Morgante Patrizia
WE ARE PEOPLE ON THE MOVE
2025/3, p. 10
Siamo persone/popoli in movimento. L’impegno della vita consacrata al fianco di migranti e rifugiati

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Testimoni
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MIGRANTI E RIFUGIATI
We are people on the move
Siamo persone/popoli in movimento.
L’impegno della vita consacrata al fianco di migranti e rifugiati.
PATRIZIA MORGANTE
Un tema divisivo
La migrazione è un tema divisivo, anche se è una condizione dell’essere umano. Le persone, i popoli, la vita sono movimento e sono in movimento. È da sempre così, non solo nella nostra epoca, fatta di voli low cost e super turismo.
Ciò che divide è il passaporto: avere un documento europeo o di un paese considerato ‘ricco’ permette lo spostamento senza troppi ostacoli burocratici e culturali.
Essere in possesso di un passaporto diverso, pone la persona nella categoria del ‘possibile clandestino o clandestina’.
In questo momento storico emerge una onda politica particolarmente dura contro migranti e rifugiati. Non mi riferisco solo al recente insediamento e conseguenti dichiarazioni del 47° Presidente degli Stati Uniti d’America. È una tendenza alla quale stiamo assistendo dopo aver vissuto un anno, il 2024, detto anno delle elezioni politiche.
Lo vediamo nelle decisioni di diversi governi come anche nelle campagne elettorali: promettere tolleranza zero verso i flussi migratori fa guadagnare punti. Purtroppo, non solo a destra.
Migranti e rifugiati sono i capri espiatori di una società e di una politica sempre più centrate su una presupposta identità nazionale; pertanto, tendente a escludere chi non è come noi. Ma chi sono questi noi? Gli italiani? Chi sono gli italiani: quelli del nord-est o gli isolani? Il centro o la pianura padana? Noi italiani siamo un coacervo genetico che, personalmente, faccio fatica a definire chi è l’italiano o italiana tipo.
Si è coniata anche una nuova parola, remigrazione, per definire i rimpatri massivi verso i loro paesi di origine di persone immigrate.
«Tra le cose di cui non si parla, perché pericoloso e potenzialmente molto sovversivo che la gente ne sia informata, vi è la violenza simbolica. […] consiste nel tentativo da parte dei dominanti di imporre visioni del mondo, schemi di percezione, strutture mentali. Raggiunge il suo obiettivo quando i dominati aderiscono, consapevolmente o meno, a quest’imposizione e incorporano gli schemi e le classificazioni dei dominanti per percepirsi e valutarsi o per percepire e valutare».
La manipolazione dell’informazione mainstream su questo tema è un fenomeno non visibile ma preoccupante. Chi non ha strumenti conoscitivi per accedere ai dati e alle fonti per fare fact checking, è una vittima ideale per chi affabula da posizioni di potere, cercando, non solo di modificare la realtà raccontando cose non vere, ma di agire sulle coscienze delle persone, per provocare un’obbedienza cieca e convinta verso quella narrazione. Ho deciso di non fare nomi, ma, oggi diversi politici usano questa strategia, sapientemente definita Ipnocrazia, dall’omonimo libro di Jianwei Xun.
Al fianco dell’umanità in movimento
I politici, d’altronde, fanno il gioco che consente loro di non perdere consensi, quindi le loro strategie sono, sovente, a breve termine.
Chi non è legato a questa logica funzionale sono quelle religiose e religiosi che scelgono di vivere il Vangelo al fianco di migranti e rifugiati.
Suor Antonietta Papa, della Congregazione Figlie di Maria Missionaria, è la responsabile del progetto dell’UISG (Unione internazionale delle superiore generali) «Migranti in Sicilia». Rilascia un’intervista al SIR affermando: «Sul molo Favarolo di Lampedusa riceviamo le informazioni sugli sbarchi dal sito della Guardia costiera e poi ci avvisiamo a vicenda. Andiamo al molo e restiamo lì insieme alla Croce Rossa. Da quando gestiscono l’hot-spot c’è un approccio più umano con i migranti. Siamo in tanti ad accogliere le persone che sbarcano. Provati dal viaggio o dai naufragi, in ipotermia, impauriti, affamati e assetati, i migranti scendono dalle imbarcazioni che li hanno salvati. La Croce Rossa distribuisce tè, acqua e merendine. Oppure interveniamo quando la Croce Rossa non riesce a fare tutto. Appena sbarcati sono molto scioccati, soprattutto le donne. Spesso ci chiedono di accompagnarle in bagno. A volte ci fanno delle piccole confidenze. Raccontano il viaggio, quello che è successo».
Siamo figlie e figli di un Dio che si è rivelato attraverso racconti di esodi, di trasferimenti, di cammini tra terre diverse, di meticciamenti. Religiose e religiosi che vivono la loro consacrazione nella pastorale delle migrazioni non lo fanno perché sono persone buone, anche; ma credono che sia giusto salvare le persone in mare (oltre che stabilito dal Diritto internazionale e della navigazione) e sia giusto rispondere in modo empatico a chi arriva esasperato da un viaggio in mare. Non sono persone ingenue ma realiste e concrete.
