Nuvoli Ruggero
La via di Emmaus
2024/9, p. 24
“La via di Emmaus” è un progetto finalizzato all’accompagnamento dei giovani nel loro cammino di discernimento e maturazione in vista di una libera e personale risposta vocazionale. Promosso dall’Arcidiocesi di Bologna - Ufficio per la Pastorale Vocazionale, prevede varie proposte, tra cui: tappe esperienziali di iniziazione alla vita spirituale, esercizi spirituali, ritiri, scuole di preghiera e cammini di accompagnamento personale. Al cuore del progetto si trova Casa Emmaus, la cui finalità è quella di offrire un’esperienza immersiva di accompagnamento personale e comunitario, in una condivisione di vita che offra strumenti per favorire il processo del discernimento vocazionale del giovane partecipante.

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PROPOSTE GIOVANI
La via di Emmaus
«La via di Emmaus» è un progetto finalizzato all’accompagnamento dei giovani nel loro cammino di discernimento e maturazione in vista di una libera e personale risposta vocazionale. Promosso dall’Arcidiocesi di Bologna – Ufficio per la Pastorale Vocazionale, prevede varie proposte, tra cui: tappe esperienziali di iniziazione alla vita spirituale, esercizi spirituali, ritiri, scuole di preghiera e cammini di accompagnamento personale. Al cuore del progetto si trova Casa Emmaus, la cui finalità è quella di offrire un’esperienza immersiva di accompagnamento personale e comunitario, in una condivisione di vita che offra strumenti per favorire il processo del discernimento vocazionale del giovane partecipante.
Origine del progetto
Su impulso del Documento conclusivo del Sinodo dei Vescovi dedicato ai giovani, che al n. 161 auspicava la nascita di esperienze residenziali per giovani dedicate all’accompagnamento in vista del discernimento,<p> «Molte volte è risuonato nell’aula sinodale un accorato appello a investire con generosità per i giovani passione educativa, tempo prolungato e anche risorse economiche. Raccogliendo vari contributi e desideri emersi durante il confronto sinodale, insieme all’ascolto di esperienze qualificate già in atto, il Sinodo propone con convinzione a tutte le Chiese particolari, alle congregazioni religiose, ai movimenti, alle associazioni e ad altri soggetti ecclesiali di offrire ai giovani un’esperienza di accompagnamento in vista del discernimento. Tale esperienza – la cui durata va fissata secondo i contesti e le opportunità – si può qualificare come un tempo destinato alla maturazione della vita cristiana adulta. Dovrebbe prevedere un distacco prolungato dagli ambienti e dalle relazioni abituali, ed essere costruita intorno ad almeno tre cardini indispensabili: un’esperienza di vita fraterna condivisa con educatori adulti che sia essenziale, sobria e rispettosa della casa comune; una proposta apostolica forte e significativa da vivere insieme; un’offerta di spiritualità radicata nella preghiera e nella vita sacramentale. In questo modo vi sono tutti gli ingredienti necessari perché la Chiesa possa offrire ai giovani che lo vorranno una profonda esperienza di discernimento vocazionale»: XV Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi, <i>Documento conclusivo</i>, n. 161. <p/> l’Arcivescovo di Bologna card. Matteo Maria Zuppi mi chiese di dare avvio a una proposta che corrispondesse agli intenti del Sinodo.
