Mastrofini Fabrizio
Artigiani di benedizione
2025/3, p. 3
Papa Francesco indica “la strada dell’umiltà” e invita a "disarmare la comunicazione".

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Testimoni
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FINESTRE SUL GIUBILEO
«Artigiani di benedizione»
Papa Francesco indica «la strada dell’umiltà» e invita a «disarmare la comunicazione».
FABRIZIO MASTROFINI
«Artigiani», umili ma operosi, attivi, efficaci. È il segno caratteristico di due appuntamenti importanti di papa Francesco tra fine 2024 e inizio 2025, nell’avvio dell’Anno Giubilare, che sarà lo sfondo di tutta l’attività pastorale di quest’anno. Il primo appuntamento ha riguardato il consueto incontro con la Curia Romana per lo scambio degli auguri; il secondo è l’importante Giubileo della Comunicazione, a gennaio, che ha coinciso con la pubblicazione del Messaggio per la Giornata Mondiale delle Comunicazioni sociali che come è noto si celebra in maggio.
Alla Curia, papa Francesco ha indicato «la strada dell’umiltà», che consiste nell’arte di esercitarsi ad «accusare se stessi», «secondo gli insegnamenti degli antichi maestri spirituali, in particolare di Doroteo di Gaza. Sì, proprio di Gaza, quel luogo che adesso è sinonimo di morte e distruzione, ma che è una città antichissima, dove nei primi secoli del cristianesimo fiorirono monasteri e figure luminose di santi e di maestri. Doroteo è uno di questi. Nella scia di grandi Padri come Basilio ed Evagrio, egli ha edificato la Chiesa con istruzioni e lettere piene di linfa evangelica. Oggi anche noi, mettendoci alla sua scuola, possiamo imparare l’umiltà di accusare se stessi per non dire male del prossimo».
Ma attenzione, non si tratta di un esercizio di masochismo spirituale, perché in questo senso si tradirebbe la vena spirituale di questo atteggiamento. «Chi si esercita nella virtù di accusare se stesso e la pratica in modo costante, diventa libero dai sospetti e dalla diffidenza e lascia spazio all’azione di Dio, il solo che crea l’unione dei cuori. E così, se ciascuno progredisce su questa strada, può nascere e crescere una comunità in cui tutti sono custodi l’uno dell’altro e camminano insieme nell’umiltà e nella carità. Quando uno vede un difetto in una persona, può parlarne soltanto con tre persone: con Dio, con la persona stessa e, se non può con questa, con chi nella comunità può prendersene cura. E niente di più».
Al fondo, dunque, troviamo un atteggiamento di umiltà e soprattutto un’attitudine positiva di benedizione verso gli altri. E si innesta il tema degli «artigiani di benedizione», cioè un ruolo propositivo della Chiesa – e quanti ne fanno parte – nei confronti del mondo e degli altri. E può, anzi deve essere, l’atteggiamento con cui si lavora nella Curia (e non solo, forse a tutti i livelli della Chiesa). «È bello pensare che con il lavoro quotidiano, specialmente quello più nascosto, ognuno di noi può contribuire a portare nel mondo la benedizione di Dio. Ma in questo dobbiamo essere coerenti: non possiamo scrivere benedizioni e poi parlare male del fratello o della sorella, rovina la benedizione. Ecco allora l’augurio: che il Signore, nato per noi nell’umiltà, ci aiuti ad essere sempre donne e uomini bene-dicenti».
«Disarmare la comunicazione»
E qui si riallaccia il Messaggio per la Giornata Mondiale delle Comunicazioni sociali, pubblicato in occasione del Giubileo della Comunicazione. Tema: «Condividete con mitezza la speranza che sta nei vostri cuori (cf. 1Pt 3,15-16)». Dare ragione della speranza, ha ripetuto molte volte il papa, significa in primo luogo «disarmare la comunicazione» quindi, in concreto, «vediamo tutti come – dai talk show televisivi alle guerre verbali sui social media – rischi di prevalere il paradigma della competizione, della contrapposizione, della volontà di dominio e di possesso, della manipolazione dell’opinione pubblica. C’è anche un altro fenomeno preoccupante: quello che potremmo definire della ‘dispersione programmata dell’attenzione’ attraverso i sistemi digitali, che, profilandoci secondo le logiche del mercato, modificano la nostra percezione della realtà».
Certo, sarebbe auspicabile che queste esortazioni – solo ultime in ordine di tempo – riescano a farsi strada nelle impostazioni di quei gruppi multimediali, anche cattolici, che nella disputa, nella competizione, nella polemica fine a se stessa e fuorviante, trovano modi per guadagnare e rispondono a interessi economici, a scapito della chiarezza e della correttezza dell’informazione. Anche nella Chiesa.
