Bissi Anna - Cagnazzo Elisa
La cananea
2025/2, p. 30
L'intercessione

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Testimoni
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VOCI DI DONNA
La cananea
L’ intercessione
ANNA BISSI – ELISA CAGNAZZO
Il vangelo di Matteo tratteggia la personalità della cananea con pennellate che ci offrono di lei il ritratto di una vera madre coraggio. È infatti molto femminile e materno questo modo di pensarsi «una cosa sola» con la propria figlia. La donna supplica il Signore perché abbia pietà di lei, ma il bene che essa desidera ricevere riguarda non la propria persona, ma quella di sua figlia.
Le sue armi sono fisiche: il grido, attraverso il quale impone il proprio dolore anche a coloro che non hanno voglia di ascoltarla; questi desiderano che il Signore compia il miracolo non in quanto mossi da pietà, ma perché stanchi di sentirla urlare. Accanto alla voce, è significativa anche la posizione del corpo: essa, come ci dirà ancora il testo, rivela il suo coraggio – «si avvicinò» – e la sua umiltà – «si prostrò». Al di là della forza con cui la corporeità di questa donna riesce a imporsi agli altri, c'è la sua impressionante solidità psicologica. Se nell'intensità del suo slancio la cananea riflette i tratti della femminilità calda e compassionevole, nel suo modo di reagire essa sembra non conoscerne i limiti e le debolezze. […] È determinata a farsi ascoltare, a trovare il suo posto tra i salvati di Dio. La disperazione del suo dolore diventa allora la via d'uscita dalla sua condizione di donna, straniera e pagana. Il suo grido di supplica dice che il dolore è dolore, che sia ebreo o pagano. Si avvicinò, forse perché prima gridava da lontano, e si prostrò dinanzi a lui. Come i magi, pagani come lei, ella si accosta adorante a Colui che riconosce come la sorgente di quella salvezza che tanto desidera. Delle molte parole con cui prima si era rivolta a Gesù ora non le resta in bocca che una supplica semplice. Quando il dolore è così intenso le parole non servono più, la supplica si fa essenziale: «Signore, aiutami!». […] Scorgiamo in lei la capacità di intercettare e farsi voce del gemito della figlia, della sua implorazione segreta, del suo voler accedere a una vita nuova, una vita vera. Ritroviamo in lei ciò che il cardinale Martini definisce come vocazione tipicamente femminile, che consiste nel cogliere e individuare i gemiti dell'universo intero e offrirli, sintonizzarli, sulla stessa lunghezza d'onda dei gemiti dello Spirito Santo.
La psiche femminile è dotata di una particolare predisposizione per cogliere i segni della sofferenza umana e cercare di trovare risposte concrete. Esse non si esprimono solo attraverso l'impegno fattivo, i gesti di solidarietà, ma anche come capacità di immedesimazione nel dolore altrui. In quell'intrecciarsi di «me» e «mia», che caratterizza l'invocazione, nell'urlo della cananea troviamo l'espressione tangibile di questa comunione in cui non è più possibile individuare a chi appartenga davvero la sofferenza. La partecipazione, la condivisione non si limita però al semplice sentire e là dove non può diventare gesto concreto, soluzione, liberazione immediata dal dolore, si fa invocazione, preghiera.
[…] Il monaco copto Matta el Meskin scrive: «In Cristo, Dio si è abbassato scendendo negli abissi più profondi dell'anima umana e, con amore e santità, ha illuminato tutte le tenebre della sua natura, dissipando le sue pene, rompendo i suoi ceppi e le sue illusioni, donandogli tutto ciò che appartiene a una vita migliore, grazia su grazia». Da questo momento, tutti i valori che l'uomo proclama, ogni suo grido in cui si rivela una tensione verso il bene, esprimono - spesso in modo inconsapevole - il suo desiderio di incontrare Dio. L'intercessione, allora, non rappresenta più unicamente il segno della nostra appartenenza alla grande famiglia umana; essa diventa anche il segno del «cammino di rinnovamento e di costruzione del grande corpo dell'umanità», quel corpo descritto dall'apostolo Paolo, quando parla di «ricondurre al Cristo, unico capo, tutte le cose, quelle nei cieli e quelle sulla terra» (Ef 1,10): il «corpo divino, santo, dilatato, sconfinato, che abbraccia tutta l'umanità attraverso l'adozione».
La cananea – madre coraggio – manifesta allora con il suo grido l'anticipazione di quella figliolanza, che permette di rivolgersi con umile fiducia al Cristo, «padre della nuova umanità» nella certezza che il grido rivolto per il bene dell'altro – a cui si è legati ancor più che da un vincolo umano da un rapporto di fraternità universale – sarà certamente esaudito.