Nel contesto delle attività di accompagnamento e itinerari per giovani proposti dall’Ufficio per la Pastorale Vocazionale diocesano, che allora dirigevo, due ragazze, senza conoscersi, mi manifestarono il desiderio di condividere, in termini residenziali, un cammino di crescita spirituale e umana. Prese così avvio, nel giugno 2019, una prima casa femminile nella periferia di Bologna, seguita un anno dopo dall’avvio di un’esperienza maschile presso un appartamento in centro città. Tali esperienze sono andate crescendo, convergendo poi in un’unica sede – Casa Emmaus, sulle colline bolognesi – e strutturandosi in un progetto più organico, denominato La via di Emmaus.<p> Per informazioni e aggiornamenti sui contenuti e le attività de <i>La via di Emmaus</i>: www.laviadiemmaus.com. <p/>
L’ispirazione fondamentale
Il brano di Lc 24,13-35 ispira la denominazione del progetto «La via di Emmaus» e il suo dinamismo. Esso si affaccia sul giovane a contatto con l’impegnativo, e talora problematico, compito di integrare la propria esperienza di vita. Accompagnare i giovani, a partire dalle loro narrazioni, e fare strada con loro costituisce la prima dimensione, a cui segue quella di offrire elementi per un’integrazione e ridefinizione del vissuto. Tale chiave, che illumina e riscalda il cuore, apre al desiderio di una condivisione di vita, capace di offrire modellamento e interiorizzazione del mistero nella propria vita, per riprendere il cammino con motivi di speranza nel cuore.
La memoria evangelica dei discepoli di Emmaus coglie la scena di chi si allontana a margine di un’aspettativa ferita o delusa: in quello stesso giorno due di loro erano in cammino per un villaggio di nome Èmmaus, distante circa undici chilometri da Gerusalemme. Così dista da Bologna l’Abbazia di s. Cecilia della Croara, sede di Casa Emmaus. Meta di viandanti che si immergono nell’abbraccio della natura, poco o tanto, in cammino verso se stessi, l’Abbazia si dischiude loro nel volto di una chiesa, di un antico chiostro, e di un pozzo. L’acqua sorgiva, che aveva attratto in quel luogo etruschi e romani, poi monaci e umili contadini, ora insinua all’uomo in cerca di vita, la via per un’Altra sorgente, è questa la via che conduce a Emmaus.
Due di loro... conversavano tra loro di tutto quello che era accaduto (vv.13-14). La via di Emmaus accosta persone giovani: Cleopa (forse un parente del Signore, entrato nella cerchia dei discepoli) e un altro, di cui non si dice il nome perché il brano si apre alla vicenda della Chiesa di tutti i tempi.
A due erano stati mandati... a due si allontanavano. Nel frantumarsi delle illusioni e dei ristretti stilemi di vita, regge una prossimità. Non basta, ma è la condizione di partenza per cavare l’uomo fuori dall’isolamento, una delle fonti più pervasive di sofferenza per l’uomo di oggi. La via di Emmaus, a un primo livello basilare, chiama giovani insieme per un cammino. Non l’euforia fusionale dei grandi numeri, ma le condizioni in cui sia possibile aprirsi e condividere una risonanza profonda e autentica della propria situazione interiore.
Conversavano tra loro (v.14). Anche a questo verte il cammino esperienziale proposto ai giovani, fatto di catechesi, dinamiche interattive, risonanze, iniziazione alla preghiera, al discernimento e all’accompagnamento. Nella proposta residenziale di Casa Emmaus i giovani vivono, ogni mese, momenti di Revisione comune, guidati dal responsabile, preceduti e preparati da un tempo di preghiera insieme. In questi momenti, in un clima di ascolto reciproco, attivo e non giudicante, ciascuno riceve spazio per dare risonanza su tre ambiti: ciò che sta vivendo sul piano personale; l’esperienza di relazione con gli altri abitanti della casa; l’andamento della vita in rapporto alla struttura concordata. Conversavano tra loro può rimanere, e rimane, tuttavia, ancora un vicolo cieco. La via di Emmaus conduce oltre, perché, in fondo, tutto il vissuto, la storia, le situazioni personali, pervengono alla loro intima verità nel mistero di quell’unico evento: la passione sofferta del Signore e la sua Pasqua di risurrezione, e trovano in esso disvelamento e risoluzione.
Mentre conversavano e discutevano insieme, Gesù in persona si avvicinò e camminava con loro (v.15). In questo spazio di confidenza, per grazia, il Signore si fa prossimo, in aderenza alla persona: camminava con loro, con chi si allontana, nel suo allontanarsi.
