La fede e le domande di senso
2025/2, p. 27
La vita consacrata non è più una scelta per giovani che cercano un senso nella propria vita. Perché? Ci sono tante altre opzioni? Perché si può essere missionari/e senza i voti religiosi? Perché la vita consacrata per come è adesso non è compatibile con giovani delle nuove generazioni?
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GIOVANI IN RICERCA
La fede e le domande di senso
La vita consacrata non è più una scelta per giovani che cercano un senso nella propria vita. Perché? Ci sono tante altre opzioni? Perché si può essere missionari/e senza i voti religiosi? Perché la vita consacrata per come è adesso non è compatibile con giovani delle nuove generazioni?
PATRIZIA MORGANTE
Una delle preoccupazioni più forti della vita consacrata oggi è la diminuzione sostanziale di nuove vocazioni, attraverso le quali mantenere vivo il proprio carisma.
Questo avviene soprattutto nei paesi più laicizzati e secolari, come l’Europa. Se questo quadro non si contestualizzasse dentro un movimento generale di cambiamento, potrebbe essere vissuto in modo colpevolizzante o come un fallimento da parte di consacrate e consacrati.
A mio avviso, aiuterebbe tornare alle origini degli istituti per comprendere perché e come sono nati. Oggi abitano un contesto completamente cambiato e che si trasforma con una velocità mai sperimentata nella storia. Questo non significa che il carisma non abbia più un suo senso, ma richiede un’attualizzazione con conseguente capacità dei suoi membri di adattarsi, di uscire dal conosciuto per sperimentare cammini di cui, quando si intraprendono, non si conosce l’orizzonte, il punto di arrivo.
«… Come è possibile immaginare che il modo di credere avvenga al di fuori di ciò che accade attorno a noi e che si riflette in noi? Il mondo giovanile è quello in cui si rispecchia in modo più chiaro, più naturale, più profondo questo processo e tocca tutti gli aspetti dell’esistenza».
Un’altra sfida è accettare ciò che non possiamo modificare: cioè che la vita consacrata non è più una scelta per giovani che cercano un senso nella propria vita. Perché? Ci sono tante altre opzioni? Perché si può essere missionari/e senza i voti religiosi?
Perché la vita consacrata per come è adesso non è compatibile con giovani delle nuove generazioni? Non ho una risposta ma di una cosa sono certa: per quanto le congregazioni possano investire nella pastorale vocazionale, non ci sarà, nel breve periodo, un’inversione di rotta. Dico nel breve periodo perché lo Spirito soffia dove vuole e non vorrei riflettere un’arroganza tipica di noi umani di sapere sempre tutto.
Quando parlo di pastorale vocazionale, intendo un concetto molto più ampio di trovare candidate per l’istituto che la promuove. È un camminare, con competenza e empatia, insieme a coloro che cercano una direzione nella propria vita. Fare questo cammino come consacrate al fianco di giovani in ricerca è un’esperienza di spogliamento dalle proprie aspettative e desideri.
Google fa pastorale vocazionale: almeno il primo passo!
Lo sviluppo delle Tecnologie dell’Informazione e della Comunicazione hanno modificato, non solo il paradigma e i valori dove le nuove generazioni crescono, ma anche il modo in cui cercano risposte alla propria sete di fede e di spiritualità. I giovani e le giovani hanno sete di senso, ma lo cercano in modo diverso e, soprattutto, non si accontentano di risposte preconfezionate che, spesso, sono abituati a ricevere frequentando parrocchie e oratori.
Google e le reti sociali sono i nuovi promotori vocazionali. Quindi qual è il ruolo degli istituti di vita consacrata per la promozione vocazionale?
Prima di tutto investire in una buona identità digitale e comunicazione ben fatta per dire chi sono nel mondo delle reti sociali e virtuali. Saper raccontare, con linguaggi multimediali freschi e innovativi, la bellezza e specificità del proprio carisma, è una nuova sfida per la vita consacrata.
«Lo stile ecclesiale è percepito come vecchio (è l’aggettivo più usato in percentuale per qualificare la Chiesa), noioso, freddo, chiuso. È chiaro che una realtà percepita in questo modo non può risultare attrattiva, interessante, coinvolgente».
Serve anche uno svecchiamento di attitudini, gesti, simboli che, oggi, non dicono la stessa cosa delle origini. Cosa frena i consacrati e consacrate a fare questo svecchiamento per tornare a vedere l’essenziale da condividere?
Come intercettare il bisogno di fede e di spiritualità delle nuove generazioni? Primo passo fondamentale è conoscerli per poterli ascoltare e fare un cammino al loro fianco.
Chi sono i giovani?
Sociologicamente parlando, i giovani sono persone dai 18 ai 30 anni; nelle società in cui si sperimenta un ampliamento della fascia giovanile, si tende ad allargare la categoria fino ai 35 anni.