Per questo, papa Francesco si è rivolto in prima persona agli operatori della comunicazione – visto che cadeva appunto nelle giornate giubilari dedicate – indicando loro una prospettiva di lavoro molto specifica: trovare e far conoscere storie positive, storie di speranza. «Vi incoraggio perciò a scoprire e raccontare le tante storie di bene nascoste fra le pieghe della cronaca; a imitare i cercatori d’oro, che setacciano instancabilmente la sabbia alla ricerca della minuscola pepita. È bello trovare questi semi di speranza e farli conoscere. Aiuta il mondo ad essere un po’ meno sordo al grido degli ultimi, un po’ meno indifferente, un po’ meno chiuso. Sappiate sempre scovare le scintille di bene che ci permettono di sperare. Questa comunicazione può aiutare a tessere la comunione, a farci sentire meno soli, a riscoprire l’importanza del camminare insieme».
Le giornate giubilari hanno avuto due tappe. La prima ha riguardato l’incontro con il papa e i numerosi appuntamenti di approfondimento in diversi luoghi della città di Roma. Papa Francesco ha consegnato un ampio discorso, limitandosi ad un breve saluto parlando a braccio, per dare spazio al suggestivo percorso tra i partecipanti nell’Aula Paolo VI, dedicando tempo e spazio a brevi momenti di saluto e scambio.
Nel discorso – che occorre leggere per intero – il papa ha indicato anche qui una pista di lavoro estremamente precisa. «Abbiamo bisogno di un’alfabetizzazione mediatica, per educarci ed educare al pensiero critico, alla pazienza del discernimento necessario alla conoscenza; e per promuovere la crescita personale e la partecipazione attiva di ognuno al futuro delle proprie comunità. Abbiamo bisogno di imprenditori coraggiosi, di ingegneri informatici coraggiosi, perché non sia corrotta la bellezza della comunicazione. I grandi cambiamenti non possono essere il risultato di una moltitudine di menti addormentate, ma prendono inizio piuttosto dalla comunione dei cuori illuminati».
La seconda tappa, di rilievo, ha riguardato l’incontro con i direttori degli Uffici diocesani della Comunicazioni Sociali e con i Vescovi presidenti degli Uffici di Comunicazione.
«Insieme e Rete» sono i due concetti sviluppati da papa Francesco. E qui occorre soffermarsi. Perché prima di tutto il papa ha notato che solo una coerente comunicazione interna può generare una efficace comunicazione esterna. «Vi incoraggio pertanto a rafforzare la sinergia fra di voi, a livello continentale e a livello universale. A costruire un modello diverso di comunicazione, diverso per lo spirito, per la creatività, per la forza poetica che viene dal Vangelo e che è inesauribile. Comunicare, sempre è originale. Quando noi comunichiamo, noi siamo creatori di linguaggi, di ponti. Siamo noi i creatori. Una comunicazione che trasmette armonia e che è alternativa concreta alle nuove torri di Babele. Pensate un po’ su questo. Le nuove torri di Babele: tutti parlano e non si capiscono. Pensate a questa simbologia». E in questo senso «Sorelle, fratelli, la nostra rete è per tutti. Per tutti! La comunicazione cattolica non è qualcosa di separato, non è solo per i cattolici. Non è un recinto dove rinchiudersi, una setta per parlare fra noi, no! La comunicazione cattolica è lo spazio aperto di una testimonianza che sa ascoltare e intercettare i segni del Regno. È il luogo accogliente di relazioni vere. Chiediamoci: sono così i nostri uffici, le relazioni fra noi? La nostra rete è la voce di una Chiesa che solo uscendo da se stessa ritrova se stessa e le ragioni della propria speranza».
Anche qui, sarebbe auspicabile che all’esortazione segua una concreta analisi di cosa si fa e di quali sono le reali procedure di lavoro e di impegno, dando voce a tutti coloro che sono negli uffici, in un clima di ascolto, la cui finalità è una maggiore coerenza tra ideale e reale.
Il Giubileo della Comunicazione non a caso si è concluso nella Domenica della Parola di Dio, il 26 gennaio. E papa Francesco ha indicato a ‘cosa serve’ la Parola di Dio. «Gesù ha già compiuto la profezia di Isaia. Realizzando la nostra liberazione, ci annuncia che Dio si fa vicino alla nostra povertà, ci redime dal male, illumina i nostri occhi, spezza il giogo delle oppressioni e ci fa entrare nel giubilo di un tempo e di una storia in cui Egli si fa presente, per camminare con noi e condurci alla vita eterna. La salvezza che Egli ci dona non è ancora attuata pienamente, lo sappiamo, e tuttavia guerre, ingiustizie, dolore, morte non avranno l’ultima parola. Il Vangelo è infatti parola viva e certa, che mai delude. Il Vangelo non delude mai».