"Dalle sacre piaghe ... dolci gaudi"
2025/1, p. 38
Chiara… «e quelle preziosissime e fulgide gemme».
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Testimoni
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VIII CENTENARIO DELLE STIMMATE
«Dalle sacre piaghe…dolci gaudi»
Chiara… «e quelle preziosissime e fulgide gemme»
MASSIMO TRAVASCIO, ofm
La memoria della Madre Santa Chiara cade quest’anno nell’Ottavo Centenario delle Stigmate di San Francesco, vertice del suo cammino di sequela del Cristo povero e crocifisso. San Bonaventura, di cui quest’anno si celebrano i 750 anni dalla morte ci ricorda come «Il verace amore di Cristo aveva trasformato l'amante nella immagine stessa dell'Amato» (FF 1228).
Quale può essere stata l’eco di questo evento nella vita di San Francesco e nell’esperienza umana e spirituale di Chiara? Il Ministro Generale dell’Ordine dei Frati Minori nella sua lettera scritta proprio in onore della solennità di Santa Chiara dice che si è interrogato a lungo su questo…e ne ha scorto il fulcro: «nella relazione con il Signore Gesù. Se per Francesco l’incontro misterioso della Verna ha segnato un nucleo di fuoco che lo ha preparato a diventare conforme alla morte e risurrezione di Gesù Cristo nell’incontro con “sorella morte” alla Porziuncola, per Chiara l’incontro con il “suo” Signore è stata la ragion d’essere di tutta la sua esistenza di donna, vissuta nel segno dell’appartenenza totale a Lui».
Dalle Sacre piaghe… dolci gaudi (FC 504).
«Possiamo dire che Chiara ha vissuto lungo tutta la sua vita il cammino di sequela che ha mosso il Poverello a ricevere il dono delle Stimmate nell’incontro di dolore e di amore con il Cristo povero e glorioso. Ed è il silenzio che ha avvolto la vita di Chiara con le sue sorelle e ne ha custodito la sequela di Cristo, da lei riconosciuto come il «Crocifisso povero» da servire «con ardente desiderio» (1Lettera ad Agnese di Praga). La preghiera di Chiara si è nutrita di questa «visione» interiore del «Crocifisso povero», maturando nella lode e nella gioia della contemplazione di Cristo, Sposo di chi ha scelto di seguirlo» (cf. Lettera MG 2024).
Questa contemplazione credo sia ben descritta nella II Lettera ad Agnese di Praga: «Guarda, o regina nobilissima, il tuo sposo, il più bello tra i figli degli uomini, divenuto per la tua salvezza il più vile degli uomini, disprezzato, percosso e in tutto il corpo più volte flagellato, morente tra le angosce stesse della croce: guardalo, consideralo, contemplalo, desiderando di imitarlo».
«Sappiamo che dopo le Stigmate, Francesco ha dimorato per un lungo periodo presso S. Damiano, accudito certamente da lei e dalle sorelle. Conosciamo la discrezione di entrambi e, nello stesso tempo, possiamo immaginare che qualcosa sia giunto a Chiara dell’amore e del dolore che suo fratello viveva…» (cf. Lettera MG 2024).
Benedetto XVI in Deus Caritas est ci ricorda che «All'inizio dell'essere cristiano non c'è una decisione etica o una grande idea, bensì l'incontro con un avvenimento, con una Persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva», e possiamo credo aggiungere, perché l’esperienza umana e di fede ce lo conferma, che qualsiasi incontro non ci lascia mai come ci ha trovato, sia l’incontro più profondo con se stessi, sia con Gesù che con gli altri.
In particolare, nel racconto autobiografico fatto da Chiara emerge con molta chiarezza il valore da lei attribuito all’incontro con Francesco, allo stretto rapporto, non solo esistenziale, anche cronologico, tra il suo atto di obbedienza rivolto a Francesco e la conseguente decisione assunta da Francesco stesso di prendersi cura di lei, delle sue sorelle. Vorrei ricordare che mentre nel Testamento l'impegno di Francesco è ricordato da Chiara come intenzione generale (… si obbligò per sé e per mezzo del suo ordine, di avere per noi diligente cura e speciale sollecitudine), nella Regola invece è citato in modo preciso, il biglietto in cui giuridicamente il Santo si impegnava a prendersi cura di loro, includendo in questo obbligo anche i suoi frati (… voglio e prometto personalmente e con i miei frati di avere per voi diligente cura e speciale sollecitudine come per loro).
