Montaldi Gianluca
I nomi e le figure dello Spirito Santo
2025/4, p. 5
Ancor prima della sua esplicitazione, il dato e ancor più il vissuto cristiano era già presente nella coscienza dei credenti, che hanno utilizzato vari nomi e varie figure per significare quanto sperimentato a livello di vita personale e comunitaria.

Accedi alla tua area riservata per visualizzare i contenuti.

Questo contenuto è riservato agli abbonati a
Testimoni
.
SPECIALE GIUBILEO
I nomi e le figure dello Spirito Santo
Ancor prima della sua esplicitazione, il dato e ancor più il vissuto cristiano era già presente nella coscienza dei credenti, che hanno utilizzato vari nomi e varie figure per significare quanto sperimentato a livello di vita personale e comunitaria.
GIANLUCA MONTALDI
Con questa breve riflessione, vorrei cercare di raccogliere alcune ulteriori pensieri relativi allo Spirito Santo. In realtà, il concilio di Nicea era stato convocato per risolvere una discussione cristologica e, per questo, in quella sede non si sono elaborate definizioni particolari per il terzo articolo di fede. Come si è già suggerito, solo in un secondo momento, nel cammino che ha portato tra l’altro a riunirsi al concilio di Costantinopoli nel 680-681 d.C., le comunità cristiane che vi si sono riunite hanno chiarito la divinità dello Spirito Santo e l’hanno più o meno chiaramente collegata con la santità del cammino ecclesiale. Tuttavia, ancor prima della sua esplicitazione, il dato e ancor più il vissuto cristiano era ed è ovviamente già presente nella coscienza dei credenti, che hanno utilizzato vari nomi e varie figure per significare – in actu secundo – quanto sperimentato a livello di vita personale e comunitaria. Del resto, la prospettiva relazionale aperta dalla proposta cristiana vive di tale dinamica: la relazione viene prima della sua esplicitazione e la rende concreta. Con le parole di S. Tommaso d’Aquino: «Actus […] credentis non terminatur ad enuntiabile, sed ad rem» (Sth II-II II-II, q. 1, a. 2, ad 2).
Le figure
Non sempre siamo in grado di distinguere tutte le implicazioni presenti in un simbolo. Anzi, molto spesso esso viene reinterpretato a seconda del contesto nel quale viene inserito e delle relazioni che si vengono a creare con altre figure e altri significati. Per questo le varie immagini che vengono utilizzate per descrivere la persona e l’azione dello Spirito Santo non devono per forza essere lucidissime, ma attuano un reciproco rimando.
Il vento è una di queste immagini. In effetti, vi viene collegata un’ulteriore serie di realtà che comportano nello stesso tempo invisibilità e presenza percepita in un qualche movimento (cf. Gv 3,8). È così per il movimento sulle acque prima della creazione e nella vita donata all’essere umano (cf. Gen 1,2; 2,7; Ez 37,9-10). Nell’esperienza profetica assume una particolare rilevanza sia come «brezza leggera» (cf. 1Re 19,12-13) sia come «vento impetuoso» (cf. At 2,2): nel primo caso, è suggerimento per tornare all’essenziale; nel secondo, indica la forza di un cambiamento. Questo è anche il cambiamento che si presenta nella narrazione della Pentecoste (cf. At 2,1-4).
In quest’ultimo episodio, lo Spirito viene anche figurato nel fuoco, che ha sostanzialmente due valenze: esso purifica distruggendo quanto è male e riscalda, in particolare riscalda il cuore permettendogli nuova vita. Sostanzialmente ciò viene a coincidere con la potenza, la dynamis divina che può essere condivisa (cf. Num 11,25-26; Lc 4,14). Infatti, è nel fuoco che scende dall’alto che il sacrificio viene accettato e consumato (cf. 1 Re 18,38) e diventa il segno della presenza escatologica del Messia che viene non solo a lavare i peccati, ma a bruciare ogni resto di peccato (cf. Mt 3,11; 1Pt 1,7). Proprio perché condivisibile è un dono che crea comunione e compassione (cf. Lc 24,32) diventando segno di una carità ardente. Proprio la dinamica del dono e della gratuità consente di attribuirgli ogni figura della grazia, appunto dell’offerta gratuita di vita e di salvezza che il Vangelo propone.
