De Gasperi e Dossetti: la difficile sincronia
2025/1, p. 45
Essi incarnano due modelli di cattolicesimo politico per la democrazia
italiana, esprimendo anche approcci alternativi. Da loro possiamo ancora imparare molto: De Gasperi ci mostra come misurarsi con la dura realtà, prendendola sul serio e non illudendosi di risolverla a parole; Dossetti ci ricorda che non si fa politica nei momenti di crisi senza avere «visione» della storia e dell’avvenire.
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CATTOLICESIMO E POLITICA
De Gasperi e Dossetti: la difficile sincronia
Essi incarnano due modelli di cattolicesimo politico per la democrazia italiana, esprimendo anche approcci alternativi. Da loro possiamo ancora imparare molto: De Gasperi ci mostra come misurarsi con la dura realtà, prendendola sul serio e non illudendosi di risolverla a parole; Dossetti ci ricorda che non si fa politica nei momenti di crisi senza avere «visione» della storia e dell’avvenire.
MARIO CHIARO
Alcide De Gasperi (1881-1954) e Giuseppe Dossetti (1913-1996) sono state due figure decisive per il destino del nostro paese. Furono capaci di traghettare l’Italia nel delicatissimo periodo del dopoguerra, di mettere le basi con la Costituzione della Repubblica e di perseguire una strategica alleanza europeista. Due uomini diversi per età, formazione e visione politica. I loro rapporti furono improntati a una vera stima reciproca, ma anche a una faticosa ricerca di “sincronia” politica. Lo testimonia un particolare scambio di missive. De Gasperi, rispondendo a una lettera di Dossetti (febbraio del 1949) che esprimeva con determinazione, una presa di distanza dalla politica estera del Governo, il successivo 5 marzo scrive: «[…] Il mio dispiacere per le difficoltà intrinseche di una collaborazione, che sarebbe così augurabile e così feconda è grave come il tuo. Sarei felice se mi riuscisse di scoprire ove si nasconda la molla segreta del tuo microcosmo, per tentare il sincronismo delle nostre energie costruttive. Ma ogni volta che mi pare di esserti venuto incontro, sento che tu mi opponi una resistenza che chiami senso del dovere. E poiché non posso dubitare della sincerità di questo tuo sentimento, io mi arresto, rassegnato, sulla soglia della tua coscienza» (Dossetti, Scritti politici, p. 231). Al di là delle diverse prospettive culturali e politiche, c’era una difficoltà reciproca a comunicare le proprie concezioni del mondo e la visione di una «democrazia cristiana».
La tensione tra Vangelo e democrazia
In quegli anni, intorno allo statista trentino Alcide De Gasperi, si coagula un settore dentro il partito più attento al ruolo del Parlamento, alle relazioni con le altre forze politiche e alle dinamiche di governo. Allo stesso tempo, il gruppo che fa riferimento al politico emiliano Giuseppe Dossetti sviluppa una maggiore attenzione alle istanze di rinnovamento della società e alla costruzione di un partito capace di elaborare programmi di sviluppo del paese. Le due posizioni sono riconducibili a una diversa base culturale, religiosa e generazionale (circa trent’anni dividono i due). In ogni modo, De Gasperi si adopera per mettere in piedi un partito nazionale e popolare, con funzione anti-totalitaria, in cui potesse riconoscersi la maggioranza degli italiani: un nuovo soggetto politico dei cattolici, per riconciliare un paese diviso da conflitti politici, confessionali e classisti. Semplificando, De Gasperi è un riformista liberal-democratico, un «moderato creativo» secondo la definizione dello storico Pietro Scoppola. Dossetti è un progressista che modella la DC come strumento principale della rappresentanza, un veicolo della volontà del popolo sovrano che viene trasferita, attraverso i gruppi parlamentari, dentro le istituzioni. Il politico emiliano sente il compito di realizzare un forte cambiamento del paradigma del potere, realizzando così il progetto politico espresso nella parte della Costituzione dedicata alla riforma della struttura sociale ed economica. Per Dossetti la strategia degasperiana delle coalizioni con le forze minori di centro rischia di non adempiere alla missione di costruire una democrazia orientata a favorire i ceti popolari più deboli. Nel 1991, egli ricorda la «tensione di ricerca» del suo gruppo (intorno alla rivista Cronache sociali) che viene stroncata all’interno di un partito che ha fatto precipitare tutto, prima in una piattezza spaventosa, e poi in una decomposizione ideale inevitabile, con la conseguente corruzione morale […] Troncare la tensione di ricerca ha voluto dire togliere il momento unitivo e quindi ridurre la Democrazia Cristiana, il partito e tutto il mondo cattolico a una clientela continua» (cf. F. Mandreoli Dossetti p. 33). Questa tensione lo accomunerà all’amico Aldo Moro, che indicava il valore del «non appagamento» nell’impegno politico.
