LE ULTIME SETTE PAROLE
2025/3, p. 34
Sette testimonianze di donne che rifettono sulle ultime parole di Gesù sulla croce.
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Testimoni
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OSSERVATORIO LATINO AMERICANO
Le ultime sette parole
Sette testimonianze di donne che riflettono sulle ultime parole di Gesù sulla croce.
ÓSCAR A. ELIZALDE PRADA
«Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno»
La pienezza dell'amore è il perdono. Anni fa, a Medellín, ho incontrato una donna i cui tre figli erano stati assassinati. E l'ho sentita dire che ha perdonato gli assassini. Sembrava serena e pacifica, sempre solidale e attenta ai bisogni del prossimo. Non conosceva la parola vendetta, ecco perché la sua passione era la pace.
Gesù, con lo sguardo rivolto al Padre, ha chiesto perdono per i suoi carnefici. Aveva conosciuto la complessità del cuore umano. Tante volte si era imbattuto, lungo le curve della strada, in coloro che ingannano e calunniano, feriscono e feriscono, giudicano ed escludono. In punto di morte, lui stesso soffriva della barbarie umana. Ciò che il regime oppressivo non poteva togliergli era la purezza del suo cuore, la fede nell'umanità e la centralità nel Padre. E amando fino all'estremo, chiese il dono del perdono per i suoi carnefici.
Tanta ignoranza accumulata, tanto non sapere radicato, spesso ci collocano nello scenario di chi giudica e ferisce. Il nostro Dio, fatto misericordioso, ci guarda nel dolore e ci offre la pienezza del suo amore, del suo perdono. (sorella Liliana Franco, dottoressa in teologia e presidente della Confederazione Latinoamericana dei Religiosi e delle Religiose – CLAR).
«Oggi sarai con me in Paradiso»
E che male ha fatto? si chiese uno dei ladroni durante la crocifissione, pensando ai motivi che condannarono Gesù. Adesso ci sono anche uomini e donne come lui. Questo è segnato, condannato, pronto a morire, ma con la certezza di un ideale da raggiungere.
Vengono in mente i volti delle donne dei popoli indigeni, i cui problemi si estendono in tutto il bacino amazzonico. Minacciati, ma resistenti e resilienti, si organizzano per combattere i problemi causati dall’estrazione mineraria, dall’esplorazione petrolifera e dall’eccessiva deforestazione. La responsabilità di risolvere dilemmi come la carenza di cibo ricade sulle loro spalle: raccolti perduti, crescita demografica, violenza di genere e sfruttamento sessuale.
Secondo l'ultimo rapporto dell'organizzazione We Are Defenders, 119 donne sono morte mentre esercitavano la loro leadership. Le donne amazzoniche, come il loro territorio, soffrono varie forme di violenza, esproprio, mancanza di rispetto, incomprensione e abbandono da parte dello Stato. La frase di Gesù è anche per loro. Lo hanno confessato con la propria vita e hanno formato altri a guidare le loro comunità. Vivendo la loro fede, nonostante il dolore, dimostrano che si muore come si vive. Così ha fatto Cristo ed esse difendono la vita con coraggio aggrappandosi ad una grande promessa: oggi sarai con me in paradiso. (Paola Calderón Gómez, madre e maestra in comunicazione sociale).
«Ecco tuo figlio, ecco tua madre»
Mi è sempre piaciuto vedere la Parola di Dio nelle azioni concrete. Nel mio lavoro universitario sento che ogni giorno Gesù crocifisso mi dice: donna, ecco tuo figlio. Ci penso quando un giovane si avvicina a me in cerca di consolazione per la sua situazione familiare o quando incontro un giovane studente universitario che piange sulle scale. Mi viene in mente anche quando vedo un ragazzo che non trova un senso negli studi e ha già finito la laurea.
Non sono la loro madre biologica, ma seguendo l'esempio di Maria, Madre di tutti, non posso che aprire le braccia ed accoglierli. So che è giunto il momento di ascoltarli e di indicare loro un cammino di speranza nel Risorto. Forse li vedi solo una volta, forse altri vogliono un accompagnamento permanente. In ogni caso si tratta ancora una volta di donare il sì di Maria al Signore e al suo disegno di salvezza.
Dovremmo fare questa riflessione, non perché sia la Settimana Santa o perché siamo mamme, ma per l'imperativo di vivere il Vangelo giorno dopo giorno. Tutte possiamo essere madri! (Pilar Torres Silva, madre, comunicatrice e responsabile della pastorale universitaria).
«Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?»
Siamo invitati a esplorare la sofferenza umana e la ricerca di significato in mezzo alle avversità. Questo è quello che facciamo ad Aguapanelazo di fronte al dramma dei residenti di strada, espressione di solidarietà e amore verso gli emarginati dalla società. Le parole di Gesù sulla croce: «Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato?», trovano un'eco nell'esperienza di chi si sente impotente per le strade delle nostre città.
