Chiaro Mario
Il deserto della democrazia e la rinascita della politica
2024/9, p. 42
«Alcide De Gasperi è stato un uomo politico dotato di capacità profetiche». Con questa premessa mons. Ivan Maffeis, trentino, arcivescovo di Perugia-Città della Pieve, ha aperto la Lectio Degasperiana nell’anno del settantesimo anniversario della morte dello statista trentino (18/8/2024).

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DE GASPERI A 70 ANNI DALLA MORTE
Il deserto della democrazia
e la rinascita della politica
«Alcide De Gasperi è stato un uomo politico dotato di capacità profetiche». Con questa premessa mons. Ivan Maffeis, trentino, arcivescovo di Perugia-Città della Pieve, ha aperto la Lectio Degasperiana nell’anno del settantesimo anniversario della morte dello statista trentino (18/8/2024).
Secondo mons. Maffeis, la grandezza di De Gasperi «non si misura solo con quello che ha fatto come statista, ma soprattutto per la testimonianza che ci ha offerto. Come gli antichi profeti, ha indicato una strada e un metodo politico che vanno oltre la sua stessa esistenza. Ha accettato di mettersi alla guida del suo popolo, senza garanzie e senza esitazioni. Prima è stata la volta del popolo trentino, orfano e disperso durante la Prima guerra mondiale, poi quella del popolo italiano che imparò a conoscere. Quando nel 1945 assunse il compito di guidare l’Italia fuori dal deserto in cui la democrazia si era smarrita, De Gasperi aveva 64 anni». In questo scenario, la riflessione del vescovo si è orientata a fornire i criteri interpretativi di un’esistenza spesa per il bene comune.
La missione politica e profetica
Importante ricordare che il politico trentino ha condiviso i valori di fondo della Resistenza e ha partecipato alla transizione democratica dal Regno alla Repubblica, salvando la continuità dello Stato e allargando l’orizzonte politico europeo. «Soprattutto – rimarca Maffeis – con la sua azione tenace ha rimesso al centro la politica, mostrando che spettava proprio ad essa rimediare alla terribile crisi in cui aveva gettato l’umanità. Per De Gasperi la politica è l’unica dimensione dove la verità e le possibilità umane si confrontano alla pari. Sa che la vera politica è un sistema complesso che non tollera a lungo semplificazioni brutali». In una lettera del 1927 indirizzata alla moglie dal carcere romano di Regina Coeli scrive: «Rifaccio con la memoria l’ingrato cammino di questi ultimi anni e penso se potevo fare altrimenti. E mi pare di no. Ho resistito fino all’ultimo sulla trincea avanzata dove mi aveva chiamato il dovere, ma era proprio la mia coscienza che me lo imponeva, le mie convinzioni, la dignità, il rispetto di me stesso. Ci sono molti che nella politica fanno solo un’escursione, come dilettanti, ed altri che la considerano come un accessorio di seconda importanza. Ma per me, fin da ragazzo, era la mia carriera o, meglio, la mia missione».
La democrazia morale
L’attenta disamina della parabola degasperiana fa emergere due dimensioni fondamentali: la difesa del principio cardine della libertà e la cultura del principio di non appagamento, soprattutto alla luce del complesso rapporto tra politica e fede. «Quella di De Gasperi è libertà da se stessi, dalla propria debolezza, dalla presunzione di avere il controllo della realtà. È libertà che ha a che vedere con la sua idea di democrazia, che è di tipo morale prima che politico: la democrazia, quale risorsa per superare tutte le possibili forme di idolatria, era misura, discernimento e anche compromesso. Democrazia che trova la propria sorgente non nel comandante in capo, ma nella comunità». Nel congresso del 18 giugno 1945 a Roma arriva ad affermare: «Non vi sono uomini straordinari […] Non c’è nessuno che possegga il talismano per poter risolvere un problema, quando questo si presenta in tutta la sua complessità. Per risolvere questi problemi vi sono vari metodi: quello della forza, quello dell’intrigo, quello dell’onestà, quello della fermezza in una fede sicura. Se io sono qualcosa in questa categoria mi reputo di appartenere alla terza. Sono un uomo che ha l’ambizione di essere onesto».
