Rut
2025/1, p. 40
L'amore fedele
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Testimoni
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VOCI DI DONNA
Rut
L'amore fedele
ANNA BISSI – ELISA CAGNAZZO
Chi apre il vangelo di Matteo trova immediatamente un elenco, all'apparenza interminabile, di nomi, per lo più sconosciuti e divisi in gruppi di quattordici, che si conclude con la nascita di Gesù. La lunghezza di questo testo mette in evidenza come la Parola, facendosi carne, abbia davvero assunto la nostra storia, si sia radicata sulla terra affondando le radici nelle vicende umane, talvolta gloriose ma spesso squallide o semplicemente semplici e quotidiane, come è la storia di tutti noi. All'interno di questo elenco di uomini che aprono la strada al Salvatore, troviamo citate anche quattro donne: Tamar, Racab, Rut e Betsabea. […]. Quattro donne molto diverse – tra cui una prostituta e una straniera – per dirci appunto che Dio, facendosi uomo, ha assunto in toto la nostra umanità.
Tra queste quattro donne è citata Rut, la Moabita, bisnonna di Davide e raro esempio di nuora non in conflitto con la suocera, a cui è legata da un affetto che parla di solidarietà e di fedeltà. Rut esprime alcuni degli aspetti più belli della femminilità: il suo cuore è caldo, affettuoso, il suo voler bene attento e discreto; inoltre, non si lascia vincere dalla tentazione di pensare solo a se stessa e ai propri interessi per intessere, invece, legami solidi, duraturi e fedeli.
A buon motivo, dunque, merita di essere citata nella genealogia di Gesù: il suo amore, infatti, è riflesso di quello di Dio, che nel mistero dell'incarnazione contempliamo come il Fedele per eccellenza, fedele fino al punto di prendere su di sé il peso della nostra fragilità perché noi potessimo assumere la sua divinità.
[…]
Il libro di Rut, il più breve dell'Antico Testamento, è una perla che mette in scena, attraverso l'esemplarità dei suoi personaggi, la fedeltà di Dio e la portata della sua Provvidenza. Silenzioso e discreto filo rosso che si intreccia con le storie e le libertà degli uomini.
Il modo di porsi di Rut rispetto alla suocera interpella in merito alla nostra capacità di credere alla fedeltà di Dio; nello stesso tempo invita a chiedersi se nel nostro povero amore è presente almeno un riflesso di quella stessa fedeltà che Egli ha dimostrato fino al punto di dare la vita per noi.
Il libro inizia in un contesto di carestia, di mancanza: non esiste solo la mancanza del pane, ma anche quella degli affetti. Le tre donne sono rimaste vedove ed è necessario trovare una soluzione per il loro futuro. Giustamente Noemi le invita a ritornare a casa: là troveranno una famiglia pronta ad accoglierle e potranno rifarsi una vita. Orpa accetta; Rut, al contrario, decide di rimanere con la suocera. La decisione di Orpa è la più ovvia e normale soprattutto per quell'epoca e coincide con il desiderio di Noemi. Tornare a casa significa legarsi a un altro uomo e, di conseguenza, assicurare una discendenza non solo a se stessa, ma anche al marito ormai morto. La scelta di Rut esce dagli schemi abituali di quella cultura e di quel tempo. Essa sembra quasi anticipare un'indicazione che Gesù darà ai suoi, quando dirà: «E un altro dei suoi discepoli gli disse: "Signore, permettimi di andare prima a seppellire mio padre". Ma Gesù gli rispose: "Seguími e lascia che i morti seppelliscano i loro morti"» (Mt 8,21-22). Il cardinale Martini interpreta la sepoltura del padre come quell'insieme di regole e norme che fanno parte della nostra cultura, quelle abitudini familiari che ci inseriscono in un mondo di legami da rispettare e riprodurre, ma rischiano di trattenerci, di privarci della libertà, di non permetterci di trovare la nostra strada. […] Nel rapporto tra Noemi e Rut cogliamo un mistero che trascende il modo naturale di intessere relazioni. Noemi fa dono alle sue nuore di una libertà di cui esse hanno diritto. […]
Al suo dono di libertà, Rut risponde con un dono altrettanto grande. Le sue parole: «Non insistere con me che ti abbandoni e torni indietro senza di te, perché dove tu andrai, andrò anch'io, e dove ti fermerai, mi fermerò» rivelano quanto l'amore umano può diventare riflesso di quello divino, di quel colore dell'amore divino che è appunto dato dalla fedeltà, qualità intrinseca di ogni rapporto sincero. L'amore di Rut è fedele anche quando l'altra l'invita ad andarsene e questo suo atteggiamento si manifesta attraverso molteplici sfumature.