«Conoscere ciò che si sta muovendo in una generazione più chiacchierata che conosciuta è un compito urgente. Occorre abbandonare gli stereotipi con cui abitualmente si guarda e si giudica una generazione piena di risorse, che si sente lasciata ai margini, impossibilitata a offrire al mondo in cui si affaccia il proprio originale apporto».
L’approccio più comune è dare risposte prima di aver ascoltato e ruminato le loro domande; oppure offrire sentenze a comportamenti che, a uno sguardo superficiale, possono essere interpretati come anomali, incivili e amorali; o, ancora peggio, dare risposte a domande che non si pone più nessuno.
Le persone candidate alla vita religiosa appartengono, realisticamente, alle generazioni fine Millennial e Zeta che sono cresciute nel brodo digitale; sono, cioè, nate con internet, non conoscono e fanno fatica a immaginare un mondo senza lo smartphone e l’accesso immediato ai social e alle informazioni.
In particolare, la GenZ (generazione Z) nata tra il 1990 e il 2010, è quella più numerosa tra le aspiranti. Generalizzando, la GenZ è una generazione che si informa sui social, creativa, distopica, iper-connessa, non binaria, che non riconosce con facilità l’autorità derivata dal ruolo ma quella della reputazione, che preferisce fare esperienze che leggerne, che sta abituando il proprio cervello alla multimedialità e alla velocità.
Come si inserisce e quali difficoltà incontra questa generazione a contatto con una struttura e organizzazione della vita consacrata, tendenzialmente verticistica e analogica? Non sto dicendo che la vita consacrata deve cambiare secondo le mode, ma adattarsi nei linguaggi, negli approcci, nei simboli è urgente, non solo per chi entra ma anche per il benessere di chi ci vive ora.
Giovani in ricerca: chi lascia e chi resta
Un elemento chiarissimo emerso dalla ricerca della Fondazione Toniolo è che i giovani vivono ancora il senso del trascendente e della spiritualità, solo che non trovano corrispondenza e accoglienza nella Chiesa cattolica. Non solo per un dogmatismo eccessivo che pone un grande peso morale sulle spalle delle persone o per una idea della sessualità un po’ anacronistica e staccata dal corpo, ma per l’assenza di uno spazio sicuro dove esprimere e abitare domande generative che non presuppongono risposte preconfezionate ma cammini di ricerca impegnativi e incerti.
«I giovani hanno un forte senso della propria individualità, che si manifesta in una potente esigenza di autorealizzazione quando non anche di affermazione di sé. Tendono a riportare tutto a sé stessi con conseguenze rilevanti: l’esaltazione della libertà individuale, la crisi di ciò che nella vita è oggettivo – autorità, istituzioni, regole -, il rischio di un soggettivismo esasperato e narcisistico, la difficoltà a fare i conti con l’esperienza del limite. I più giovani hanno una forte esposizione alle emozioni. Solo un’esperienza calda, intensa e appassionante per loro vale la pena di essere vissuta. Ciò che accade coinvolge tutta la persona e non solo la mente o la volontà».
Siamo preparate a camminare al fianco di questa generazione con queste caratteristiche, senza giudicare?
Un pomeriggio di qualche anno fa, ho assistito a una conversazione tra mia nipote e sua figlia di 12 anni: parlavano di una compagna di scuola che aveva messo in giro delle voci poco carine su di lei; si era sentita quasi bullizzata da questa dinamica, diceva che la sua reputazione era a pezzi. Ho compreso solo alla fine che il tutto era avvenuto nella chat delle compagne e non nella classe, cioè non era avvenuto in uno spazio fisico. È stato un momento di insight profondo: il mondo era irreversibilmente cambiato e io, come adulta, dovevo rivedere le mie categorie.
Come and see, Vieni e vedi
«Si potrebbe forse dire che molti abbandoni nascano da una passione, ancora prima e ancor più da un rifiuto; da una ferita che non si rimargina».
Aprire le comunità religiose a giovani e a gruppi di giovani per fare un’esperienza di condivisione della fede e della vita comunitaria è una buona opzione per rispondere a questa sete di fede che non ha contorni chiari. Offrire spazi sicuri dove si possano esprimere a partire dalle loro contraddizioni e domande, è un servizio profetico di pastorale vocazionale. Come donne e uomini adulti, le consacrate e i consacrati, sono chiamate/i a creare le condizioni perché le nuove generazioni possano fiorire e fare il loro cammino. Caratteristica dell’adultità è la generatività: saper dare vita, non solo biologica, a chi il futuro lo vivrà più di noi e che sarà chiamata/o ad accompagnarlo e liberarlo.
«Vorrei una Chiesa: libera, aperta, accogliente inclusiva, semplice, povera, leggera, più vicina, attuale, innovativa, comprensiva, autentica, apolitica, umile, rispettosa, gioiosa… Chiudo qui l’elenco degli aggettivi con cui i giovani rappresentano il loro sogno di Chiesa».