La terra promessa della democrazia
Per il nostro politico il metodo democratico esige la difesa dei diritti di classe, perché essi sono i diritti dell’uomo, ma i diritti dell’uomo sono fondati sul diritto divino: «Noi possiamo pensare da europei; ma vogliamo inquadrare questo pensiero nel concetto universale del cristianesimo. Se possiamo pure superare le frontiere delle Chiese e anche della cristianità, è perché la nostra vocazione è universale, così come è universale la redenzione e la nostra speranza nella Provvidenza, la quale governa il mondo intero» («Unità europea nel solidarismo cristiano», Il Popolo, 15/4/1950). Questo richiamo alla Provvidenza era fondato sul suo impegno di lettura quotidiana della Bibbia per ricavarne ispirazione nell’agire pubblico. Proprio a partire dallo sfondo biblico mons. Maffeis propone di rifarsi alla figura di Mosè per interpretare quella di De Gasperi. Egli muore a 73 anni il 19 agosto del 1954. «Ormai malato, è solo e scruta oltralpe: l’ultima amarezza la subisce proprio da Parigi che vota contro il trattato per la difesa europea. Sapeva che – per quanto ci si affanni e si lotti –, la fine ci incontra sempre impreparati e a metà di ogni progetto. Tracciò la strada della terra promessa di un’Italia pacifica e prospera, ma – appunto, come Mosè – la poté soltanto intravvedere». Mosè – la guida, il legislatore, il profeta con cui «il Signore parlava faccia a faccia come uno parla con il proprio amico» – non entrerà nella Terra Promessa, la vedrà solo da lontano, prima di morire solo e lontano dal popolo per il quale si era speso fino alle ultime forze fisiche e spirituali.
L’amore pubblico
Oggi ci rendiamo conto con più consapevolezza di come, all’interno della Democrazia Cristiana, abbia combattuto ogni forma di messianismo. Per lui non c’è futuro per chi inganna le masse: «Il suo antifascismo fu di carattere morale», una scelta di campo senza ritorno. «Il suo anticomunismo fu di carattere intellettuale e politico: considerava il comunismo un insulto all’intelligenza della storia e la rivoluzione bolscevica una barbarie nei confronti della dignità umana e della libertà». In un importante discorso del 1948 indica i tre princìpi cristiani che lo guidavano: libertà, uguaglianza e fraternità. Con decisione sottolinea che non c’è democrazia senza l’unione profonda di queste tre dimensioni, alle quali aggiunge quello che considera «l’elemento decisivo: «l’amore». Non l’amore sentimentale, ma quello per la polis, un amore pubblico. Era un tema antico a lui caro: già nel 1925, in un drammatico discorso all’ultimo congresso del Partito popolare, citando San Tommaso, aveva detto: «Noi vogliamo la pace e l’ordine, ma l’ordine che nasce dalla giustizia. Il timore non è ordine, ma un puro fatto materiale. Il vero ordine si ha solo se esso deriva dall’amore. È questo il significato più profondo della parola pace in senso cristiano ed è questo il precetto fondamentale che deve ispirare la politica a sensi di fraternità e giustizia». L’amore per l’umanità è destinato a trasformarsi in un dovere di democrazia: «Nei momenti più decisivi quando l’elettore democratico è chiamato ad esercitare il diritto di voto, egli deve essere incorruttibile in confronto alle lusinghe dei demagoghi e dei ricatti dei potenti e quando agisce nella manifestazione collettiva deve vigilare perché la sua coscienza morale non venga sommersa dalla marea spesso istintiva e irrazionale della massa» (cf. Le basi morali della democrazia, Bruxelles, 20 novembre 1948).
La tentazione di rifugiarsi nel passato
Oggi siamo tutti di fronte a forti segnali di debolezza e paura: i vari fondamentalismi, leaderismi e narcisismi. Mons. Maffeis è convinto che De Gasperi ci ammonirebbe a non guardare indietro. In un discorso del 9 ottobre 1949 dichiara una profonda convinzione: «In democrazia non bisogna scoraggiarsi: lo scoraggiamento è il pericolo principale delle democrazie. Non occorrono mezzi artificiosi, promesse mirabolanti, per infondere coraggio, questi sono mezzi degli assolutismi. Basta la coscienza profonda e la certezza di attuare il proprio proposito. La pazienza è la virtù dei riformatori; riformare vuol dire superare il passato e la pazienza è virtù dei forti, virtù di chi ha fede, di chi ha coscienza dei problemi e li segue con tutta l’attenzione» (Primo convegno nazionale democristiano della scuola). Di fronte alle sfide della rinascita democratica, temeva che il popolo italiano potesse non reggere. «Il partito per lui non era un mito, il nuovo Principe, bensì uno strumento per tenere unite le comunità e soprattutto per motivarle. Ne scelse il nome per poter dimostrare che, accanto ad altre forme di democrazia (liberale, socialista, comunista, azionista, umanista), c’era anche una forma cristiana. Si trattava di stare al tavolo del futuro insieme ad altre tradizioni democratiche, senza complessi di inferiorità».
Nello scenario dei nostri giorni siamo invitati a farci alcune domande: che cosa farebbe oggi De Gasperi? Che cosa direbbe? Quale sarebbe la sua parte? Certamente non è più il suo tempo, ma la sua figura continua a stagliarsi forte all’orizzonte. Forse ci direbbe che non è con il cinismo che potremo abitare questo nostro tempo. Non è con la critica e il lamento che costruiremo un mondo migliore. Abbiamo bisogno di profezia per «risvegliare le coscienze e coinvolgerle nella dedizione a una causa epocale, nell’ambizione di tendere insieme a una terra promessa, a una patria europea».
MARIO CHIARO