Scattolini Antonio
Pietro e il discepolo amato
2024/9, p. 30
Dove si stanno dirigendo questi due personaggi dai capelli scarmigliati dal vento? Chi sono e da dove vengono?

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Testimoni
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INCONTRI CON LA BELLEZZA
Pietro e il discepolo amato
Dove si stanno dirigendo questi due personaggi dai capelli scarmigliati dal vento? Chi sono e da dove vengono?
Questa opera di Eugene Burnand è una grande tavola con un suo fascino misterioso. Chi la vede all’interno di una delle sale del Museo d’Orsay, a Parigi, ne resta attirato. L’autore è un esponente del Naturalismo, lo stile che interpretava il gusto ufficiale della III Repubblica francese, molto popolare e diffuso nel fine ’800, ma totalmente dimenticato in seguito. Burnand, dalla sua Svizzera, aderisce alla diffusione europea di questa corrente artistica, traducendola in forma di espressione religiosa, con efficaci effetti drammatici. Infatti, anche per il non credente, privo delle chiavi di lettura offerte dal Vangelo, questo quadro parla comunque: ci racconta della corsa di due uomini vestiti all’antica, nella luce di un’alba dorata, sullo sfondo di terre coltivate e di colline in lontananza. I colori sono caldi e contrastati. La composizione si sbilancia alla sinistra di chi guarda: i due personaggi si muovono nella direzione contraria al normale svolgimento di un testo, di una lettura che va da sinistra verso destra. Questo fatto, in qualche modo induce in noi il senso di un ritorno, di una rilettura, di un percorso di ripensamento, di uno sguardo che re-interpreta qualcosa: questi due stanno tornando indietro… per cominciare tutto da capo! Cosa sarà mai quel qualcosa che vedranno e che potrà farli ripartire di nuovo, in un movimento opposto a questo? Dove si stanno dirigendo questi due personaggi dai capelli scarmigliati dal vento? Chi sono e da dove vengono?
Al sepolcro di buon mattino
Guardiamoli questi due uomini. Possiamo facilmente identificarli con l’aiuto del brano del Vangelo di Giovanni al capitolo 20, versetti 1-10:
«Nel giorno dopo il sabato, Maria di Magdala si recò al sepolcro di buon mattino, quand’era ancora buio, e vide che la pietra era stata ribaltata dal sepolcro. Corse allora e andò da Simon Pietro e dall’altro discepolo, quello che Gesù amava, e disse loro: «Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l’hanno posto!». Uscì allora Simon Pietro insieme all’altro discepolo, e si recarono al sepolcro. Correvano insieme tutti e due, ma l’altro discepolo corse più veloce di Pietro e giunse per primo al sepolcro. Chinatosi, vide le bende per terra, ma non entrò. Giunse intanto anche Simon Pietro che lo seguiva ed entrò nel sepolcro e vide le bende per terra, e il sudario, che gli era stato posto sul capo, non per terra con le bende ma piegato in un luogo a parte. Allora entrò anche l’altro discepolo, che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette. Non avevano infatti ancora compreso la Scrittura, che egli cioè doveva risuscitare dai morti. I discepoli, intanto, se ne tornarono di nuovo a casa».
A partire da questo testo si può comprendere allora il significato del titolo del quadro: «I discepoli Pietro e Giovanni corrono al sepolcro il mattino della Risurrezione». L’uomo adulto è Pietro, l’altro è il giovane discepolo amato da Gesù, colui che la tradizione identifica come Giovanni l’evangelista.
Di questi due personaggi, il primo è più giovane. Il suo viso è meno marcato; non ha barba. La fronte è segnata da pieghe interrogative che accompagnano uno sguardo decisamente puntato in avanti. Il vedere di quest’uomo diventerà progressivamente più intenso (in greco: blepo / theoreo / orao), fino al culmine del «vedere e credere». È raffigurato un po’ più avanti di Pietro: il suo attaccamento a Gesù lo trascina, come un’energia misteriosa, nel suo percorso verso il sepolcro vuoto. Questo suo amore sarà pure ciò che gli permetterà di cogliere la realtà pasquale ed il suo significato prima ancora di Pietro. Il suo vestito bianco con un cappuccio ricorda il camice dei celebranti per le celebrazioni liturgiche: notevole è l’intuizione di Burnand, che ci mostra questo discepolo in atteggiamento di preghiera.
Il personaggio al centro del quadro ha lui pure, la fronte corrugata e le sopracciglia rialzate. I capelli e la barba irsuta sono quelli di un uomo semplice, di età matura. Anche lui, lungo il tragitto, si sta interrogando; anche i suoi occhi bruni guardano intensamente in avanti ma senza fissare precisamente un punto. Per lui è rimasto solo il vuoto, una distanza che non riesce a colmare. Non è tanto l’ignoranza, quanto piuttosto l’assenza di una comunione profonda ciò che gli impedisce di capire: anche lui deve compiere un passaggio. Tuttavia, Pietro si è scosso, non è rimasto paralizzato nella sua situazione di inerzia mortale: ha ritrovato il coraggio! Il quadro ce lo raffigura di corsa! Quest’uomo avrà anche la forza e l’ardire di entrare nel sepolcro, nel luogo della morte, per essere poi testimone del Risorto.