Chi rischia la vita in mare non lo fa perché vuole venire a invadere territori non suoi: le testimonianze di migranti e richiedenti asilo ci dicono che non emigrano perché vogliono, ma perché non hanno alternative. La disperazione è talmente forte che preferiscono rischiare di morire affogati che rimanere in un luogo che, per varie ragioni non tutte imputabili al paese stesso, non offre loro una speranza di vita, né per sé né per le loro famiglie.
Non siamo ingenui e sappiamo che alcuni governi fanno accordi con persone che i migranti riconoscono come i loro torturatori o aguzzini nei paesi di transito o di partenza.
Oggi nessuna persona può dire ‘non sapevo’: il cinema, la letteratura e le organizzazioni che lavorano per e con i migranti rendono visibile ciò che avviene nel deserto, nei supposti centri di accoglienza, nelle carceri dei paesi di partenza.
Rete mondiale di religiose
Al fianco del progetto Lampedusa, la UISG ha in progetto di creare una Rete mondiale di religiose impegnate, in vari modi, nel sostegno delle persone migranti e rifugiate.
La formazione delle leader e delle sorelle impegnate in questa complessa missione è il primo passo importante. Così come contribuire a cambiare la narrazione sulla migrazione: con una buona comunicazione pulire il racconto da posizione ideologiche che deformano la realtà per adattarla a un’idea astratta, arricchendola invece di storie e racconti di volti e corpi concreti, dei loro sogni, delle loro aspirazioni.
La migrazione è una storia di corpi: talvolta denutriti, spogliati, umiliati, percossi, violati, affogati, sconosciuti, dimenticati; ma è anche storia di resurrezione: di chi è arrivato sulla riva e abbraccia l’operatrice che lo accoglie, come quella scena commovente del ragazzo africano con l’operatrice spagnola. In quello sguardo c’era la disperazione ma anche la sorpresa di avercela fatta.
Altri due aspetti fondamentali di questo impegno della UISG sono:
- Networking: la realtà è troppo complessa e interconnessa per poter lavorare in solitudine, è bene costruire una rete per poter rispondere in modo sistemico, efficace e articolato alle sfide che la migrazione pone alle comunità. La realtà migratoria cambia nel tempo e aggiornare le competenze per rispondere in modo adeguato richiede flessibilità e risorse adeguate. Ogni congregazione può offrire ciò che sa fare e sa essere al meglio: la diversità di carismi aiuta a creare questa rete e mantenerla.
- Advocacy: molte congregazioni sono presenti con loro ONG (Organizzazioni Non Governative) nelle organizzazioni internazionali. Parte della missione è fare pressione perché si prendano decisioni globali e si emanino leggi per una gestione giusta del fenomeno migratorio.
Pellegrine e pellegrini del mondo
La persona umana tende a mantenere lo status quo e a scegliere opinioni che confermano la propria visione del mondo. Molto rassicurante tutto questo ma anche mortifero. Un grande sonno della ragione e del cuore. La vita è movimento e cambiamento: la persona pellegrina, straniera, forestiera rappresenta uno scossone allo status quo, ci rimette in movimento, ci sollecita a rivedere le nostre categorie. E noi a loro.
Se l’altro/a è diverso da me, io sono diverso/a per lui/lei. Se io mi percepisco il centro, il resto del mondo è periferia; in questo quadro il diverso non sarà solo chi viene da un altro paese ma anche chi diverge dal mio modo di interpretare il mondo. Se riconosciamo di essere una rete complessa e interconnessa, accettiamo di essere un intreccio di periferie esistenziali e geografiche che si intrecciano e si incontrano.
Essere pellegrini e pellegrine di speranza, a mio avviso, significa essere capaci di superare barriere (mentali e fisiche), di oltrepassare confini ideologici e vivere la precarietà del meticciamento.
Nel mio sangue scorre sangue misto, e non sono l’unica. Siamo generazioni nate da movimenti migratori immensi, epocali e sì, anche difficili. Basterebbe riconnetterci con la nostra storia per assumere un atteggiamento diverso verso chi, oggi, vuole una vita migliore.
Vorrei chiudere questo modesto contributo con le parole che papa Francesco ha scritto nella Bolla di indizione del Giubileo ordinario della Speranza:
«Non potranno mancare segni di speranza nei riguardi dei migranti, che abbandonano la loro terra alla ricerca di una vita migliore per se stessi e per le loro famiglie. Le loro attese non siano vanificate da pregiudizi e chiusure; l’accoglienza, che spalanca le braccia ad ognuno secondo la sua dignità, si accompagni con la responsabilità, affinché a nessuno sia negato il diritto di costruire un futuro migliore.
Ai tanti esuli, profughi e rifugiati, che le controverse vicende internazionali obbligano a fuggire per evitare guerre, violenze e discriminazioni, siano garantiti la sicurezza e l’accesso al lavoro e all’istruzione, strumenti necessari per il loro inserimento nel nuovo contesto sociale».