Chiaro Mario
Adulti e giovani, una «generazione ansiosa»
2025/3, p. 26
Cresce il numero dei giovani che ritengono di non essere compresi dagli adulti. Un’indagine «a specchio» evidenzia le principali cause di un signifiativo divario generazionale. Un libro corposo, che attinge alle ricerche più recenti e autorevoli, parla di «generazione ansiosa». Nell’epocale passaggio sociale e tecnologico, anche le comunità religiose sono chiamate a ofrire esperienze di comunione ai giovani nativi digitali, per generare benessere personale e relazionale.

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RAPPORTO DEMOPOLIS
Adulti e giovani,
una «generazione ansiosa»
Cresce il numero dei giovani che ritengono di non essere compresi dagli adulti. Un’indagine «a specchio» evidenzia le principali cause di un significativo divario generazionale. Un libro corposo, che attinge alle ricerche più recenti e autorevoli, parla di «generazione ansiosa». Nell’epocale passaggio sociale e tecnologico, anche le comunità religiose sono chiamate a offrire esperienze di comunione ai giovani nativi digitali, per generare benessere personale e relazionale.
MARIO CHIARO
Vale la pena iniziare riflettendo sui dati dell’indagine demoscopica promossa dall’Istituto Demopolis per l’impresa sociale «Con i Bambini», condotta su un campione nazionale stratificato di più di 4mila intervistati e integrato da un focus sui genitori con figli minorenni. in occasione della Giornata internazionale dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza (20 novembre 2024).
Generazioni nel cambiamento d’epoca
I campioni della ricerca sono gli adolescenti tra i 14 e i 17 anni, i genitori con figli in questa fascia d’età, la popolazione italiana maggiorenne. Dall’incrocio delle loro risposte emerge una relazione tra adulti e minorenni più disallineata rispetto alle passate generazioni. Un dato illuminante è quello riguardante il futuro: circa la metà degli under 18 lo affrontano con un certo ottimismo (45%), mentre i genitori guardano al domani dei figli con grande pessimismo (73%). A sentire i ragazzi, gli adulti non capiscono che essi vivono in un periodo davvero diverso dal loro; non riescono a comprendere appieno le loro idee e priorità; non percepiscono le loro idealità. In particolare, essi rimarcano l’incapacità degli adulti a comprendere il senso del loro rapporto «fusionale» con internet, cellulari e social (41%). Al contrario, i genitori considerano la loro immersione nel mondo virtuale come una vera e propria forma di dipendenza (84%): su questo punto osserviamo una notevole discrepanza, dal momento che solo il 22% dei figli ravvede un rischio nell’utilizzare i nuovi strumenti! Le altre preoccupazioni degli adulti riguardano, nell’ordine, la diffusione della violenza giovanile e delle baby gang, gli episodi di bullismo o cyberbullismo, il consumo di alcol e droghe, lo scarso apprendimento scolastico. La maggioranza assoluta dei genitori sostiene di sapere che cosa facciano i figli fuori casa e sono smentiti dal 70% dei giovani sotto i 18 anni. Tre adolescenti su dieci affermano di trascorrere online più di 10 ore al giorno, mentre secondo i loro genitori il tempo passato sullo schermo sarebbe di circa 5 ore.
Aspirazioni dei giovani e illusione degli adulti
Nonostante tutto, i giovani intervistati considerano prioritaria la famiglia (80%), seguita dalle relazioni amicali (68%) e sentimentali (60%). Si rileva poi l’importanza che essi danno al proprio benessere psicologico (59%). Agli ultimi posti di questa graduatoria valoriale troviamo l’impegno sociale, la religione e la politica. Poco meno della metà di loro è soddisfatta della vita scolastica (48%) e del tempo libero (45%). Si conferma che il desiderio per il futuro è quello di star bene con se stessi (65%), seguito dalla realizzazione economico-lavorativa, della salute e del costruirsi una famiglia, Inopinatamente basso è invece il desiderio di diventare famosi (solo il 20%). In termini generali, oltre un terzo segnala di aver paura della solitudine e di temere per la salute fisica o mentale. In questa luce forse è più comprensibile perché il 13% degli adolescenti ha risposto alla domanda «con chi condivideresti un tuo problema personale?» indicando lo psicologo o il medico, più di figure di riferimento quali l’insegnante, l’educatore o l’allenatore. Comparando le risposte, emerge con evidenza l’illusione dei genitori che i figli siano disposti a condividere un loro problema personale. Il dialogo tra generazioni diventa sempre più reticente quando si è chiamati a specificare la qualità delle azioni e relazioni sui social o a confrontarsi sul tema dell’alcol e delle droghe leggere. Rimane il dubbio sul fatto che gli under 18 siano disposti a manifestare appieno i timori che provano durante il tempo libero fuori casa: il 38% esprime la paura di essere vittima di episodi di violenza o bullismo (per le ragazze si arriva al 55%).
