Gaetani Luigi
Tempo di paura e speranza
2025/2, p. 1
Prosegue la presentazione dei contenuti della 64ª Assemblea Generale della Conferenza Italiana Superiori Maggiori, celebrata in Assisi.

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Tempo di paura e speranza
Prosegue la presentazione dei contenuti della 64ª Assemblea Generale della Conferenza Italiana Superiori Maggiori, celebrata in Assisi.
LUIGI GAETANI
La vita religiosa vive questo tempo come qualcosa che tocca le viscere, la parte più sensibile dei sogni, dei desideri, della esperienza comunitaria, della sua stessa missione e avverte che la dimensione istituzionale deve cedere il passo alla eccedenza carismatica, dove le paure devono incontrare la speranza, il tempo deve tessere trame di senso rispetto al futuro, poiché senza significato e fine del tempo tutto resta a mezza strada, senza escatologia.
Albert Camus, in un articolo del 1946 (Né vittime, né carnefici), afferma: «Nel mondo in cui viviamo ciò che colpisce è anzitutto che la maggior parte degli esseri umani (esclusi i credenti d’ogni sorta) sono privi di futuro. Hanno paura di non avere futuro, di essere a corto di futuro, di disporre di una vita breve».
I toni e i contenuti di questa pagina, scritta oltre 70 anni fa, sono profetici, soprattutto nel passaggio in cui dichiara che gli uomini hanno davanti un avvenire bloccato, che la fiducia dell’uomo nell’altro uomo è svanita, perché il lungo dialogo tra essi è stato interrotto, e che un uomo che non si può convincere è un uomo che fa paura.
«Presi in mezzo, tra la paura assai generale di una guerra che tutti preparano e quella tutta particolare delle ideologie assassine, viviamo nel terrore […] perché l’uomo è stato consegnato tutto intero alla storia e non può più volgersi verso quella parte di sé, altrettanto vera quanto quella storica, che egli ritrova davanti alla bellezza del mondo e dei volti. […] Soffochiamo in mezzo a coloro che sono convinti di avere assolutamente ragione, tanto nelle loro macchine quanto nelle loro idee. […] Per uscire dal terrore bisognerebbe riuscire a riflettere e ad agire sulla base delle proprie riflessioni. Ma il terrore, appunto, non è un clima favorevole alla riflessione […] La paura è una tecnica».
Esiste un’industria che lavora sulla paura. In questi ultimi anni siamo passati dalla paura del terrorismo, alla paura degli incendi, da quella della siccità e del riscaldamento globale a quella dei vaccini e dei terremoti: la paura domina, interessa, pare essere il metro di discernimento della vita personale e collettiva; la paura è una sorta di paradigma della realtà e del mondo interiore, fino all’affermazione che tu sei la tua paura.
La paura si infiltra, rende tutto incerto, «La paura ha un odore…» afferma Giorgio Gaber in un famoso monologo ad essa dedicato, denunciando quanto essa si nutra delle nostre insicurezze, dei nostri pregiudizi e sospetti, offuscando la nostra capacità di osservare la realtà e la verità, minando le relazioni ed impedendoci di costruirle.
Ascoltiamo il testo La Paura di Gaber:
«E camminando di notte, nel centro di Milano, semideserto e buio e vedendomi venire incontro, l’incauto avventore, ebbi un piccolo sobbalzo nella regione epigastrico duodenale che a buon diritto chiamai, paura o vigliaccheria emotiva.
Sono i momenti in cui amo la polizia. E lei lo sa, e si fa desiderare. Si sente solo il rumore dei miei passi, avrei dovuto mettere le Clark.
La luna immobile e bianca disegna ombre allungate e drittissime. Non importa, non siamo mica qui per fare delle fotografie dai.
Cappello in testa, e impermeabile chiaro che copre l’abito scurissimo, l’uomo che mi viene incontro, ha pochissime probabilità di essere Humprey Bogart. Le mani stringono al petto qualcosa di poco chiaro.
