Chiamati per essere “apostolato”
2024/9, p. 5
Tutta la vita consacrata deve desiderare di essere vita apostolica.
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Testimoni
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Chiamati per essere «apostolato»
Tutta la vita consacrata deve desiderare di essere vita apostolica.
Nell’ambito carismatico
L’obbedienza si configura dunque come adesione alla propria storia e alla propria identità carismatica. C’è un passaggio di fondo da vivere, che poi consente di vivere bene altri passaggi, più superficiali e concreti. Dobbiamo avere ben presente uno slittamento di linguaggio, che si è prodotto da molti secoli nella tradizione della Chiesa e della vita religiosa. E che ancora, forse più per inerzia, permane, con il risultato grave di ridurre e di fraintendere il significato stesso di vita apostolica.
Penso alla distinzione, o addirittura divisione, tra vita contemplativa o monastica da un lato, e vita apostolica dall’altro. Distinzione che ha prodotto la conseguenza di legare la vita apostolica a impegni concreti e specifici, peculiari a ciascun istituto di vita consacrata, e che lo differenzia non solo da altre forme di vita apostolica, ma da un altro tipo di vita consacrata, che non sarebbe apostolica, ma contemplativa, o claustrale, o monastica.
Sappiamo che nel primo millennio, fino all’incirca al XII secolo, era la vita monastica in quanto tale, che all’epoca costituiva l’unico modello di vita religiosa, a comprendersi e a definirsi come «vita apostolica». E non perché connessa a qualche specifico impegno apostolico, ma perché desiderosa di conformarsi al modello di vita della comunità apostolica delle origini. In specie, al modello della comunità apostolica di Gerusalemme, come viene descritta da Luca nei capitoli iniziali degli Atti degli Apostoli.
Si potrebbero a questo riguardo citare molti testi della tradizione antica, in particolare di Pacomio, Basilio, Cassiano. È anche interessante ricordare come Benedetto, nella sua Regola, connetta questa conformazione alla vita apostolica al lavoro manuale che i monaci devono vivere. Nel capitolo 48, dedicato al lavoro manuale quotidiano, scrive: «Se la necessità del luogo e la povertà richiederanno che si occupino loro stessi di raccogliere le messi, non se ne rattristino: allora sono veramente monaci se vivono del lavoro delle proprie mani, così come fecero i nostri Padri e gli Apostoli» (vv. 7-8). Interessante: è vita apostolica perché assume anche l’impegno del lavoro manuale, in specie dei campi, che non rientra certo nell’orizzonte di quelli che oggi noi chiameremmo impegni apostolici.
Tra i numerosi esempi che potremmo citare, ne vorrei richiamare almeno uno, tratto da uno dei testi principali della tradizione, una sorta di antico manifesto di quella che oggi chiameremmo vita consacrata. Alludo alla Vita Antonii di sant’Atanasio di Alessandria: «Vi erano sui monti dei monasteri, quasi tabernacoli pieni di cori divini di monaci che cantavano salmi, leggevano le Scritture, digiunavano, pregavano, esultavano nella speranza dei beni futuri, lavoravano per fare elemosina, tutti uniti da vicendevole amore e da concordia. In verità si poteva vedere quasi un’intera regione solitaria, tutta dedita al servizio di Dio e alla giustizia» (Vita Antonii, 44).
Possiamo scorgere in questo breve testo una sorta di fotografia di quella che è la comunità di Gerusalemme, in questo «amore e concordia vicendevole» che desidera tornare a vivere quanto Luca scrive in Atti 4,32: «La moltitudine di coloro che erano diventati credenti aveva un cuore solo e un’anima sola e nessuno considerava sua proprietà quello che gli apparteneva, ma fra loro tutto era comune». Né possiamo dimenticare l’altro sommario, altrettanto decisivo per questa conformazione alla comunità apostolica di Gerusalemme, quello con cui si conclude il capitolo secondo (vv. 42-47).
Faccio queste osservazioni non per rivendicare alla sola vita monastica, il diritto di definirsi vita apostolica, ma per il motivo esattamente opposto. Tutta la vita consacrata, nelle diverse forme che lo Spirito ha suscitato nella storia e la Chiesa ha riconosciuto e accolto, deve desiderare di essere vita apostolica, a condizione tuttavia di intendere questa espressione nel suo significato più originario. Vita apostolica non perché legata a un particolare impegno apostolico, ma perché tesa a conformarsi al modello della comunità apostolica degli Atti.
Infatti, la comunità apostolica degli Atti, stando ad Atti 2,42, era caratterizzata da una triplice perseveranza: «erano perseveranti nell’insegnamento degli apostoli e nella comunione, nello spezzare il pane e nelle preghiere». Abbiamo dunque la perseveranza nell’insegnamento degli apostoli, che è perseveranza nell’ascolto della testimonianza evangelica su Gesù Cristo, quale compimento di tutte le Scritture, quale parola di Dio fatta carne. Dunque, è perseveranza nel primato della parola di Dio. Poi c’è la perseveranza nella comunione, che nei versetti successivi Luca esplicita anche come condivisione dei beni secondo il bisogno di ciascuno. Infine, la perseveranza nelle preghiere e nello spezzare il pane, cioè nell’eucaristia.