La figura della colomba sposta, appunto, l’attenzione verso una proposta di grazia. Viene utilizzata dai vangeli sinottici (Mc 1,10; Mt 3,16; Lc 3,22) per esprimere la profonda esperienza spirituale vissuta da Gesù di Nazaret al momento del battesimo, un’esperienza che gli consente di cambiare rotta al proprio cammino esistenziale ed iniziare la missione personale staccandosi dal suo ambiente d’infanzia. Non per niente, da questo punto di vista, H.U. von Balthasar ha parlato di «inversione soteriologica»: mentre nella vita intra-trinitaria lo Spirito, secondo la dizione occidentale, procede anche «dal Figlio», nella missione storica il Figlio in qualche modo è mosso «dallo Spirito». Può sembrare una questione di lana caprina teologica; di fatto, apre la strada alla comprensione anche del discepolato cristiano come cammino spirituale. La dottrina della giustificazione, di fatto, si basa su questa comprensione teologica della vicenda del Nazareno. Tanto più che, collegata all’esperienza dell’unzione (altra figura dello Spirito: cf. 1Gv 2,20), l’esperienza battesimale coincide con una esperienza di figliolanza, per Gesù come per il cammino del discepolato, se non lo si vuole trasformare in semplice ideologia.
In continuità reale, l’ultima figura che potremmo ricordare è proprio quella dell’acqua. Con questo lo si vuole designare come fonte di rinnovamento spirituale e come compimento di ogni desiderio (cf. Gv 7,37-39), dato che l’acqua è un elemento che si adatta ad ogni contenitore e ad ogni situazione, portando ovunque la possibilità della vita (per esempio, nella ricerca di vita sui pianeti è uno dei primi segni che si tenta di scorgere). Non è un caso che la tradizione ebraica e di rimando quella cristiana abbiano costruito riti di purificazione e di iniziazione proprio a partire da questo elemento. Il battesimo ne è la conferma, spesso letta anche nella linea di una illuminazione, ancora una volta non da pensare in senso ideologico, ma nell’esperienza di una luce che illumini l’ulteriore cammino della vita.
La preghiera
Nella preghiera dovrebbe trovare applicazione tutto questo, perché la preghiera è il frutto dell’azione dello Spirito Santo nel credente. Prima di tutto come riconciliazione e come comunione, diventa la possibilità di ogni azione liturgica. Di fatto potremmo anche dirci che nel momento in cui si sperimenta l’efficacia di queste tre evenienze (la riconciliazione, la comunione, l’azione liturgica) è lo Spirito Santo ad avere svolto la sua opera. Per questo preferisco terminare queste considerazioni proprio con una preghiera a lui rivolta.
Vieni, Santo Spirito,
manda a noi dal cielo
un raggio della tua luce.
Vieni, padre dei poveri,
vieni; datore dei doni,
vieni, luce dei cuori.
Consolatore perfetto,
ospite dolce dell'anima,
dolcissimo sollievo.
Nella fatica, riposo,
nella calura, riparo,
nel pianto, conforto.
O luce beatissima,
invadi nell'intimo
il cuore dei tuoi fedeli.
Senza la tua forza,
nulla è nell'uomo,
nulla senza colpa.
Lava ciò che è sordido,
bagna ciò che è arido,
sana ciò che sanguina.
Piega ciò che è rigido,
scalda ciò che è gelido,
raddrizza ciò ch'è sviato.
Dona ai tuoi fedeli
che solo in te confidano
i tuoi santi doni.
Dona virtù e premio,
dona morte santa,
dona gioia eterna. Amen.