Ogni vera fedeltà è innanzitutto unilaterale: essa supera qualunque forma di utilitarismo e rimane costante, anche quando l'altro sembra non capire. Non possono forse sembrare ingiuste all'orecchio di Rut le parole di Noemi rivolte alle donne di Betlemme: «Non chiamatemi Noemi, chiamatemi Mara, perché l'Onnipotente mi ha tanto amareggiata!»? Fossimo stati al suo posto, che cosa avremmo pensato di fronte a tale lamentela? Forse ci saremmo detti che la suocera, tanto generosa, era anche un po' ingrata, se la presenza della nuora non le bastava per pacificarsi e sperare nel futuro. L'amore fedele, tuttavia, non bada alla reazione dell'altro e permane costante indipendentemente dai suoi atteggiamenti e dalle sue parole. Questa capacità di dono unilaterale si manifesta non solo nei confronti delle persone ma anche rispetto a Dio, quando attraversiamo il buio ed Egli pare non risponderci. Anche in questi momenti l'amore fedele esige la continuità perché, come scriveva san Bernardo (Discorsi sul Cantico dei Cantici):
«L'amore è sufficiente per se stesso, piace per se stesso e in ragione di sé. È a se stesso merito e premio. L'amore non cerca ragioni, non cerca vantaggi all'infuori di sé. Il suo vantaggio sta nell'esistere. Amo perché amo, amo per amare».
L'amore non necessita di nessuna risposta. Se è vero, permane e dura nel tempo, prescindendo dalla reazione e dall'atteggiamento altrui.
L'amore fedele è anche incondizionato, irrevocabile: il desiderio di Rut di essere sepolta dove verrà seppellita la suocera lo esprime in modo nitido. Per questo le sue parole si concludono con un giuramento: «Il Signore mi faccia questo male e altro ancora, se altra cosa, che non sia la morte, mi separerà da te». Rut non chiede di provare, di verificare, di valutare dopo aver fatto un'esperienza; non concepisce un bene episodico e a intermittenza; al contrario, rischia, si butta e non pone limiti alla durata del suo voler bene. La sua vicenda personale, interpretata in termini evangelici, è un limpido esempio di che cosa significa «perdere la vita». Nello stesso tempo la sua scelta non è affrettata o impulsiva, guidata dalle emozioni del momento: Rut conosce Noemi, con lei ha vissuto, ha amato suo figlio, con lei ha percorso un cammino che non è solo il ritorno a Betlemme, ma è soprattutto un percorso interiore. Per tale motivo la sua decisione si rivela solida e ponderata, capace di superare le intemperie della vita e l'usura del tempo.
L'amore fedele è non convenzionale: Rut esce completamente dai canoni della sua società, cultura, religione. La sua risposta pare inconsueta e straordinaria in un contesto come quello antico, dove il cambiamento di popolo, di patria, di divinità non era per nulla usuale. Non è un caso, infatti, che nel resto del racconto essa venga sovente chiamata «la moabita», indice che il problema della sua identità etnica e della sua accettazione nel nuovo popolo non erano affatto scontati. Ella diventa così segno della capacità umana di superare il pregiudizio, i fanatismi, tutto quanto rende prevenuti nei confronti dell'altro per imparare a prendersi cura unicamente dell'uomo e delle sue necessità.
L'amore fedele, infine, è concreto: la decisione non può limitarsi a delle parole, ma esige degli atti: «Vedendo che era davvero decisa ad andare con lei, Noemi non insistette più. Esse continuarono il viaggio, finché giunsero a Betlemme».
Attualmente la fedeltà è in questione e forse non riusciamo a scorgerne tutto il valore. Ne percepiamo però gli effetti negativi, quali l'instabilità, l'incertezza che provoca dentro di noi e nel tessuto sociale. Non abbiamo appigli a cui aggrapparci, sicurezze su cui contare: ci viene a mancare quel faro «sempre fisso che sovrasta la tempesta e non vacilla mai». Come afferma l'incantevole sonetto di Shakespeare, però, la fedeltà è una componente intrinseca dell'amore e le nostre relazioni, se vogliono essere vere, non possono prescinderne. Essa costituisce dunque un impegno nel superare la tentazione di un amore mutevole, che si lascia condizionare dalle emozioni, rifugge davanti alle fatiche, esige sempre e comunque il contraccambio, non tollera i limiti e i difetti altrui, dà per scontato il bene che riceve. Il rischio è quello di chiamare «amore» delle relazioni acerbe e immature, con l'illusione di trovare luce di vita in qualcosa che, nel migliore dei casi, ne è solo un riflesso […].
La fedeltà, infatti, è un modo di essere, uno stile di vita. Si lavora con lealtà, si parla con sincerità, si resta fedeli alla verità nei propri pensieri, nelle proprie azioni. Una vita intessuta di fedeltà si esprime in tutte le dimensioni e porta ad essere uomini e donne fedeli e affidabili in ogni circostanza.
Ma per arrivare a una vita così bella non basta la nostra natura umana, occorre che la fedeltà di Dio entri nella nostra esistenza, ci contagi. La Parola ci chiama a rivolgere lo sguardo a Cristo, che con la sua fedeltà può togliere da noi un cuore adultero e donarci un cuore fedele. In Lui, e solo in Lui, c'è l'amore senza riserve e ripensamenti, la donazione completa senza parentesi e la tenacia dell'accoglienza fino in fondo.