All'obbedienza volontaria di Chiara, Francesco risponde con il suo impegno di cura, diligente e sollecita. Tra i due si crea un legame forte, dove lei si affida a lui e Francesco risponde assumendosi la responsabilità del destino di lei, un impegno, si diceva, di tipo diligente, dal latino diligere (amare, avere cura di), cioè amorevole.
Possiamo concludere senza dubbio che la cura promessa da Francesco a Chiara era il risultato e la conseguenza di una precisa consapevolezza di Francesco: essere stato la causa della novità di vita abbracciata dalla giovane con le altre compagne. È come se Francesco dicesse, so di essere l’ispirazione del vostro sogno che vi ha condotto ad entrare nella mia vita ribaltata e «pazza» nella quale avete abbandonato la nobilitas per abbracciare insieme a me e ai miei fratelli la vilitas. E allora non vi lascerò sole nella via da voi intrapresa tramite me e con me<p> Cf. P. Maranesi, <i>Chiara e Francesco: due volti dello stesso sogno</i>, Cittadella, Assisi (PG) 2015, 42-43. <p/>. In realtà questa cura diventerà vicendevole… e mi piace usare un’espressione che è «cura dell’incontro», un processo che rimane continuamente in cammino: l'amore non è mai «concluso» e completato; si trasforma nel corso della vita, matura e proprio per questo rimane fedele a se stesso (DC)…
Quello che vorrei fare allora è provare a rilanciare un po’ tre dimensioni della «cura dell’incontro» (con se stessi, con Dio, con gli altri) accogliendo proprio l’invito di Chiara che esorta nel Testamento di essere sempre «amanti di Dio, delle vostre anime e di tutte le vostre sorelle […]».
Credo che sia la grandezza del cuore umano abitato da Dio che Chiara abbia scoperto e che l’ha spinta a fare una scelta oblativa di una vita contemplativa.
Proprio nella contemplazione del cuore abitato da Dio e anche del proprio cuore…, credo che sia importante sottolineare la cura di sé: non si può eludere la cura, l’attenzione al realismo dell’essere creatura, donna, consacrata: è necessario cogliere l’invito costante ad ascoltare pazientemente e con rispetto il proprio essere (mondo affettivo, la situazione fisica, etc.) senza mai evitare la tensione tra il polo della cura e quello del dono evangelico di sé (come ha indicato la Madre Presidente in una sua lettera sul tema dell’accompagnamento spirituale).
Il cardinale Ugolino aveva ricordato anche a Francesco la necessità di tale cura […] Nel preoccuparsi circa un rimedio per far ricuperare al beato padre la sanità degli occhi, perché lo riteneva un uomo santo e giusto e necessario e molto utile alla Chiesa di Dio [pensate all’indispensabilità richiamata da s. Francesco affinché ognuno faccia la propria parte…] esortava il beato padre, a prendersi cura di sé e a non ricusare i mezzi necessari, ricordandogli che questa trascuratezza gli poteva essere imputata a peccato piuttosto che a merito (1Cel.).
Questo ci sprona a conoscere e meditare continuamente e assiduamente gli eventi della vita personale, comunitaria, sociale, ecclesiale, alla luce della parola di Dio, in modo da poter unificare e comprendere, per quanto possibile, il significato dell’inabitazione di Dio nei nostri cuori. Sì, credo sia questo la contemplazione: meditare e vedere quella linea di unificazione fra cielo e terra.
Azzardo, ma credo che sia verosimile, che allora Chiara alla vista delle sacre piaghe di Francesco…abbia avuto il gaudio di Francesco: Deus mihi dixit (Dio ha risposto). Ancora una volta il Signore attraverso il vissuto di Francesco credo le abbia confermato che la sequela di Cristo, da lei riconosciuto come il «Crocifisso povero» da servire «con ardente desiderio», era la via per appartenere totalmente a Lui.
Concludo con le parole di preghiera di fr. Tommaso da Celano…
«Mostra, o padre, al divin Figlio del sommo Padre le venerande stimmate di lui che tu hai sul costato; mostra i segni della croce nelle tue mani e nei tuoi piedi, perché egli stesso, a sua volta, si degni misericordiosamente di mostrare le sue ferite al Padre, il quale certamente a quella vista sarà sempre benigno con noi miseri! Amen. Fiat! Fiat!» (FF 526).