Che cosa sono questi discorsi...? (v.17a) La domanda sul «cosa» favorisce l’esplicitazione dei fatti, il dialogo tra loro, diviene ora un dialogo «con Lui». Tutto il movimento de La via di Emmaus intende approdare a questo contatto, da cui prende le mosse la vita spirituale. Ciò richiede una pedagogia della preghiera capace di integrare la dimensione psicologica, di cui la modernità si era inebriata e che, dopo l’ultimo Concilio, per reazione era stata, in qualche modo, accantonata.
Si fermarono col volto triste... (v.17b): quella tristezza ha da entrare in rapporto col Signore vivo e presente.
A Casa Emmaus vengono aperte ai giovani, con ritmo regolare, serate di preghiera. Esperienze, in parte guidate, di lectio divina. Il processo modellato in questi momenti prende avvio col movimento «da me a Te»: l’ingresso nella preghiera, dedicato allo Spirito Santo. È l’invito che fa lo stesso Gesù (Domandò loro: cosa...?). Cosa c’è nel presente? Quale stato d’animo? Esso non va accantonato, ma integrato. Il viaggio verso se stessi, in sua compagnia, approda a un secondo movimento: «da Te a me» (Disse loro...). Entra, allora, nel cuore, non solo nella mente, una Parola che rischiara, riscalda, ma anche purifica (stolti e lenti di cuore a credere... – v.25).
Questa Parola, che si è fatta così vicina e intima, svela ora la sua origine, essa dimora nella luce senza tramonto: fece come se dovesse andare più lontano (v.28), nel cuore di una pura gratuità. La Parola li attrae, ma non è possibile per loro andare oltre, mentre è possibile per Lui entrare da loro. Ed Egli, per la loro preghiera, si disvela e si comunica nella dimensione contingente della vita, dove il sole tramonta. È il mistero dell’Eucaristia, da cui riceve vita la chiesa. Il movimento dell’ascolto ha da approdare all’incontro, «noi due insieme», ha da toccare la dimensione affettiva, non solo elucubrazioni mentali. È solo integrando la dimensione affettiva, – così fragile, evasa e ferita –, unita a quella intellettiva, che il giovane può trovare energia e libertà per dare direzione all’intera sua esistenza facendo scelte che coinvolgano tutto il suo essere personale.
A questo punta diritta La via di Emmaus, invece di anteporre altri obiettivi ecclesiali e sociali, pur validi, a quella che rimane, per un giovane, la fondamentale e urgente sfida evolutiva: legarsi affettivamente e, nella fede, incontrare Dio in questo legame d’amore.
A questo concorre tutta una «liturgia» di casa (fu a tavola con loro, prese il pane, recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro – v.30). La casa vive del reciproco servizio, in completa autogestione, secondo turni settimanali sulla cucina, la spesa, le pulizie, il bucato, il guardaroba, la foresteria per l’accoglienza e l’ospitalità, la sacrestia, i ruoli e i compiti per la preghiera... tutto diviene occasione di relazione, di comunicazione, di una sinergia reciprocamente orientata a proteggere e promuovere il valore di ciascuno.
L’esperienza personale di un contatto con Gesù Risorto, nella lieta quotidianità della vita comune, chiarifica il desiderio, permette di «prendere la mira» su ciò che più corrisponde al proprio futuro e di caricare energie per ripartire con il proprio viaggio nella chiesa: Partirono senza indugio e fecero ritorno a Gerusalemme dove trovarono riuniti gli Undici e gli altri che erano con loro, i quali dicevano: «Davvero il Signore è risorto...!» (vv.33-34).
DON RUGGERO NUVOLI
(direttore de «La via di Emmaus»)
Le voci dei giovani
Di seguito, alcuni stralci dalle voci dei giovani che hanno abitato a Casa Emmaus, raccolte nel libro: La via di Emmaus. Testimonianze di vita comune e discernimento a cura di R. Nuvoli, prefazione di M. Zuppi (Edizioni Ares, 2024).