Con il cuore rivolto ai poveri e l'orecchio al Vangelo e alla realtà, sentiamo la chiamata a continuare a raccontare memorie, ad ascoltare la gente e a tessere sogni per un futuro più giusto e compassionevole per tutti. La voce di chi soffre risuona con forza e chiarezza, ricordandoci che l'amore e la solidarietà sono le vere risposte al grido di angoscia di una società. (Leidy Paredes, commercialista e coordinatrice di Aguapanelazo, un'iniziativa di solidarietà con i residenti di strada).
«Ho sete»
Quando penso all'espressione ho sete, penso al numero immenso, costante e ancora invisibile di ragazze, giovani, adulte e anziane che hanno proteso lo sguardo per accogliere l'altro, per portare il peso di una vita selvaggia dell’economia, l’angoscia di fornire cibo alle proprie figlie e ai propri figli, per sostenere la vita che sta svanendo nelle mani di megaprogetti che pensano solo ad espandere le proprie casse a scapito di porre fine alla vita degli altri.
Ho sete è l'espressione negli occhi di molti di loro che ci dicono cosa è ingiusto, ma sperimentano l'impotenza di risolvere queste realtà, perché ci sono sempre gli argomenti e le ragioni dell'economia, del mondo accademico e delle istituzioni che proclamano che i danni profondi della vita risultano collaterali e, pertanto, non hanno soluzione.
Quando ho sete penso ai tanti amici che si abbracciano, che dicono che nonostante tutte le avversità continueremo a denunciare ciò che ci colpisce e causa la morte, al di là dell'indifferenza. E penso che potremmo unire molte mani e bere nella speranza, nella gioia, nella libertà e nel ripristino di una vita giusta e amorevole. È ancora possibile cercare e trovare acqua da bere e bagnarci le labbra. (Clara Carreño, dottoressa in antropologia, professoressa universitaria, ricercatrice e attivista).
«Tutto è finito»
In altre parole, missione compiuta! È la parte di Gesù dopo aver donato la sua vita al servizio dei diseredati e degli scartati della società, come i malati o le donne, e prima di donare il suo spirito – lo Spirito di Dio, lo Spirito Santo – per guidare i suoi discepoli che, dopo la sua partenza verso Dio Padre, prolungheranno la missione di Gesù attraverso la storia. Ieri, oggi, sempre. Attraverso questa azione dello Spirito, i seguaci di Gesù hanno la responsabilità di assumere la missione che corrisponde a ciascuno di noi nell'ambiente familiare e sociale. Ma anche la possibilità di fare di quella missione una dedizione generosa al servizio di quanti hanno bisogno ogni giorno della nostra attenzione e della nostra vicinanza, insieme al nostro contributo alla costruzione della pace e della giustizia. E così possiamo dire con Gesù, missione compiuta! alla conclusione di ogni compito e con la soddisfazione di aver dato il massimo. (Isabel Corpas de Posada, madre, nonna e dottoressa in teologia).
«Padre, nelle tue mani affido il mio spirito»
L'evangelista Luca pone sulla bocca di Gesù queste parole, tratte dal salmo (31,6), concludendo così la passione di Gesù e l'accettazione volontaria della sorte che ha subito per la sua fedeltà all'annuncio del Regno. Questa informazione è importante quando si pensa alla storia delle donne. La passione e la croce non vanno mai accettate con rassegnazione o credendo che siano volontà di Dio e, poi, ripetere le parole di Gesù, come gesto di accettazione della sofferenza che la vita porta.
Dio non vuole la sofferenza delle donne, né la rassegnazione davanti a Lui. Dio vuole che si compia il suo disegno di salvezza per l'umanità, che consiste in una vita dignitosa, giusta, libera da ogni tipo di violenza e nella pace, per tutti.
Per questo Gesù si confrontò con le istituzioni religiose del suo tempo e rimase fedele per non stravolgere la volontà divina. In questo senso, lasciare la propria vita nelle mani di Dio significa fedeltà e non fallimento, significa resistenza attiva e non rassegnazione, significa militanza e non rinuncia alle proprie convinzioni. (Olga Consuelo Vélez, dottoressa in teologia e docente universitaria).
Attingiamo quindi a questa prospettiva, da sette donne che riflettono sulle ultime parole di Gesù sulla croce. Le donne, allora come oggi, sono chiamate a comprendere la passione e la croce, non come parte del loro essere donne, come se il loro destino fosse sofferto, ma come impegno a liberarsi da tutta la violenza che la società patriarcale ha consentito contro di loro. Nelle mani del Padre/Madre devono riporre le loro lotte e tutti i loro sforzi affinché «mai più» venga esercitata contro di loro alcuna violenza e, tanto meno, alcun femminicidio.