazione che intercorre tra Dio e il suo popolo. Diventa segno di pace e di armonia quando ci si può sedere «ciascuno sotto la sua vite e sotto il suo fico senza che nessuno li spaventi» (Michea 4,4). Un quadro idillico che però viene sconvolto quando Israele si allontana da Dio «e il fico non fiorirà, non ci sarà frutto sulle vigne» (Abacuc 3,17). Gli alberi partecipano al lutto della terra a causa del peccato umano («La vite è seccata, il fico è inaridito, il melograno, la palma, il melo, tutti gli alberi del campo sono secchi» Gioele 1,12), ma quando il Signore visiterà il popolo, il deserto fiorirà. Dio stesso pianterà «cedri nel deserto, acacie, mirti e ulivi» (Isaia 41,18). L’albero, dunque, è simbolo dell’umano, di Dio («sono come un verdeggiante cipresso» Osea 14,9) nonché della relazione tra i due. Tuttavia, l’albero stesso esiste in una relazione diretta con Dio che prescinde dall’umano. Come vuole il sottotitolo del libro, noi, Dio e l’albero siamo in connessione. «Treeology/Theology», dunque, si propone di superare una logica binaria che ama dividere, separare e organizzare la realtà ordinandola in modo gerarchico: maschi/femmine, ricchi/poveri, mente/corpo, Dio/mondo. La ricaduta di tale logica sulla riflessione teologica è stata analizzata non solo da Ruether, ma anche da altre studiose come Sallie McFague, protestante, che ha dedicato tutta la sua ricerca teologica a riconfigurare la relazione tra Dio, noi e il mondo. Per lei ed altre è stata di grande ispirazione il concetto di Martin Buber: «Nel principio è la relazione». Ricordiamo che il filosofo ebreo sviluppò la sua filosofia dialogica proprio in relazione all’albero, un esso che diventa un Tu, esattamente come anche noi – davanti all’albero – diventiamo un Tu a nostra volta.
La divina Sapienza dell’albero che muore e risorge
Sebbene una buona parte del libro sia dedicata al Primo Testamento, non mancano le connessioni al Secondo. Scopriamo, per esempio, come da un ceppo rimasto dalla decimazione delle foreste, può nascere un rampollo «dal tronco di Iesse» (Isaia 11,1). Stefano Mancuso, noto botanico, ci spiega come un ceppo dato per morto può rivivere grazie all’interazione con le radici degli alberi appartenenti persino ad altre specie (immagine che le Chiese farebbero bene ad esplorare). L’albero di Iesse, dunque, diventa l’albero genealogico di Gesù, il quale a sua volta si trasforma, mediante le numerose rappresentazioni pittoriche, nell’albero della vita. Inoltre, la divina Sapienza ispira gran parte della riflessione cristologica della Chiesa delle origini. Nel libro del Siracide, Sophía stessa si paragona a numerosi alberi inclusa la stessa vite con la quale Gesù, nel Vangelo di Giovanni, si identifica: «Io sono la vite, voi siete i tralci». Infine, ogni anno l’albero che muore e risorge annuncia con la sua stessa vita la morte e resurrezione di Cristo al centro del messaggio cristiano. E se l’albero trasmettesse conoscenza? Esploro questa ipotesi avanzata dal biblista belga J.P. Ska attingendo alle idee di Stefano Mancuso esposte nel suo testo «La nazione delle piante» (2020). Il botanico suggerisce che proprio in questo momento di crisi, resa palese dal cambiamento climatico in corso, le piante (e quindi, anche gli alberi) ci regalano delle regole che garantirebbero la sopravvivenza della vita sulla terra. Il volume Treeology/Theology, dunque, è basato sull’affermazione che «tutto è collegato» (TD 19) e lo evidenzia a partire dalle Scritture, indagando le connessioni tra noi, Dio e l’albero. Si propone come saggio aperto che, mettendo insieme persone e pensieri derivanti da discipline diverse, invita chi legge a fare altrettanto, cioè a creare connessione. Si tratta, come ci suggerisce Leonardo Boff in Grido della terra, grido dei poveri (1996), di mantenere vivo il «co(l)-legamento» (re-ligação) dell’essere umano col resto del processo universale (la re-ligione), in altre parole di unire, a partire dall’albero, ciò che l’uomo (sic) ha separato.