Non posso deviare, mi seguirebbe, il caso cane gatto è un esempio chiarissimo. Finché nessuno scappa, non succede niente, appena uno scappa, quell’altro… Ed è giusto, perché se uno scappa, deve avere una buona ragione per essere seguito, altrimenti che scappa a fare? Da solo? In quel caso si direbbe semplicemente, corre, e se lui non mi seguisse, non ho voglia di mettermi a correre come un cretino alle due di notte per Milano, senza le Clark.
La luna, è sempre immobile e bianca, come ai tempi in cui c’erano ancora le notti d’amore. Non importa, proseguo per la mia strada, non devo aver paura, la paura è un odore, e i viandanti lo sentono. Sono peggio delle bestie questi viandanti, è chiaro che lo sentono.
Ma perché sono uscito? Avrei dovuto chiudermi in casa, e scrivere sulla porta, non ho denaro, a titolo di precauzione, per scoraggiare ladri e assassini. E lo strangolatore solitario? Quello se ne frega dei soldi.
Dovrei andare a vivere in Svizzera, non si è mai abbastanza coraggiosi da diventare vigliacchi definitivamente.
Ma l’importante ora è andare avanti, deciso. Qualsiasi flessione, potrebbe essere di grande utilità al nemico. La prossima traversa è vicina e forma un angolo acuto... acuto o ottuso, non importa. Però sento che lo potrei raggiungere l’angolo, e allora... ma il nemico avanza, allunga il passo, o è una mia impressione?
Ricordati del cane e del gatto, anche lui ha paura di me. Devo puntargli addosso come un incrociatore, sì, avere l’aria di speronarlo, ecco così, è lui che si scosta disegna una curva. No, mi punta.
Siamo a dieci metri. Le mani stringono al petto... un grosso mazzo di fiori, un mazzo di fiori? Chi crede di fregare? Una pistola, un coltello, nascosto in mezzo ai tulipani, come sono furbe le forze del male.
Eccolo, è a cinque metri, è finita, quattro tre due un...
Ahhhh, niente, era soltanto, un uomo. Un uomo che senza il minimo sospetto, mi ha sorriso, come fossimo due persone. È strano, ho avuto paura di un’ombra nella notte, ho pensato di tutto, l’unica cosa che non ho pensato… è che poteva essere semplicemente, una persona.
La luna continua a essere immobile e bianca, come ai tempi in cui, c’era ancora l’uomo».
Nel cristianesimo il contrario della paura non è il coraggio dell’eroe, ma la speranza, quella tenace incoercibile forza che si fonda sulla certezza e che è sempre pronta a ripartire, alzare il capo e ricostruire, che non si dà per vinta o abbattuta, ma è capace di visione e di futuro: «La speranza è un rischio da correre, anzi è il rischio dei rischi» (Georges Bernanos)».
Pensare profeticamente
La vita religiosa, come ricordava il card. Martini, deve prendersi tempo, deve tornare a pensare profeticamente, bevendo alla fonte del Vangelo, facendo il contrario di quello che accadde qui ad Assisi nel 1221, quando si celebrò il capitolo delle stuoie, dove una Regola di vita intrisa di Vangelo sembrava un fatto per pochi intimi e non più un testo che potesse dare forma ad una comunità cresciuta troppo in fretta. Francesco, in quella circostanza, chiamò frate Elia Coppi e lo proclamò Vicario dell’Ordine. Dopo ciò volle rimanere come nascosto tra la folla dei frati. Era una sorta di «uscita di scena», potremmo definirla, previa al suo ritiro alla Verna dove Francesco arriva già ricco della sua fragilità e della forza di Dio, in una commistione che lo fa conforme all'Amato, fino alla somiglianza fisica. Francesco non ha paura di quello che sta accadendo sotto i suoi occhi arrossati e pieni di lacrime, crede soltanto che la lettura dei segni dei tempi, quel suo contrarsi, «racchiudono l’anelito del cuore umano, bisognoso della presenza salvifica di Dio, chiedono di essere trasformati in segni di speranza»<p> Francesco, <i>Bolla del Giubileo ordinario dell’anno 2025</i>, n. 7. <p/><p> <p/>.