Un risveglio, una rinascita
Burnand è un pittore molto attento al testo evangelico ed è anche capace di rappresentarlo con efficacia ed attualità: in questa tela ci mostra sui volti dei due discepoli ciò che si sta muovendo dentro di loro. Alla corsa dei corpi, corrisponde una corsa dei cuori, che noi vediamo riflessa sui loro visi nei loro occhi: inquietudine, stupore, angoscia, incredulità… ma soprattutto l’intuizione che ciò che stanno andando a vedere potrà cambiare la loro vita. Potrà cambiare tutto: sarà una trasformazione radicale. L’evento li coglie impreparati: non sanno, sono impotenti di fronte alla rivelazione di un Dio che li supera infinitamente. L’uomo in quanto carne e debolezza non può sapere, ma se uno rinasce dallo Spirito… «la vostra afflizione si cambierà in gioia», aveva detto il Signore (Gv. 16,20).
Una mano di Pietro tiene il mantello mosso dal vento e dalla fretta; l’altra sembra indicare qualcosa più avanti, o più in basso… forse la terra, o gli stessi passi che sta compiendo di corsa. Sono mani forti e rudi, mani di chi affronta la dura realtà della vita, senza sfuggirne.
Le mani del discepolo amato invece sono giunte, come per una preghiera carica di emozione, di preoccupazione. Mentre gli occhi ci rimandano alla loro esperienza di scoperta della fede, queste mani ci ricordano che, in conseguenza di questa scoperta, essi saranno anche i testimoni, gli apostoli, coloro che diventeranno le colonne della chiesa di Cristo. La Pasqua per loro diventa come un risveglio, una rinascita: da ora la morte resterà ormai alle loro spalle e la nuova creazione sarà affidata a queste fragili eppur robuste mani, che incontrando quelle degli altri, costituiranno la comunità del risorto.
L’alba della fede
Il cielo di questo quadro è chiaro, luminoso. Alcune, poche bellissime nuvole riflettono i colori dell’alba: rosa, arancio, violetto. I due discepoli sono illuminati lateralmente dal sole che sta sorgendo, ma che i nostri occhi non vedono. Anche i bagliori dorati sulle vesti e sui volti ci raccontano di un astro di cui intuiamo la presenza solo di riflesso; come quella del vero sole, il Risorto! Il testo del vangelo iniziava con la menzione del buio; erano le tenebre interiori di chi ormai guardava la realtà solo in termini di morte. Ma ora la cecità del cuore è vinta e, nella luce nuova di questa alba, si comincia a guardare il mondo, la storia, in modo diverso. Dietro i discepoli il paesaggio è primaverile: terre lavorate di recente, erba verde e tenera, alberi dai germogli nuovi. È la stagione in cui noi cristiani celebriamo la Pasqua, ritmando l’espressione della fede sulla melodia della creazione che rinasce dopo l’inverno. Molto lontano, appena visibili, il pittore ha raffigurato le tre travi verticali, ricordo della crocifissione del venerdì. Fino a quel giorno non era possibile sperare nulla al di là di queste croci, ma questa mattina è l’alba della fede. Quel mattino, il discepolo, entrato nel sepolcro, «vide e credette».
Questo dipinto è un po’ l’immagine di tutti i credenti d’oggi. Noi non vediamo il Signore in persona. È attraverso la testimonianza dei discepoli che ci hanno preceduti nella fede che noi siamo invitati, con la forza dello Spirito, a credere nel Risorto. I due personaggi di questo quadro, che fin dall’inizio ci ha toccato per la sua bellezza, ci chiamano a slanciarci per condividere la loro corsa. Vogliono che ci affrettiamo, senza ritardi, senza troppi calcoli, senza paura… con loro. Ci invitano ad essere disposti ad accettare la provocazione dell’apparente assenza del Signore di fronte ai molteplici segni di morte. Metterci alla ricerca dei segni della Risurrezione può essere un tirocinio paziente, talvolta scoraggiante. Ci vuole fiato e resistenza. Occorre collocarci in nuove prospettive. Se ci poniamo di fronte alla morte dando per scontato che essa sia l’unica ed ultima parola, allora non resta che l’assurdo, l’angoscia e la dichiarazione disperata che il Signore ci è stato tolto per sempre. È solo l’amore che consente l’incontro con Lui, anche se non lo vediamo. Torniamo commossi a quella domenica mattina in cui è nata la fede cristiana… e diciamo grazie ad Eugene Burnand, che ci aiuta a non dimenticarlo.
ANTONIO SCATTOLINI