LA QUESTIONE MASCHILE NELLA CHIESA CATTOLICA
2025/4, p. 7
… aprire una conversazione profonda su questo tema e non offrire parole definitive.
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Testimoni
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PERCORSI ECCLESIALI
La questione maschile
nella Chiesa cattolica
… aprire una conversazione profonda su questo tema e non offrire parole definitive.
PATRIZIA MORGANTE
Questione femminile, genio femminile, donne-anziani e bambini: questi sono solo alcuni esempi del linguaggio usato nella Chiesa per parlare delle donne come categoria. Senza escludere, anche, le tante sviolinate che ci arrivano quando si afferma che «la Chiesa è donna», «senza le donne la Chiesa non esisterebbe». La partecipazione piena delle donne nella Chiesa non è questione femminile, ma ecclesiale; quindi, riguarda tutte e tutti.
In questa mia riflessione vorrei rovesciare la questione, appunto, e affermare che esiste una grande questione maschile nella nostra Chiesa (e non solo nella nostra!).
Cercherò di articolare la mia affermazione e lo farò, ovviamente, con gli occhi di una donna laica e adulta. Come tutte le riflessioni, anche la mia è parziale. E ne sono felice. Il mio intento è aprire una conversazione profonda su questo tema e non offrire parole definitive. Non credo alle parole che mettono un punto su temi così importanti e complessi.
Qualche premessa importante
Uno dei grandi peccati che abbiamo avuto è «maschilizzare» la Chiesa… È un compito che vi chiedo, per favore. Smaschilizzare la Chiesa: queste le parole pronunciate a braccio da papa Francesco alla Commissione Teologica internazionale il 30 novembre 2023.
Questa fortunata espressione ha dato vita a un interessante progetto editoriale delle Edizioni Paoline che ha deciso di pubblicare gli interventi di tutte le persone, la maggioranza donne, invitate da sr. Linda Pocher, su iniziativa del papa, a incontrare il gruppo dei nove cardinali che affiancano Francesco nel suo lavoro.
Contestualmente, la rivista di Pax Christi Italia, Mosaico di Pace, scrive una lettera dal titolo «Smaschilizzare la Chiesa» per sollevare il tema in maniera forte e decisa, avviando anche un percorso di riflessione di donne e uomini, al quale sono stata invitata e che prosegue: per ora come spazio di autoformazione e approfondimento.
«Smaschilizzare è un neologismo forte. Un preciso modello di maschile ha impregnato e definitivamente plasmato la chiesa cattolica: nelle istituzioni, nei ministeri, nelle relazioni, nella predicazione, nelle modalità di esercizio della autorità, nella sinodalità, nella missione, nel rappresentare il volto di Dio e dell’essere umano. Questa lunga eredità ha creato dinamiche di prevaricazione e forme di dominio, di repressione di ciò che è altro da sé. Clericalismo e abusi non si possono comprendere al di fuori di questo contesto storico e culturale, il cui superamento, per quanto faticoso, è un traguardo necessario per la Chiesa.
È ora – c’è ancora domani, c’è stato ricordato di recente – che gli uomini nella chiesa cattolica, non da soli ma insieme, si rendano disponibili attraverso un processo di autoriflessione a smascherare in ciascuno questo veleno, che ha fatto e continua a far soffrire uomini e donne nella Chiesa. Occorre creare spazi e tempi per processi di costruzione di un modo altro e plurale di essere maschi».
Esiste una questione maschile nella Chiesa
Come affermavo nell’introduzione, la relazione tra i generi, e l’inclusione di altri generi, non è solo una questione femminile o maschile, ma squisitamente ecclesiale: nel senso che riguarda tutte e tutti, dice che comunità vogliamo essere e che Dio vogliamo testimoniare; quali sfide abbiamo il coraggio di assumere e approfondire; quale modello di sinodalità e corresponsabilità desideriamo rendere prassi nella Chiesa.
A mio avviso la questione maschile ruota attorno ad alcuni punti chiave:
1.Esiste un malessere del maschio nella società e nella Chiesa: chi parla di femminilizzazione dei ruoli, di difficoltà a integrare il cambiamento del femminile (sempre più adulto, competente e autonomo). Il patriarcato è una gabbia per le donne così come per gli uomini. Quando si assume acriticamente che la dimensione biologica scriva, in modo univoco e deterministico, anche la biografia e la narrazione personale ci si ritrova dentro una scatola che ci impedisce di guardare fuori e intravedere delle alternative, altre opzioni (vi ricordate la storia della rana messa in una pentola di acqua tiepida, la cui temperatura, aumentando lentamente, ha portato il piccolo animale alla morte?)
2.Circoli di uomini per parlare di sé: nella società sono nati, già da molti anni, circoli di maschi, come Maschile Plurale, per parlare di come si vive la propria mascolinità, come si integrano i cambiamenti della società con i bias patriarcali introiettati con il biberon, come parlare di femminicidi e di relazioni di potere fra i generi. Spazi dove potersi permettere di nominare le proprie paure, fragilità e vulnerabilità, senza giudizio. Perché non avviare percorsi simili anche nella Chiesa? Non si tratta di circoli psicoterapeutici (anche se necessari in alcuni casi, ma sono due percorsi che possono convivere), ma di spazi sicuri dove il presbitero, il seminarista, il vescovo possono ripercorrere il proprio cammino, riconoscere sintomi di clericalismo e patriarcato, sintonizzarsi empaticamente con la sofferenza di tutte le persone che, dalla Chiesa, si sentono escluse. Questo percorso i maschi devono farlo da soli, assumendosi anche tutto il dolore che questo processo di rilettura può generare in loro. Più volte leggo, anche nei documenti sinodali, che le donne dovrebbero aiutare i maschi a fare questo cambiamento: io trovo che questo sia un modo mascherato di continuare a generare relazioni non simmetriche e di rafforzare il pregiudizio che sia prerogativa femminile l’attitudine di cura dell’umano.