Giovani nativi digitali. La generazione ansiosa
L’autorevole psicologo sociale americano Jonathan Haidt, con il suo ultimo volume dal titolo La generazione ansiosa, può aiutarci a discernere le ragioni e i nodi problematici rilevati comunicazione intergenerazionale. Lo psicologo, facendo tesoro di importanti ricerche scientifiche e studi di settore, ci avverte che cavalchiamo l’onda lunga della cosiddetta «Generazione Z», quella che vive la transizione da un’infanzia fondata sul gioco a un’infanzia fondata sul telefonino. Nella storia recente è cruciale l’anno 2012: esce lo smartphone, l’apparecchio elettronico che combina le funzioni di un telefono cellulare e di un computer palmare, con videocamera frontale e connessione Internet veloce. Haidt definisce il periodo tra il 2020 e il 2015 la «Grande riconfigurazione» per la graduale perdita dell’infanzia fondata sul gioco. Nel corso di appena cinque anni sono stati riconfigurati gli schemi e le relazioni sociali, le emozioni, le attività fisiche e persino i ritmi del sonno! Oggi, i teenager (13-19 anni), come del resto gli adulti di riferimento, ormai trascorrono molte ore quotidianamente a «scrollare» messaggi (la navigazione continua sui social) e a guardare video proposti da algoritmi programmati con l’intento di inchiodare l’attenzione il più tempo possibile. In questo modo, inevitabilmente, i giovani passano meno tempo a fare esperienza del mondo reale e di fatto vengono privati di un «apprendistato sociale» fondamentale per lo sviluppo delle competenze necessarie alla vita adulta. Al progressivo spostamento dal mondo fisico a quello online è corrisposta da parte degli adulti una sorta di tendenza «paranoica» (cfr. le ricerche del sociologo britannico Furedi): hanno perso la fiducia reciproca, aumentando la supervisione sui figli, vedendo rischi e minacce ovunque. In questo modo c’è l’iper-protezione dei figli nello spazio reale e la scarsa sorveglianza in quello virtuale. Quando la sicurezza assume un valore quasi sacro e non permettiamo che essi corrano alcun rischio, impediamo loro di dominare l’ansia e l’autonomia, elementi essenziali per diventare un adulto sano e competente. Secondo Haidt, le conseguenze della «Riconfigurazione» dell’umano sono quattro danni fondamentali: la deprivazione sociale (solitudine), la privazione del sonno (con effetti di ampia portata: depressione, ansia, irritabilità, più incidenti), la frammentazione dell’attenzione e la dipendenza. La somma di questi aspetti spiega perché sta peggiorando la salute mentale delle giovani generazioni. In particolare, gli studi correlazionali ci aiutano a capire quanto i social media facciano male più alle femmine che ai maschi. Rispetto ai maschi, le ragazze stanno di più online; preferiscono le piattaforme di tipo visuale, come Instagram e TikTok, pericolose per il confronto sociale perché spingono a cercare di essere all’altezza dei modelli impossibili stabiliti dalle pubblicità e dalle mode.
Elevazione e degrado spirituale
Haidt ha fatto anche ricerche sulle «emozioni morali» e ha rilevato che una vita basata sul telefonino in genere attira le persone verso il basso: egli afferma che oggi il «vuoto a forma di Do» è spesso riempito con contenuti banali e degradanti. A questo punto, c’è bisogno di un’azione collettiva (autorità politiche, insegnanti e genitori), dal momento che abbiamo lasciato che i nostri giovani crescessero nelle reti dei social piuttosto che in comunità dove mettere radici. Lo psicologo sociale De Steno in un libro del 2021 (Come funziona Dio: la scienza alla base dei benefici della religione) passa in rassegna le ricerche sull’efficacia di pratiche come la meditazione, le forme della preghiera, dei riti e dei momenti conviviali. Si è scoperto che dedicarsi a tali pratiche migliora il benessere, riduce la concentrazione su se stessi e la solitudine, favorendo l’unione con gli altri. Ritornando alla ricerca condotta da Demopolis, rileviamo che l’83% degli italiani è convinto che servano più interlocutori adulti in ascolto degli adolescenti, che l’istituzione scolastica non può avere l’esclusiva sulle nuove generazioni e che la responsabilità della loro crescita appartiene a tutta la comunità. In questo nuovo contesto socio-culturale, le comunità virtuali rimangono una «rete in modalità profana» che rischia di alimentare nei giovani l’egocentrismo e la ricerca del successo quantificato da «like» e «follower» (i seguaci del proprio profilo). Le «comunità religiose» devono cogliere la sfida per mantenere viva la «sfera del sacro», proponendo forme di spiritualità attraenti e accessibili anche a chi non crede. Nel momento in cui le comunità si muovono in sincronia con genitori e scuola, si osserva che contribuiscono ad aumentare la coesione e la fiducia sociale. Infine. mentre i social ci incoraggiano a dare valutazioni sugli altri, anche con un linguaggio ostile, le spiritualità consigliano di essere più lenti a cadere nella rabbia e più veloci nel perdonare.