1)
740 giorni a Casa Emmaus. Due anni della mia giovinezza, dell’età più bella e feconda della mia vita. Un incontro, con Dio e con un sacerdote, sacramento della sua presenza. Il desiderio di fidarsi e abbandonarsi. Questi gli ingredienti per cambiare, per compiere un tornante, per entrare nelle profondità dell’anima.
[…] Sono entrato con la certezza di essere un buon ragazzo cristiano, molto attivo in diversi ambiti ecclesiali. Ho capito di non esserlo, di star facendo le cose più per bisogni personali che per il Signore. Mi sono ritrovato impantanato in mezzo al deserto. Ho imparato a conoscerlo, a pregare. Ho imparato a essere fedele. Ho imparato a sentirmi amato da Lui. Ho imparato a fidarmi. Ho saputo mettere confini alle tante dissipazioni di cui mi circondavo e tenere la mira su ciò che conta davvero. Sono cresciuto nel sentire e leggere le mie emozioni e nella comunicazione, non sono più un ragazzo chiuso e introverso. Sono uscito dal deserto. Non so se ne troverò altri nel mio cammino, non so se mi aspettano altre montagne da scalare, ma so che posso fidarmi di Dio, so che lui mi accompagnerà nella mia strada. Sto uscendo diverso, più adulto, più cristiano, più consapevole. Come ho fatto? Mi sono fidato di Lui e ho lasciato che facesse Lui di me ciò che aveva stabilito. Più lascio spazio a Dio, togliendo il mio ego, più riesco ad affermarmi e realizzarmi come persona.
2)
Ora so chi sono, so cosa voglio ma soprattutto so chi voglio al mio fianco, il Signore, voglio fidarmi e affidarmi a lui, perché senza lasciarsi trasportare dai suoi desideri non si riesce a percorrere il disegno che Lui ha per te.
3)
Per me questa esperienza è stata un momento di pausa per capire bene e per dare terreno al Signore, per parlargli e sentire cosa avesse da dirmi. È stato un tempo anche per sperimentarmi nelle relazioni.
4)
Quando sono entrata nel progetto cercavo uno spazio quotidiano per approfondire il cammino, la mia fede e poter fare un’esperienza di fraternità […] Portavo con me il desiderio di vivere tutto più intensamente, e quando mi è capitata, tramite un’amicizia, la proposta della Casa, mi è sembrato che arrivasse in maniera molto provvidenziale. Ho trovato relazioni per crescere, ho imparato fedeltà alla Parola quotidiana e ho fatto esperienza della Chiesa Madre.
In Gioventù Francescana avevo intuito come per me fosse importante la fraternità, fatta di fratelli e sorelle e quindi di un’alterità complementare ed armoniosa che mi ha edificata e cresciuta. In Casa Emmaus mi è stata data la possibilità di viverla quotidianamente: tornare ogni giorno nel contesto fraterno ha voluto dire non rifuggire i rapporti, fare verità su ciò che vivevo, anche nella semplicità quotidiana; attraverso l’aiuto di don Ruggero lavorare su diversità e attriti, accogliere propri e altrui limiti, gioire di semplice ironia e gioco di ogni giorno. Ho avuto la possibilità di sperimentare relazioni che possono essere edificanti e funzionali, in cui non ci si perde né si lasciano interrotti i rapporti o silenziosi i non detti. Si ha invece la possibilità sempre di tornare su una data questione, riconoscendo difficoltà personali e quindi affrontarle, scioglierle e poi vedere rifiorire relazioni più intime e sentirmi più forte. Essere rimasta per lungo tempo in questa esperienza mi ha dato modo di considerare la fraternità non solo come uno spazio relazionale accogliente, ma anche una palestra di relazioni e crescita. È una dimensione che non avevo mai considerato, forse, e mi si è rivelata nuova e arricchente.
Ho trovato quello che cercavo anche a livello spirituale, in un contatto quotidiano con la Parola e, nelle occupazioni quotidiane che sono state lo studio, la laurea e il lavoro, ho trovato la possibilità di raccogliere quotidianamente quella Parola che mi veniva data al mattino, di incontrarla di nuovo durante la giornata e lasciarmi interrogare.
