Gaetani Luigi
Nel cammino il senso stesso della vita
2025/3, p. 1
Concludiamo la presentazione dei contenuti della 64ª Assemblea Generale della Conferenza Italiana Superiori Maggiori, celebrata in Assisi.

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Nel cammino il senso stesso della vita
Concludiamo la presentazione dei contenuti della 64ª Assemblea Generale della Conferenza Italiana Superiori Maggiori, celebrata in Assisi.
LUIGI GAETANI
Ad Assisi siamo arrivati dopo un lungo o breve cammino, per esserci abbiamo intrapreso un viaggio, non solo esteriore e misurabile in costi, mezzi, tempo, disagi, incontri ma, soprattutto, interiore che, senza dubbio, è meno verificabile ma non meno reale, altrimenti saremmo qui solo nella nostra tangibilità, mentre qui c’è anche la parte intangibile di noi, quel «mas profundo centro» dove l’«Io» diviene «Sè», facendosi capace di inter-relazionalità, di intraprendere viaggi in perfetta immobilità, come quelli che compie il monaco nella sua cella o il guardiano del faro nella sua isola.
Nel cammino abita il senso della vita. La famiglia di Nazaret, come tante famiglie, lo possono raccontare. Intrapresero il viaggio verso Gerusalemme e compresero nella scomparsa di Gesù, in quella domanda inquietante che Lui pose: «Perché mi cercavate?» (Lc 2, 49), che la sua separazione coincideva con l’esperienza della perdita della proprietà della vita del figlio, con l’incipit consapevole della sua vocazione: essere nella casa del Padre e con l’arte del mettere insieme le cose (discernere) di Maria e Giuseppe (Lc 2,41-52). Quante cose si apprendono quando accettiamo di essere homo viator, mendicanti!
Le popolazioni non hanno mai smesso di camminare, hanno fatto del loro andare un pellegrinaggio, intraprendendo conversazioni con tutti, dialogando con Dio sotto un cielo trapuntato di stelle, imparando ad amare ciò che conta e non le cose senza valore. Hanno cercato la «Luce» ed hanno amato immensamente le persone, hanno volato così rasoterra che hanno creduto possibile un viaggio interiore, in quel sottosuolo dell’esistenza dove si acquisisce disinvoltura e senso delle cose.
Sulle strade del mondo
La vita religiosa deve tornare a camminare a piedi nudi sulle strade del mondo, aprendo strade dimenticate o smarrite nella mappa dei pellegrinaggi umani, in quelle esperienze di carovana dove l’umano riapprende l’arte dello stare insieme e dello sconfinamento.
Camminare è esperienza del corpo e dello spirito, è sempre molto di più di un mero spazio stradale, è una grazia ed una necessità, è l’esperienza che maturiamo dal primo momento in cui veniamo al mondo, percorrendo ogni terra, per quanto ostile possa apparire. Camminare è importante, consente di conoscere altre persone, altre culture, consente di conoscere tanta parte di umanità.
Camminare è una grande metafora. Abramo ha iniziato la sua storia quando ha ricevuto questo mandato: «Alzati, cammina verso la terra che ti mostrerò» (Gen 12,1ss.). Tu cammina, non voltarti indietro, perché solo camminando si apre il cammino. Non c’è Itaca a cui tornare perché ogni patria è straniera e bisogna andare oltre, abitando bordi, confini, frontiere.
Camminare è imparare a scrivere la storia consumando le scarpe, perché senza scarpe forate non possiamo testimoniare nulla. I piedi non sono degli arti, sono degli organi di senso attraverso i quali percepiamo la voce della terra e i pensieri non ci arrivano dall’alto ma risalgono dal basso del corpo per insediarsi, poi, nelle caverne più segrete della mente e del cuore. Forse per questa ragione Gesù ha voluto lavare i piedi ai suoi amici, perché consapevole che la Parola si sarebbe diffusa attraverso le fatiche del loro andare: «Andate, dunque, e ammaestrate tutte le nazioni» (Mt 28,19; Mt 10,5; Mc 16,15).
Camminare significa produrre pensieri ma, soprattutto, armonia tra respiro, battito del cuore e passi. Quando questo accade non siamo più noi che facciamo il viaggio, ma è il viaggio che fa noi; impariamo a lasciarci vivere, ad avere l’andatura lenta, quella di chi deve andare lontano, di chi deve fare una esperienza interiore, una esperienza del corpo che si riflette sull’anima, sul pensiero, che richiede solitudine interiore.
