La vite
2024/9, p. 32
«Io sono la vite e voi i tralci»
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Testimoni
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La vite
«Io sono la vite e voi i tralci»
(Gv 5,5)
Dopo i disastrosi esiti del diluvio, il Creatore, entrato visibilmente in crisi per aver calcato un po' troppo la mano nei confronti dei mortali, non sapendo più che cosa fare per rimediare, si impegnò a non ripetersi più e, disteso nel cielo l'arcobaleno, strinse sulla terra un patto di pace con il pianeta e con i suoi abitanti. Poi, ripensando alle fatiche di Noè nel costruire l'arca, nel reperire tutti quegli animali, nel tenerli a bada, nel mettere pace tra sua moglie e le tre nuore, volendo ricompensarlo adeguatamente con qualche cosa di speciale, creò me, dandomi il nome di vite e mi consegnò al gran Patriarca, perché potesse rifarsi, rallegrando il suo cuore, con qualche goccetto del mio pregiato prodotto.
E così, quando nelle innumerevoli serate della sua lunghissima esistenza, raccontava alle schiere dei nipoti e dei pronipoti le vicende di cui era stato protagonista, non mancava mai di ricordare che il Creatore aveva sì inteso distruggere la malvagità imperante, ma per ricostruire una umanità meno selvaggia e più lieta. E, mentre sorvolava sul triste passato, rievocava la gioia della ripresa della vita, alzando immancabilmente la ciotola colma del mio squisito frutto, invitando all'allegria e alla fiducia nel futuro. Anche perché, diceva, «che vita è quella dove manca il vino?». E così io, vite, iniziai una storia avventurosa attraverso i millenni, dentro e fuori la Bibbia. Una storia offuscata, è vero, da qualche eccesso, ma soprattutto dalla reazione della mesta compagnia degli astemi.
Passarono gli anni. Generazioni si aggiunsero a generazioni e gli esseri umani persero la memoria di questi fatti e ritornarono a rendersi reciprocamente la vita difficile amandosi e poi odiandosi, cercandosi e poi ferendosi, crescendo in potenza e in prepotenza, al punto da indurre il Creatore quasi a pentirsi d'essersi pentito.
Fortunatamente un giorno, osservando l'arcobaleno, da galantuomo qual era, il Creatore si ricordò della sua promessa e decise di opporsi alla corsa all'autoestinzione di questi strani suoi figli. E così si mise a fare di nuovo l'agricoltore, impiantando nella vigna di Davide, con non poca fatica, una Vite che desse ai suoi tralci una vita che non potesse essere distrutta.
Quel giorno in cui udii il Maestro dire «Io sono la vite e voi i tralci» (Gv 15,5) fu per me il più felice di tutti i miei giorni, perché quei tralci cominciarono a portare per il mondo un frutto squisito, un vino che metteva nelle vene sangue robusto e coraggioso, che sospingeva a correre sulla via della nuova vita. Così oggi io, povera e fortunata vite, sono orgogliosa di dire: «Alziamo assieme il calice della salvezza e invochiamo il nome del Signore!».
Non solo per noi, ma anche per l'allegria di quella mesta compagnia di astemi che disdegnano l'immortale vino nuovo.
PIER GIORDANO CABRA