Il "don Bosco di Adrano"
2025/2, p. 32
Padre Antonino La Mela, sacerdote umile e saggio, tenace e instancabile, attento ai poveri e al gregge posto sotto la sua cura, in particolare i bambini e i giovani. Vero pastore di anime ha predicato con i fatti più che con le parole, è stato maestro perché testimone.
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TESTIMONI
Il «don Bosco di Adrano»
Padre Antonino La Mela, sacerdote umile e saggio, tenace e instancabile, attento ai poveri e al gregge posto sotto la sua cura, in particolare i bambini e i giovani. Vero pastore di anime ha predicato con i fatti più che con le parole, è stato maestro perché testimone.
suor MARIA CECILIA LA MELA, osbap
C’è un brano evangelico che ben si adatta a padre Antonino La Mela, eccezionale Sacerdote che ha lasciato una traccia profonda e indelebile nel cammino cristiano di tantissime persone. «In quella stessa ora Gesù esultò di gioia nello Spirito Santo: “Ti rendo lode, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così hai deciso nella tua benevolenza”» (Lc 10,21-22). Gioia e gratitudine, stupore e lode al Padre per mezzo di Gesù nello Spirito Santo perché, nella sua benevolenza, ha voluto donarci un ministro dell'altare umile e saggio, tenace e instancabile, un piccolo uomo che è stato grande nella preghiera e nella missione di educatore, attento ai poveri e al gregge posto sotto la sua cura, in particolare i bambini e i giovani. Vero pastore di anime che ha predicato con i fatti più che con le parole, che è stato maestro perché testimone, era nato ad Adrano (CT) il 12 dicembre 1899 da una famiglia di contadini profondamente religiosa, gente onesta fino all’osso, gente umile e capace di una grande apertura. Erano in 10: 6 sorelle e 4 fratelli. È stato ordinato sacerdote il 26 ottobre 1924 e subito destinato alla chiesa «Maria SS. del Rosario» annessa all’ex-convento dei domenicani.
Afferrato dalla grazia divina, sostenuto dall'intercessione materna della Madonna e dai puntuali «consigli» di santa Teresa di Gesù Bambino della quale era devotissimo, coadiuvato da ottimi collaboratori che ha saputo formare e stimolare, ha seminato largamente sul buon terreno della Chiesa. I frutti ancora permangono nel suo paese e in ogni luogo là dove nipoti, «rosariani», e altri fedeli si sono trasferiti portando sempre con loro l'incanto di questo uomo di Dio. È un ricordo di santità ancora vivo in quanti lo hanno conosciuto e nell’immaginario delle generazioni successive alle quali i nonni continuano a raccontare gli anni più belli della loro giovinezza fioriti all’ombra di quell’oratorio – ricostruito tenacemente dopo i bombardamenti della Seconda guerra mondiale – per il quale il Fondatore e primo Rettore ha speso tutta la sua vita.
Appassionato educatore della gioventù
Il «Don Bosco di Adrano», come veniva definito da tutti, radunava infatti ragazzi di ogni estrazione sociale facendoli interagire tra loro senza discriminazione alcuna. Così in una testimonianza sul suo operato: «Ha creato l’oratorio per i fanciulli e faceva entrare chiunque, per tutto il giorno; c’erano quelli benestanti che si portavano il pranzo e la merenda nel cestino, ma la maggior parte di essi non aveva nulla da mangiare. Lui si impegnava in tutti i modi e sacrifici a dare loro gratis il pranzo caldo e la merenda. Ma come? Nel suo tempo libero andava bussando nelle case di famiglie abbienti e a loro chiedeva l’elemosina o magari cereali o qualsiasi cosa per sfamare quei bambini». Buona parte dei «rosariani» sono stati e sono ancora pienamente presenti, con la loro profonda testimonianza cristiana, in varie realtà socio-culturali, oltre che religiose. Stimolava tutti allo studio e a dare un contributo cristiano alla società.
Questa presenza sacerdotale è stata preziosa non solo nella Chiesa ma anche nella società adranita per l’alto valore educativo dell’operato tanto che, oltre a una via cittadina, negli anni gli sono stati dedicati anche dei plessi scolastici in linea con quanto espresso nelle varie delibere istituzionali, «poiché il personaggio ha lasciato un segno intangibile nella cultura con quel suo modello didattico-educativo che sapeva coniugare alla perfezione i luoghi dell'apprendimento con quelli dell'approccio con Dio». Ecco perché nella memoria collettiva è rimasto l’educatore della gioventù per eccellenza.
Don Antonino amava molto le passeggiate e la montagna e vi portava sempre i suoi ragazzi. Di lui si esaltano soprattutto la bontà, la semplicità, la personalità forte e l’umiltà. Era anche un appassionato di mitologia e della storia locale e la raccontava sempre ai ragazzi, così come i tristi aneddoti di guerra che utilizzava nelle catechesi. Aveva infatti partecipato alla Prima guerra mondiale quando era ancora chierico.
Grande nella fede, gigante nella carità
Stimato anche da noti «mangiapreti», non era un grande oratore, ma sapeva entrare nell’intimo di tutti e avvicinarli al Vangelo. Così un’altra testimonianza: «Tutti ci accostavamo a lui nella confessione, chiedendogli anche dei consigli riguardo le avversità che si incontrano durante la vita. Con il suo animo buono ci era di grande conforto e coraggiosamente ci mandava a casa con l’animo sereno. Un giorno ci raccontò che, per ottenere una grazia ad una persona a lui tanto cara, ha intimato a santa Teresa: “Io mi siedo qua, anche fino alla notte se non prima mi concedi questa grazia!”. Un giorno un signore è andato da lui dicendogli: “Ho portato dei soldi che ho promesso alla Madonna del Rosario”, ma lui gli ha risposto: “Vai a comprare del cibo ai tuoi figli, la Madonna li ha già ricevuti!”».
