Chiaro Mario
"Disarmare" la comunicazione
2025/3, p. 7
Comunichiamo in modo non ostile, con coraggio e mitezza? Il primo dei 36 grandi eventi dell’Anno della Speranza è stato il Giubileo del mondo della Comunicazione (25 gennaio 2025).

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IL PRIMO DEI 36 EVENTI GIUBILARI
«Disarmare» la comunicazione
Comunichiamo in modo non ostile, con coraggio e mitezza?
Il primo dei 36 grandi eventi dell’Anno della Speranza è stato il Giubileo del mondo della Comunicazione (25 gennaio 2025).
MARIO CHIARO
Papa Francesco ha incontrato circa 10mila giornalisti e rappresentanti dei media provenienti da più di 130 paesi. La giornata è iniziata ascoltando due importanti testimoni: Maria Ressa, giornalista filippina Premio Nobel per la Pace nel 2021, e Colum McCann, scrittore irlandese di fama internazionale. Mi ha sorpreso che il papa abbia scelto di parlare a braccio, consegnando alla stampa il testo completo. Ma così ha inchiodato tutti sulla sedia: «Comunicare è uscire un po’ da se stessi per dare del mio all’altro. E la comunicazione non solo è l’uscita, ma anche l’incontro con l’altro. Saper comunicare è una grande saggezza, una grande saggezza. Sono contento di questo Giubileo dei comunicatori. Il vostro è un lavoro che costruisce: costruisce la società, costruisce la Chiesa, fa andare avanti tutti, a patto che sia vero. «Padre, io sempre dico le cose vere… – Ma tu, sei vero? Non solo le cose che tu dici, ma tu, nel tuo interiore, nella tua vita, sei vero?». È una prova tanto grande. Comunicare quello che fa Dio con il Figlio, e la comunicazione di Dio con il Figlio e lo Spirito Santo».
La libertà di stampa e la libertà di tutti
Il Giubileo si celebra in un momento difficile della storia dell’umanità, con un mondo ancora ferito da guerre e violenze, dallo spargimento di sangue innocente. Nel discorso consegnato, il papa innanzitutto ha ringraziato tutti «gli operatori della comunicazione che mettono a rischio la propria vita per cercare la verità e raccontare gli orrori della guerra». Ha subito ricordato coloro che hanno sacrificato la vita in un anno tra i più letali per i giornalisti (secondo il Rapporto della Federazione internazionale dei giornalisti sono più di 120 quelli uccisi), ma anche quelli che sono imprigionati per essere stati fedeli alla professione (giornalisti, fotografi, video operatori: secondo Reporter Senza Frontiere sono più di 500 nel 2024) e per aver voluto andare a vedere con i propri occhi e aver cercato di raccontare ciò che hanno visto. Si è anche rivolto a chi ha potere di farlo, di liberare tutti i giornalisti ingiustamente incarcerati. «Sia aperta anche per loro una “porta” attraverso la quale possano tornare in libertà, perché la libertà dei giornalisti fa crescere la libertà di tutti noi. La loro libertà è libertà per ognuno di noi». Di seguito, ha chiesto che sia difesa e salvaguardata la libertà di stampa e di manifestazione del pensiero insieme al diritto fondamentale a essere informati. «Un’informazione libera, responsabile e corretta è un patrimonio di conoscenza, di esperienza e di virtù che va custodito e va promosso. Senza questo, rischiamo di non distinguere più la verità dalla menzogna; senza questo, ci esponiamo a crescenti pregiudizi e polarizzazioni che distruggono i legami di convivenza civile e impediscono di ricostruire la fraternità».
La liberazione del cuore alimenta il futuro
«Quella del giornalista è più che una professione. È una vocazione e una missione». Perciò il racconto dei fatti e il modo di raccontarli è importante: «il linguaggio, l’atteggiamento, i toni, possono essere determinanti e fare la differenza tra una comunicazione che riaccende la speranza, crea ponti, apre porte, e una comunicazione che invece accresce le divisioni, le polarizzazioni, le semplificazioni della realtà». Perché ciò accada, prima delle parole e delle immagini, ci deve essere studio e riflessione, capacità di vedere e di ascoltare, mettendosi soprattutto dalla parte degli emarginati e degli invisibili. La storia ci chiede il coraggio per operare un cambiamento necessario per superare la menzogna e l’odio. La parola «coraggio» deriva dal latino cor habeo, che vuol dire avere cuore: «spinta interiore, forza che nasce dal cuore abilitandoci ad affrontare difficoltà e sfide senza farci sopraffare dalla paura». Con il termine «coraggio», aggiunge papa Francesco, si possono ricapitolare tutte le riflessioni delle Giornate mondiali delle comunicazioni sociali degli ultimi anni, compreso il Messaggio per la 59ª Giornata: Condividete con mitezza la speranza che sta nei vostri cuori. Ascoltare con il cuore, parlare con il cuore, custodire la sapienza del cuore, condividere la speranza del cuore. «In questi ultimi anni è stato dunque proprio il cuore a dettarmi la linea guida per la nostra riflessione sulla comunicazione. Vorrei per questo aggiungere al mio appello per la liberazione dei giornalisti un altro appello che ci riguarda tutti: quello per la liberazione della forza interiore del cuore». Il Giubileo è proprio un’occasione per ritrovare il coraggio di liberare il cuore da ciò che lo corrompe. «Le scelte di ognuno di noi contano ad esempio per espellere quella “putrefazione cerebrale” causata dalla dipendenza dal continuo scrolling, “scorrimento” sui social media […] Abbiamo bisogno di un’alfabetizzazione mediatica, per educarci ed educare al pensiero critico, alla pazienza del discernimento necessario alla conoscenza; e per promuovere la crescita personale e la partecipazione attiva di ognuno al futuro delle proprie comunità».