I due stili di laicità
Se approfondiamo il confronto tra il pensiero di De Gasperi e quello di Dossetti, possiamo identificare due stili di laicità, superando il luogo comune di una laicità degasperiana contrapposta a un integralismo dossettiano. Entrambi, infatti, sono portatori di un modello di partito che si presenta a ispirazione cristiana e laico. De Gasperi sottolinea il nesso fra cristianesimo e democrazia, con un carattere non confessionale. Dossetti si concentra sul nuovo rapporto fra Stato e Chiesa, proponendo una delimitazione tra sfere di influenza e di garanzia delle laicità dello Stato: «A me pare che per noi cattolici il modo efficace di pensare alla costruzione della casa nuova sia anzitutto partire da questa premessa. Non avere paura dello Stato». Come si vede, la laicità della politica è rivendicata sia da De Gasperi che da Dossetti. Di fronte alla lettera di papa Pio XII del 10 febbraio 1949, De Gasperi sottolinea l’autonomia del partito nei confronti dell’Azione cattolica: «[…] la distinzione più ovvia delle funzioni si trova nel criterio della responsabilità. Chi porta la responsabilità della decisione, ha anche la responsabilità dell’azione. L’esigenza suprema è quella della cooperazione e integrazione, pur con distinta responsabilità» (cf. De Gasperi scrive, a cura di M.R. De Gasperi, 1974). Sulla stessa lunghezza d’onda troviamo un Dossetti, che nel convegno del movimento «Civitas Humana» esprime forti riserve nei confronti di un meccanico passaggio di quadri dall’Azione cattolica italiana alla Democrazia Cristiana, sottolineando le forme distorte della laicità presenti nell’organizzazione (cf. Dossetti, op. cit., p. 53). È comunque opportuno rilevare che, mentre De Gasperi è preoccupato del rapporto con i vertici dell’associazionismo cattolico, Dossetti si premura di prendere le distanze da ogni commistione tra azione pastorale cattolica e azione di partito. Insomma, per entrambi, non si trattava di rendere cattolica la società, ma di immettere nella società elementi propri del cristianesimo come la socialità, la ricerca della giustizia, il senso della comunità. Indubbiamente, i due leader sono stati capaci di portare la Chiesa ad accettare il sistema democratico, allontanando le tentazioni di uno stato confessionale. per contribuire a radicare i cattolici nel cuore della Costituzione.
Gli snodi del confronto
L’esperienza politica di De Gasperi era maturata attraverso un lungo percorso dentro la cornice del sistema liberaldemocratico; quella di Dossetti, esponente della seconda generazione, era inserita nel clima segnato dal fascismo e dalla lotta di liberazione nazionale. Entrambi avvertono la necessità della partecipazione dei cristiani cattolici alla vita politica, per cercare di conquistare un ruolo centrale nella società italiana. I metodi e gli obiettivi di questa partecipazione segnano la differenza, a partire dall’idea della «rivoluzione»: per De Gasperi la democrazia rappresentava il terreno dell’anti-rivoluzione, per Dossetti la costruzione di un nuovo ordine democratico esigeva una riforma profonda delle proprie strutture politiche ed economiche, attraverso un partito attore centrale del sistema politico, per attuare la «rivoluzione» culturale e politica utile per il paese. Questa diversa prospettiva, rileggendo i documenti e le lettere, segna un contrasto di fondo tra i due uomini politici su molti temi. Secondo la linea dossettiana, occorre inserire nella nuova democrazia le masse attirate dai partiti di sinistra, cercando il loro assenso a un progetto politico capace di realizzare l’uguaglianza e la giustizia sociale. Secondo la linea degasperiana, va mantenuto il giudizio negativo sulle forze di sinistra, che rimangono estranee allo stato democratico perché incapaci di accettare il metodo della libertà. Per questo motivo, lo statista trentino continuamente ricerca alleanze con i partiti rappresentanti il ceto medio borghese: tale fedeltà alle «coalizioni di centro» finisce però per intaccare l’immagine programmatica della DC. Il «partito di programma» auspicato da Dossetti verrebbe dunque sostituito da un «partito di mediazione», impedendo così la rivoluzione della struttura produttiva del paese e dell’etica che la modella (cf. G. Dossetti. L’invenzione del partito). In questo contesto, la questione chiave riguarda il metodo democratico interno al partito. Questo punto è divisivo sin dall’inizio: in una lettera del 28 febbraio 1946, Dossetti rimprovera a De Gasperi la continua estromissione del direttivo della DC dalle decisioni di maggior rilievo e il sistematico impedimento a far «prevalere sul metodo della manovra governativa e del patteggiamento di gabinetto – abile sì, ma troppo abile per essere compreso, apprezzato e seguito alla lunga dalle masse – il metodo dell’azione organica di partito, formativa e suscitatrice in strati sempre più vasti di uno slancio collettivo vitale e rinnovatore». Queste diverse concezioni dei processi e dei metodi, in quel particolare contesto storico, mostrerà la forte divergenza in tre momenti molto significativi: la scelta del referendum istituzionale (monarchia o repubblica), la scelta dell’Alleanza atlantica e la politica economica nel dopoguerra.