3.L’utero di misericordia, compassione e morbidezza è umano: saper riconoscere la questione maschile nella Chiesa permetterebbe agli uomini di scoprire, sentire e nutrire il proprio utero materno, la propria capacità di generare vita e custodirla. La violenza fisica e verbale ci circonda, pertanto permettere a entrambi i generi di scoprire la propria attitudine alla cura è una trasformazione culturale e antropologica essenziale, per non smarrire l’orizzonte di un’umanità condivisa che non è una mera derivazione naturale della dimensione biologica, ma è narrazione relazionale e storia che si costruisce intenzionalmente.
I maschi possono imparare a parlare di sé
Nella nostra Chiesa l’accesso ai ministeri ordinati riservato ai maschi ha generato una serie di aspettative e costruzioni culturali dalle quali facciamo fatica a uscire, sembra che manchino le parole per dirle e nominarle.
I maschi di Chiesa sono abituati a parlare, a prendere la parola, a dare voce, a mediare l’accesso delle e dei fedeli alla Parola e ai sacramenti, ad avere un’opinione autorevole su tutto. Sono soggetti in un mondo di soggetti oggettivizzati, cioè non resi autonomi e adulti. Uomini celibi che parlano di famiglia, di coppie, di sessualità, di donne, di femminile: insomma hanno una parola su tutto, senza ascoltare chi di quella parola è veramente protagonista. I maschi parlano su tutto ma non hanno ancora imparato a parlare con tutte e tutti. Ma, soprattutto, fanno molta fatica a parlare di sé.
Per questo motivo ho intervistato un uomo consacrato che si interroga sulla sua mascolinità: riporto qui alcuni stralci dell’intervista a Davide Varasi del Monastero di Bose, autore di un Dossier su Mosaico di Pace sul Maschile nella Chiesa .
Cosa significa per te «smaschilizzare la Chiesa»?
Questa parola per noi significa mettere finalmente in discussione il modello egemonico di maschile. Con un taglio particolare: ascoltare non più solo il grido delle donne ma l’urlo degli uomini dentro la Chiesa che si sentono stretti e soffocati da un modello subdolo di maschilità. Da qui è nata la proposta: guardando all’esperienza delle donne e a quanto avviene in altre chiese e in realtà laiche in Italia, bisogna da uomini nella chiesa cattolica imparare a partire da sé. Un certo modello di maschile è così normale che non lo si vede nemmeno. Per questo una riflessione che si limiti solo al livello della critica dei contenuti ma non incontri i corpi non è sufficiente. È il tempo che gli uomini nella chiesa cattolica, non da soli ma insieme, si rendano disponibili attraverso un processo di autoriflessione… e inizino a parlare di sé e ad altri uomini.
Cosa dovrebbero fare gli uomini per poter rileggere i propri pregiudizi di genere?
Vivo in una comunità monastica ecumenica composta da uomini e donne di chiese diverse, di varie nazioni e di età differenti. Questo è stato e rimane fondamentale proprio nel processo di consapevolezza di sé e di costruzione di relazioni paritarie fra fratelli e sorelle che mettano in crisi ruoli e stereotipi di genere.
Esistono tre livelli: il livello personale di formazione della propria persona, il livello del contesto di vita che è plurale e in cui si ricevono in maniera implicita modi di pensare, essere e fare/disfare l’essere uomini e donne, una strategia di visibilità e invisibilità, quello di cui si può dire e quello che è «bene» non dire (pensando alla chiesa cattolica le comunità in cui si è vissuti o si vive, le associazioni, i movimenti, le forme di vita religiosa, la famiglia stessa...); esiste infine il livello sistemico o istituzionale (nel caso della chiesa cattolica il sistema disciplinare, teologico, canonico, ecclesiale, le modalità di esercitare l'autorità, di formare i ministri ordinati…). I tre livelli sono ovviamente intrecciati e un percorso di ripensamento del maschile deve farli interagire.
Quanto, a tuo avviso, il sacro e il fatto che i preti operino in persona Christi agiscono a fomentare il clericalismo?
Qui passiamo al livello sistemico. Credo che l'esaltazione dei poteri sacerdotali (la differenza ontologica, l'altissima dignità sacerdotale, il presbitero come alter Christus, la retorica dell’elezione o della vocazione …) e la sacralizzazione dei loro detentori, ha prodotto una separazione dal resto del popolo di Dio e ha collocato i ministri in una posizione di superiorità rispetto a questi. C’è un’ipertrofia dell’identità sacerdotale. Si insinua l’idea che i ministri abbiano una dignità superiore al resto dei credenti e dunque più potere. È significativa per me l’assenza di una cultura dell’accountability nella chiesa cattolica in Italia. Accanto o dentro questo c’è l’idea molto performativa del ministro come colui che deve rispondere a tutte le esigenze che incontra, molto all’insegna della performance e dall’autoreferenzialità (e questo nonostante che nella sfera dei concetti si dica esattamente l'opposto!). Lo spazio di una diserzione dal patriarcato, di rottura di una complicità nasce anche da un ripensamento della teologia della chiesa che tenga conto di tutto questo, che si lasci interrogare da una prospettiva di genere.