È vissuto come un povero perché donava tutto alla gente bisognosa. «È stato un prete generoso e andava in giro con la tonaca rattoppata pur di spendere i soldi per fare andare avanti l’oratorio e attirare i giovani per farli crescere nella fede in Dio e insegnare loro l’onestà. Coltivava lui stesso gli ortaggi per poi dividerli ai poveri, avendo un pezzo di terreno chiamato zona Paricchia distaccata 3 km da Adrano e ci andava ogni volta a piedi». Nel 1974 è stato ricoverato al «Cenacolo» (ospizio) di Biancavilla (CT) perché malato e povero: per sua scelta non aveva chiesto aiuto a nessuno dei familiari e tutto quello che possedeva lo aveva lasciato alla sua amata chiesetta e ai suoi ragazzi. Negli ultimi mesi della sua vita non poteva più muoversi e parlare, ma la serenità che irradiava a quanti lo andavano a trovare era un vero dono di Grazia. In un biglietto aveva scritto: «Grazie a Dio celebro ogni giorno la santa Messa. Al Cenacolo io sto benissimo. Non manco di nulla nel fisico e nello spirito. Ci vogliamo tutti bene. Avendo molto camminato, ora non cammino più; avendo parlato molto ora parlo solamente nella preghiera e nella celebrazione della Santa Messa. Parlate voi, mi fate molto piacere. Grazie tante!».
Celebrare la messa, seguita dall’instancabile recita del Rosario, era per Lui il centro e il significato della sua vita. Così lo ritrae uno di quei ragazzi di allora oggi uomo maturo: «Quella talare che lo rivestiva, quasi a sostituire la pelle, era la carta d'identità di un uomo piccolo… di taglia ma che faceva rifulgere la sua figura immensa e prorompente. Sopra l'altare era un gigante, un gigante umile ma altero perché consapevole che la sua testimonianza servisse per esaltare il Signore nostro Dio e per presentarlo a noi quale rifugio, quale punto di riferimento certo e costante.
Nessuno passava davanti a lui senza ricevere la sua attenzione: un sorriso; un (falso) rimprovero che tentava di nascondere la sua improbabile rigidità; la sua immancabile domanda: “dove stai andando?”; il suo sguardo che ti seguiva e che arrivava dritto al cuore per accompagnare quel momento che, qualunque cosa si facesse, ne voleva condividere le dinamiche di vita, diventando relazione del cuore […].
Ricordo padre La Mela nella sua stanzetta buia, al cui passaggio, quasi come un riflesso condizionato, ci si girava percorrendo il corridoio perché si sapeva che fosse lì – come una presenza che non poteva mancare – a contemplare Dio e ad amarlo attraverso la preghiera, ringraziandolo per quella endemica confusione, che faceva finta che lo disturbasse, di noi ragazzi della scuola elementare la mattina e dell'oratorio nelle ore pomeridiane e serali.
Il corridoio era la pista che, attraverso quelle scale che profumavano di gelsomino, il cui profumo inebria i nostri ricordi, ci slanciava fino al campetto sterrato del Rosario, dove la voglia di correre, di giocare, di vedersi con gli altri, trovava uno sfogo senza limiti e... alzando lo sguardo, padre La Mela era lì, a guardarci, a pensare quanti giovani, nella polvere e nel fango, palla al piede, lì “al Rosario”, non erano altrove, dove non avrebbero mai avuto il privilegio e la fortuna di ascoltare la Parola di Dio e sperimentato quell'esperienza sana e indistruttibile che si sarebbero portati addosso per tutta la vita.
Lo rivedo ancora quel suo volto indimenticabile, dalla pelle il cui tempo non ne faceva trasparire l'età, cordiale a modo suo, sereno, determinato nel dettare tempi e modi.
Nessuno di noi, di quelli che lo hanno conosciuto, neanche a volerlo, riuscirebbero a dimenticarlo e ringraziarlo per quello che a ciascuno ha donato e che porta dentro […]. Se ancora oggi – a circa 60 anni da quell'esperienza che ci ha formato e che ci richiama a ricordare a noi e ai nostri figli ciò che siamo – parliamo di padre Antonino La Mela, è perché dentro quella talare, a cui ci ha chiamati e avvolti, ci siamo rimasti, per testimoniare nelle nostre vite i valori della fede, del rispetto, dell'amore, del sacrificio, della costanza, dell'umiltà, della condivisione e della carità che padre La Mela ci ha mostrato, ci ha fatto conoscere e ci ha donato per diventare anche noi strumento di Dio».
Il «don Bosco di Adrano» è morto il 3 settembre 1976. «I suoi funerali – racconta una nipote – sono stati un’immagine indimenticabile per la tristezza che ciascuno di noi portava nel cuore e la grande folla di persone che lo circondavano: ognuno voleva portare la bara in spalla. Hanno deciso, essendo in tanti, ogni 5 minuti, lungo la strada per arrivare al cimitero, di cambiare persona. Quelli che lo facevano, compivano con tanto affetto il dovere di portare in spalla padre La Mela. Mi ricordo che un signore non si voleva togliere di sotto la bara: aveva chiesto altri 5 minuti per compiere pure il dovere di suo fratello che si trovava fuori».
E vogliamo concludere con quanto scritto nella pagellina-ricordo in occasione del trigesimo della morte: «Signore che hai detto “lasciate che i fanciulli vengano a me”, ti ringraziamo di averci amato ed educato attraverso il tuo sacerdote Antonino La Mela che tutto se stesso e tutte le sue cose ha dato per il bene spirituale dei giovani».
La gratitudine al Signore non poteva esprimersi altrimenti che in preghiera. Tanto è grande!