Storie che nutrono la vita
I grandi cambiamenti iniziano dalla comunione dei cuori illuminati. Un cuore così è stato quello di san Paolo. Il cambiamento avvenuto in lui ha segnato la sua storia personale e quella di tutta la Chiesa. La metamorfosi di Paolo è stata causata dall’incontro personale con Gesù risorto e vivo. Il servizio di una buona comunicazione è proprio questo: «trovare le parole giuste per quei raggi di luce che riescono a colpire il cuore e ci fanno vedere le cose diversamente». La narrazione dell’illuminazione dell’apostolo delle genti è un invito a fare la sua esperienza. «Raccontare la speranza significa vedere le briciole di bene nascoste anche quando tutto sembra perduto, significa permettere di sperare anche contro ogni speranza. Significa accorgersi dei germogli che spuntano quando la terra è ancora coperta dalle ceneri. Raccontare la speranza […] e far camminare le cose verso il loro destino». Raccontare la speranza e condividerla, questa è la vera «buona battaglia».
«Disarmare» la comunicazione con la mitezza
Come si è visto, più volte si è fatto riferimento al Messaggio per la Giornata delle comunicazioni sociali, per denunciare i guasti dei media: generano paura e disperazione, pregiudizio e rancore, fanatismo e odio, semplificazione della realtà per suscitare reazioni istintive. «Vediamo tutti come – dai talk show televisivi alle guerre verbali sui social media – rischi di prevalere il paradigma della competizione, della contrapposizione, della volontà di dominio e di possesso, della manipolazione dell’opinione pubblica». In questo modo, oggi sembra indispensabile individuare un «nemico» per affermare se stessi! «Come ci ha insegnato don Tonino Bello, tutti i conflitti “trovano la loro radice nella dissolvenza dei volti”. Non possiamo arrenderci a questa logica». Per questo, Francesco indica tre messaggi che affiorano dalla Prima lettera di Pietro (3,15-16), mettendo in connessione la testimonianza con la comunicazione cristiana. Adorate il Signore, nei vostri cuori: la speranza dei cristiani ha un volto, il volto del Signore risorto. Essere pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi: l’amore vissuto suscita la domanda «perché vivete così?». Tuttavia, questo sia fatto con dolcezza e rispetto: in questo modo si esemplifica la risposta alla domanda. «La comunicazione in generale deve mostrare lo stile dei compagni di strada, seguendo il più grande Comunicatore di tutti i tempi, Gesù di Nazaret, che lungo la strada dialogava con i due discepoli di Emmaus facendo ardere il loro cuore per come interpretava gli avvenimenti alla luce delle Scritture».
Comunicazione e cura della vita interiore
Tra i sogni del papa è quello di una comunicazione che non venda illusioni o paure, ma sia in grado di dare ragioni per sperare. «Per fare ciò dobbiamo guarire dalle “malattie” del protagonismo e dell’autoreferenzialità, evitare il rischio di parlarci addosso: il buon comunicatore fa sì che chi ascolta, legge o guarda possa essere partecipe, possa essere vicino, possa ritrovare la parte migliore di se stesso ed entrare con questi atteggiamenti nelle storie raccontate. Comunicare così aiuta a diventare “pellegrini di speranza”, come recita il motto del Giubileo». Messi di fronte alle vertiginose conquiste della tecnica, è fondamentale avere cura della vita interiore. Questa cura si esplica in tanti modi: essere miti e non dimenticare mai il volto dell’altro; praticare una comunicazione che sappia risanare le ferite della nostra umanità; dare spazio alla fiducia del cuore che sboccia e cresce nei luoghi più impensati: nella speranza delle madri (pregano per rivedere i propri figli tornare dalle trincee di un conflitto), dei padri (migrano tra tanti rischi e peripezie in cerca di un futuro migliore) e dei bambini che riescono a giocare e a sorridere anche fra le macerie delle guerre e nelle povertà delle favelas.
Raccontare un Regno di Dio sempre vicino
Concludo queste sintetiche note riportando il Messaggio di papa Francesco indirizzato a Donald J. Trump, perché davvero mi sembra che sia una preziosa lezione di come comunicare con coraggio e ferma mitezza, oltre la diplomazia di circostanza. «In occasione del suo insediamento come quarantasettesimo Presidente degli Stati Uniti d’America, porgo un cordiale saluto e l’assicurazione delle mie preghiere affinché Dio Onnipotente le conceda sapienza, forza e protezione nell'esercizio delle sue alte funzioni. Ispirato dagli ideali della Nazione, terra di opportunità e di accoglienza per tutti, spero che sotto la sua guida il popolo americano prosperi e si impegni sempre nella costruzione di una società più giusta, in cui non ci sia spazio per l’odio, la discriminazione o l’esclusione. Allo stesso tempo, mentre la nostra famiglia umana affronta numerose sfide, senza contare il flagello della guerra, chiedo a Dio di guidare i suoi sforzi nella promozione della pace e della riconciliazione tra i popoli. Con questi sentimenti, invoco su di lei, sulla sua famiglia e sull’amato popolo americano l’abbondanza delle benedizioni divine».