Da quando avevo 14 anni circa avevo sperimentato la fede, ovvero cosa significava per me Dio, in un mondo e modo francescano: per me incontrare Casa Emmaus ha voluto dire anche vedere i diversi carismi che sono all’interno della Chiesa, come ci sto io in relazione. È stato lampante il passaggio da un carisma unico a più carismi, vedere come la Chiesa, davvero come una Madre, li raccoglie e custodisce in sé.
Una cosa su cui ho lavorato in questi anni è strutturare la giornata, ad esempio dividendo le attività in tempi definiti. Prima vedevo cosa succedeva al momento, un po’ lasciandomi influenzare da quello che avevo attorno. Ho invece scoperto che si possono dare tempi alla preghiera, agli amici, al lavoro, a me e questo mi ha dato una struttura interna che mi aiuta a dire chi sono.
Considero l’esperienza di Casa Emmaus valida e sapiente perché guarda e ha cura del giovane nella sua personalità e nel suo sviluppo, accogliendo l’ipotesi che ci siano difficoltà su cui, però, si ha la possibilità di crescere e allo stesso tempo un valore innato che è motore del cammino umano. Mette al centro il rapporto con il Signore, suggerisce e considera piccole strategie per fare silenzio nel proprio quotidiano per poter rallentare e scegliere passi di vita buoni. Dà importanza alle relazioni e valorizza la presenza maschile e femminile, gettando una luce sulla complementarietà che questa alterità può generare; propone la scommessa di accogliere in sé giovani che hanno sfide, provenienze, spiritualità diverse.
Consiglierei l’esperienza a chi cerca uno spazio relazionale e di tempo per stare su di sé, conoscersi e avere degli strumenti per stare nel mondo con il Signore. Per me questo è stato molto importante.
5)
La via di Emmaus è un tempo e un luogo per me, che inevitabilmente diventa un tempo e un luogo per il Signore. […] Penso che in un mondo, soprattutto il nostro giovanile, pieno di voci, di distrazioni, di rumori, di impegni di studio e di lavoro, La via di Emmaus rappresenta quello spazio in cui lasciare che il Signore ci si affianchi e ci parli. Siamo abituati a parlare e parlare, ma lasciamo mai che sia il Signore a parlare? Ecco, questo è un tempo per mettersi in ascolto, fermare tutto e lasciare che sia il Signore a dirci qualcosa, su di noi, sulla nostra vita.
6)
In questo luogo ho trovato uno spazio per andare oltre la «crosta» delle cose, oltre quello strato superficiale che aleggiava nella mia vita, e mi sono trovata a sviscerare e scavare, a mettere il focus sul perché delle scelte che facevo. Da quando sono qua mi sento una specie di speleologa perché in questa casa si è concentrati su di sé e questo serve nella vita per riuscire a fare dei passi in avanti: mi sembrava spaventosamente egoistico, ma se non lo si fa, non si va da nessuna parte dopo. Quest’esperienza mi ha accompagnata anche in momenti relazionali difficili e una delle ricchezze che ho trovato qui sono stati dei punti fermi che al di fuori non avevo: questi mi hanno dato la sicurezza e il coraggio di affrontare le situazioni senza farmi annichilire e bloccare.
In Casa posso vivere la mia fede nel quotidiano concretamente e insieme a ragazzi e ragazze con cui si condivide un terreno comune. È una vita quotidiana scandita da ritmi a volte faticosi, vivere in tanti e in un luogo grande e bello come questo comporta delle fatiche ma la stanchezza e le occhiaie si sopportano volentieri. […] Siamo un po’ nomadi perché ognuno rimane il tempo di cui ha bisogno, sono già andate e venute tante persone ed è bello vedere che con alcune si rimanga in contatto, mi sembra una conferma che quello che si vive qua non è solo perché si è obbligati a stare insieme ma perché si sente che ci sono altri che ti capiscono, che vivono qualcosa che vivi anche tu: questo fa sentire meno soli. Qui si possono scoprire compagni di viaggio con cui camminare nel mondo.
