La zona d'interesse
2025/2, p. 38
Il regista Jonathan Glazer ha collaborato con il Museo di Auschwitz per
analizzarne gli archivi e scoprire di più dei fatti raccontati nel libro. Egli ha dichiarato di aver contemplato per anni l’idea di raccontare l’orrore dal punto di vista dei carnefici e di aver trovato proprio nel romanzo il «permesso» di poter fare un film così rischioso. Siamo di fronte a un’opera da vedere e condividere come forte proposta educativa per la custodia della memoria collettiva.
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La Zona d’Interesse (The Zone of Interest)
Regia di Jonathan Glazer. Un film con Christian Friedel, Sandra Hüller, Johann Karthaus, Luis Noah Witte, Nele Ahrensmeier. Titolo originale: The Zone of Interest. Genere Drammatico, Storico, - Gran Bretagna, Polonia, USA, 2023, durata 105 minuti.
MARIO CHIARO
Proponiamo un film drammatico e crudele, vincitore di due premi Oscar (miglior film internazionale e miglior sonoro), un adattamento cinematografico dell’omonimo romanzo del 2014 scritto da Martin Amis. Il regista Jonathan Glazer ha collaborato con il Museo di Auschwitz per analizzarne gli archivi e scoprire di più dei fatti raccontati nel libro. Egli ha dichiarato di aver contemplato per anni l’idea di raccontare l’orrore dal punto di vista dei carnefici e di aver trovato proprio nel romanzo il «permesso» di poter fare un film così rischioso. Siamo di fronte a un’opera da vedere e condividere come forte proposta educativa per la custodia della memoria collettiva.
La «normalità» dell’Olocausto
Siamo nella Polonia del 1943. Mentre nel campo di concentramento di Auschwitz avvengono sempre più grandi atrocità, al di qua del muro c’è una villetta con giardino e piscina. Qui vive la famiglia di Rudolf Höss, il comandante del campo di concentramento sempre più convinto della «soluzione finale». Con sua moglie Hedwig e i cinque figli vive all’interno della cosiddetta «zona di interesse», un’area di circa 40 Km attorno al lager. Il padre porta i figli a nuotare e a pescare, mentre alcuni detenuti lo aiutano con i lavori più pesanti; la madre cura il giardino e si occupa della casa, mentre si sentono colpi di arma da fuoco, l’abbaiare in lontananza dei cani da guardia, le urla disperate dei deportati che chiedono pietà, i comandi gridati dagli ufficiali. La famiglia ignora volutamente tutto ciò. Nella villetta lavorano come domestiche alcune ragazze polacche: una di loro di notte esce per nascondere cibo nei luoghi di lavoro dei prigionieri. Diventa il simbolo della bontà insita nell’animo umano, un’energia positiva e un faro di speranza dentro il male assoluto: «È davvero diventata la mia stella polare in ogni modo possibile mentre giravo il film» ha dichiarato il regista a Vanity Fair. Certo il male continua la sua corsa: vediamo gli effetti personali degli internati (abiti, gioielli, cosmetici) consegnati alla famiglia, che ne conosce la provenienza (una delle figlie fa la dieta per indossare un abito, sapendo che appartiene a una donna che sta morendo di fame!).
La mostruosa felicità
La coppia Höss mostra soddisfazione per aver realizzato la casa dei sogni. La famiglia non sente niente di tutto ciò che supera il suo recinto, concentrata solo sulla sua porzione di felicità. Eppure, col tempo si evidenziano anche i problemi del vivere così vicini al campo: ad esempio, appaiono le ceneri umane disperse nel fiume dove stanno pescando i figli e la fuga della madre della padrona di casa sconvolta dalle fiamme del crematorio visibili dalla camera delle bambine. Quando il comandante riceve l’ordine di trasferirsi, la moglie chiede di rimanere nella casa per continuare la propria vita in quello che definiscono il loro piccolo «paradiso». La scelta di inquadrature fisse senza alcuno zoom contribuisce alla creazione di questa atmosfera cruda ed essenziale. L’effetto è quello di un’immersione totale nella casa, per raccontare i nazisti non come «anomalie» ma come specchio in cui ciascuno può ritrovare un riflesso di se stesso. La linea di confine rappresentata dal muro permette al regista di mettere in scena un altro film: oltre quell’ostacolo ripreso nella sua imponenza c’è tutto l’orrore, lontano eppure molto vicino. Per rinforzare questo messaggio, ci sono tagli simbolici in cui lo schermo diventa nero, per spingerci a guardare nel buio dell’orrore e della tragedia che si sta consumando. Ci sono anche riprese in cui si passa a uno schermo rosso, per evidenziare la necessità del fermarsi a pensare allo spargimento di sangue. Tutti indizi che portano ad allontanarci dalla immoralità che fuoriesce dalla visione. Nel finale del film, Höss scende una lunga scalinata e si ferma in preda alla nausea e ai conati di vomito: è il corpo che si ribella manifestando l’orrore che è dentro di lui, come le ceneri delle persone che ha fatto uccidere!
Il cinema custode della memoria
Davanti a questo film, risalta l’importanza del racconto cinematografico della Shoah. Negli anni Novanta è prevalso il racconto drammatico e la testimonianza di chi ha rischiato la propria vita per salvare vittime innocenti: un esempio straordinario è Schindler’s List girato da Steven Spielberg nel 1993. Nel tempo si sono aggiunte nuove prospettive narrative, anche con toni umoristici ed educativi: vedi La vita è bella (1997) di Roberto Benigni e Train de vie (1998) di Radu Mihăileanu. Nel 2020 si è fatto notare Jojo Rabbit di Taika Waititi, una commedia drammatica dal tratto satirico (una favola nera in cui un bimbo di dieci anni dialoga con Hitler, suo amico immaginario). Nel 2023 è arrivato uno sguardo «diverso» sulla Shoah: è la pellicola che stiamo presentando, in cui si affronta il campo di concentramento di Auschwitz non entrandoci mai. Un film duro e sorprendente, che destabilizza col racconto cinico della miseria umana di una famiglia, in apparenza perbene, che si rivela essere totalmente amorale mostrando fino a che punto può arrivare la follia che distrugge ogni diritto della persona. Glazer ci presenta il ritratto degli artefici dell’Olocausto e la normale vita quotidiana che essi hanno svolto nonostante la strage in corso. «Tutto è al servizio dello sguardo al presente. Non volevo fare un film che facesse percepire una distanza di sicurezza da quegli eventi» sono le parole del regista riguardo l’intento del film. Così egli ha sottolineato di aver voluto raccontare la vicenda non «di sicuro nel passato», ma come «una storia del qui e ora, attraverso la lente del XXI secolo».