Camminare è andare verso se stessi: Hagar, la donna in cammino, la lingua semitica dice che il suo nome significa la viaggiatrice, è la donna cercata da Dio nel deserto del mondo, è colei che accetta di fare un cammino verso se stessa e, qui, nella sua identità nuova impatta Dio e l’umano (Gen 16). I rabbini traducono il cammino come un camminare verso se stessi; va’ verso te stesso, come cammino di umanizzazione, ma anche come strada che porta verso Colui che ti abita. «Conosci te stesso» è la prima tappa di un percorso che richiede di non distrarsi, di concentrare le energie, che esige vigilanza e solitudine; infatti, non accade senza queste disposizioni interiori, senza questa solitudine, perché se uno non è in grado di vivere la propria solitudine non sarà in grado di vivere con gli altri, se non assopirà il chiasso esterno e i rumori di dentro, non sarà in grado di sentire la voce interiore, e nemmeno potrà gustare la presenza di Colui che lo inabita. È voce di un silenzio che bisogna imparare ad ascoltare (1Re 18-19), è voce tenue, «musica callada», che non si impone, tuttavia ha una forza, quella della verità, che è quella richiesta dal cammino.
La grammatica di questo cammino, nel sottosuolo della vita, è dimenticata perché ci sono quasi esclusivamente escursioni di superficie (F. Dostoevskij, Memorie dal sottosuolo), perché la cultura entro cui siamo immersi predilige la distrazione, l’informazione continua, internet. È facile essere distratti in questa giostra delle comunicazioni mediatiche e non essere più in grado di ascoltare le voci di dentro; tuttavia, la vera sfida consiste nell’intraprendere il cammino della propria interiorità, per non rischiare di vivere espropriati, fuori del proprio «castello» (S. Teresa di Gesù, Il castello interiore), in un triste gioco che rende il proprio «io», una monade senza alcun varco (Kafka, Il castello; E. Montale, Ossi di seppia).
… come carovana umana
Non sappiamo come andrà a finire questo cammino sinodale, il cammino di questa Chiesa che sento Madre e che ogni giorno tento di amare. In alcuni momenti mi attraversa la paura che tutto passi come una moda, sebbene questo cammino sia la vera stella, la possibilità che abbiamo, tutti e ciascuno, di camminare insieme come carovana umana, come uomini umani, come cristiani, semplicemente accanto, camminando senza parlare, guardandoci e sentendo che la comunicazione è vera, profonda, non perché mediata dalle parole ma dal semplice fatto di camminare insieme, di sentirci tutti viandanti, mai arrivati perché non si arriva mai, fino a quando si ha voglia e forza di stare nelle scarpe degli altri, sull’uscio della propria casa, ascoltando le storie dei camminatori, imparando a viaggiare con loro, nonostante la stanchezza e la vecchiezza.
Il Sinodo ci insegni a fare viaggi in perfetta immobilità, come quelli che fa una contemplativa o come quelli di chi vive nella propria cella, come quelli di un guardiano del faro. In questo cammino si possono vedere e registrare una quantità smisurata di cose fuori e dentro di sé, perché si può avere tanto da fare in un mondo dove teoricamente non succede nulla, semplicemente perché hai scelto di non vivere con internet, ma di usarlo semplicemente, nella condizione di chi vive il distacco dal mondo non semplicemente come distanza fisica dalle cose, ma come distanza dai tanti segnali che disconnettono il vero contatto con se stessi e con la vita.
Solo allora ti accorgi dello straordinario che c’è fuori, cogli il fascino di una bellezza semplicemente spettacolare, se poi tutto si silenzia dentro e l’eco infernale del quotidiano tace, solo allora apparirà la tua interiorità come il fragore di un fiume, come una mareggiata che accarezza la sabbia di una spiaggia, come una voce che ti sveglia la notte, come un desiderio che ti porta ad uscire e a stare sotto un cielo stellato, silente mentre tutto appare chiaro, mentre torni a parlare con te stesso, dialogando con quell’angelo della consolazione e della presenza, riuscendo a vederti dal di fuori e dentro, nella tua interiorità abitata.
Solo allora comprenderai che si può fare un viaggio immobili perché ogni cammino è solitario, anche quando accade in una carovana umana, trovando l’equilibrio di se stessi, il bagaglio necessario, perché ogni camminatore ha bisogno di alleggerire il bagaglio della vita, perché il viaggio è metafora di un cammino altro che si fa senza bagagli, soli e vulnerabili. Solo chi fa questo cammino gode di una umanità trasfigurata e di una compagnia che non smettono mai di affascinare.