[…] Ho sempre considerato un pregio riuscire a fare tante cose e a frullare come una trottola, pensando, solo così, di avere valore e di essere degna di rispetto e stima. Ora riesco a guardare con maggior consapevolezza e chiarezza le mie decisioni, non pensavo di essere capace di dire dei «no» e di dare dei limiti, a me stessa e agli altri, e soprattutto di poter sopravvivere al fermarmi: mi sono scoperta capace di farlo e ne ho tratto giovamento.Mi sono sentita risollevata e accolta da questa esperienza e giorno dopo giorno scopro un nuovo pezzetto di Amore che mi aiuta ad affrontare le sfide della vita. Ho imparato a darmi valore, a non considerarmi in scadenza, sbagliata o non amabile; il sentirmi indietro e in ritardo mi accompagnava da molto e qui ho imparato a guardarmi da un’altra prospettiva, con occhi amorevoli e fiduciosi. Ho scoperto che siamo fatti per «vivere e non sopravvivere» e questo ha messo un filtro completamente diverso alla mia Vita.
7)
La vita con gli altri mi stimola a esprimermi e, di conseguenza, a riflettere su cosa sento, chi sono, cosa voglio, per chi voglio essere. Il clima a Casa Emmaus è molto sereno e promuovente. Lo stile di casa è tanto fraterno quanto più condividiamo momenti di svago e momenti più seri, per esempio quelli in cui comunichiamo ciò che è andato storto e come poterci migliorare. La vita in casa è ritmata da turni settimanali, poiché siamo in autogestione. Le mie giornate potrebbero essere definite come un’ora et labora, in cui dedico uno spazio alla preghiera e un momento per lavorare o studiare. È un continuo mettersi in gioco, ridarsi tempo e ripartire.
8)
Desideravo uscire di casa perché sentivo che nella mia casa natale avevo esaurito le possibilità di crescita e maturazione. Desideravo tagliare il cordone ombelicale, prendere le distanze dai miei genitori per scoprire un poco di più me stessa. Inoltre, avevo una chiara consapevolezza dei limiti della mia personalità e desideravo trovare un modo per lavorarci e maturare.
Casa Emmaus è stato il luogo dove dedicarmi a questi miei desideri, coltivarli e lavorarci su.[…] Nell’organizzazione della casa ci sono vari turni: cucina, bucato, pulizie… In questa struttura dei compiti di casa, apprezzo l’essere coinvolta attivamente, stimolata a prendere decisioni autonomamente, facendomi anche carico delle necessità delle persone che vivono con me. Seppur facendo la mia parte anche prima, ero abituata alla comodità del farmi fare molte cose «dalla mamma». Questo mi portava a vivere una quotidianità che riduceva al minimo l’occuparsi delle necessità quotidiane del vivere la vita.
Con don Ruggero ho avviato un percorso di counselling che mi sta aiutando a lavorare sulla mia personalità, a prendere consapevolezza dei miei limiti relazionali e delle mie risorse. Pian piano noto di stare costruendo un nuovo stile relazionale più aderente a me. […]
La messa quotidiana, la preghiera personale e comune, la liturgia delle ore e l’accompagnamento spirituale sono un ottimo pane. In questi mesi ho cercato quotidianamente questo nutrimento, con costanza e vincendo fatica e pigrizia. E ogni giorno di più mi stupisco di quanto sia vivo Dio, e di quanto l’uomo sia fatto per le cose del Cielo.
In breve, la Casa è per me un luogo dove maturare la mia persona, senza perdere di vista nessun aspetto della mia dimensione umana. La mia umanità è fragile, ma ha anche un grande potenziale e qui ne prendo atto, lo rafforzo e lo esercito. Con gli occhi della fede posso aggiungere che è il Signore che mi ha condotta qui, e mi sta dando tutte le opportunità e gli strumenti per vivere una vita piena nel dono di me.