A me pare che debba essere tipico della vita religiosa, e della sua profezia per tutta la Chiesa, proprio il suo vivere fondata su queste tre perseveranze, e soprattutto sulla capacità di armonizzarle e unificarle in un tessuto coerente di vita personale e comunitaria. Un altro detto rabbinico afferma che è bene per l’uomo stare in piedi, ma non troppo, stare seduto, ma non troppo; camminare, ma non troppo. Comprendiamo il significato di queste tre posizioni corporee nella luce delle tre colonne: stare seduto è l’atteggiamento di chi ascolta la Parola, come fa Maria di Betania, seduta ai piedi di Gesù; stare in piedi è l’atteggiamento di chi prega; camminare è l’atteggiamento di chi va verso l’altro per usargli compassione e misericordia, come fa il buon samaritano che, mentre cammina sulla via che scende da Gerusalemme a Gerico, può soccorrere l’uomo che giace mezzo morto sul margine della strada.
Occorre vivere questi impegni, ma «non troppo», non solo nel significato di dare del tempo e di spendere delle energie vitali per ciascuno di essi; più profondamente il detto ci ricorda che occorre viverli nella loro armonia profonda, in unità e senza separazioni artificiose, ciascuno dentro l’altro, perché ognuno di questi impegni rimanda agli altri due e di essi ha bisogno per essere vissuto in autenticità. Infatti, unificando questi impegni, è la vita stessa che si unifica, quella personale, come pure si unificano le nostre comunità in una comunione non più semplicemente psichica, ma spirituale.
Quattro atteggiamenti da custodire
All’interno di questa triplice perseveranza, siamo chiamati ad accogliere poi doni e ministeri o carismi più specifici che lo Spirito Santo suscita nella Chiesa e nelle diverse comunità di cui essa si compone. Su questi aspetti propongo qualche rapida suggestione a partire da alcuni versetti di Efesini 4,11-13, nei quali l’autore ricorda la necessità, per giungere all’unità della fede, di alcuni carismi e ministeri specifici. Recita più precisamente il testo: «Ed egli ha dato ad alcuni di essere apostoli, ad altri di essere profeti, ad altri ancora di essere evangelisti, ad altri di essere pastori e maestri, per preparare i fratelli a compiere il ministero, allo scopo di edificare il corpo di Cristo, finché arriviamo tutti all’unità della fede e della conoscenza del Figlio di Dio, fino all’uomo perfetto, fino a raggiungere la misura della pienezza di Cristo» (Ef 4,11-13).
Queste quattro figure ministeriali ci ricordano almeno quattro atteggiamenti da custodire e ricercare quando dobbiamo vivere dei cammini di discernimento comunitario.
a)La figura dell’apostolo, richiama il tema o l’orizzonte della tradizione apostolica, alla quale dobbiamo rimanere fedeli. Questo per noi significa tenere presente non soltanto l’ortodossia della grande Chiesa, ma anche, in modo più prossimo a noi, la fedeltà alla tradizione carismatica nella quale la nostra comunità, il nostro istituto o congregazione si inserisce, e dunque al cammino storico già compiuto, alle scelte del passato che hanno disegnato il vostro volto, alla tradizione di chi ci ha preceduto e che ci viene consegnata. È il tema di una memoria assunta e condivisa che plasma il nostro presente e dischiude prospettive future.
b)Dopo gli apostoli, la lettera ricorda i profeti. La profezia, nella Bibbia, è la capacità, nella docilità allo Spirito Santo, di attualizzare nell’oggi la Parola di Dio, di interpretare il presente nella luce del compimento futuro promesso dalla Parola stessa. Come spesso ripete papa Francesco, il carisma non è un’acqua da conservare in una bottiglietta d’acqua distillata. Va giocato nella storia, mantenuto vivo nella diversità dei tempi che viviamo, e quindi chiede, pur in quella fedeltà che ho appena richiamato alle intuizioni originarie e alla storia già vissuta, di fare scelte nuove e diverse, necessarie proprio per mantenerlo vivo, vitale, fecondo. È il tema dello stupore, della disponibilità a lasciarsi sorprendere e meravigliare dalla novità di Dio.
c)Apostoli e profeti hanno poi bisogno di evangelisti, cioè di persone capaci di tenere viva la memoria del Vangelo, di annunciare i valori evangelici e di discernere che cosa oggi ci chieda la necessaria fedeltà al Vangelo, quali scelte ci consentano di custodire e di maturare uno stile di vita sempre più evangelico. Occorre sempre interrogarsi su quali decisioni e su quali prassi la memoria evangelica generi nella nostra vita personale e in quella delle nostre comunità.
d)L’ultima categoria di persone che la lettera ricorda è quella dei pastori e dei maestri, che ritengo vadano assunti insieme: quindi dell’impegno pastorale viene messo in evidenza soprattutto il compito di insegnare, di pascere il gregge, di nutrirlo con un insegnamento che sia coerente con le tre dimensioni che i primi tre ministeri, già ricordati, ci chiedono di avere ben presenti. Questo quarto e ultimo servizio ci ricorda l’importanza di individuare dei cammini formativi e di saperli percorrere con sapienza e con pazienza. Non basta capire quali siano le scelte da fare, occorre anche la sapienza necessaria a progettare degli adeguati cammini formativi che possano sostenerle. Occorre saper formare le persone affinché possano vivere quello che riteniamo oggi urgente e necessario assumere. Il discernimento riguarda non solo la scelta da compiere, ma anche il modo di realizzarla.
DOM LUCA FALLICA