Chiaro Mario - Fadoul Houda
L’arte di uscire verso l’altro
2024/9, p. 18
Annotazioni di un viaggio in Siria. Il dialogo con suor Houda Fadoul della Comunità siro-cattolica di Deir Mar Musa, che partecipa ai lavori sinodali in rappresentanza della realtà ecclesiale del Medioriente.

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TESTIMONIANZE
L’arte di uscire verso l’altro
Annotazioni di un viaggio in Siria. Il dialogo con suor Houda Fadoul della Comunità siro-cattolica di Deir Mar Musa, che partecipa ai lavori sinodali in rappresentanza della realtà ecclesiale del Medioriente.
«Sono venuto qui per assicurarvi una cosa, che vinceremo e la nostra sarà una vittoria totale. Quello che sta accadendo non è uno scontro di civiltà, ma tra barbarie e civiltà, tra coloro che glorificano la morte e coloro che glorificano la vita. Per far trionfare le forze della civiltà, Usa e Israele devono stare insieme». Queste preoccupanti affermazioni, pronunciate dal premier israeliano Benjamin Netanyahu al Congresso americano il 24 luglio, mi sono risuonate più volte partecipando a un nuovo avventuroso viaggio in Siria promosso dall’associazione Percorsi di vita, in collaborazione con l’organizzazione «Amici del Medio Oriente» nata da un gruppo di gesuiti e laici.
Tornare alla prima casa comune
Il Medio Oriente è una terra speciale. Oltre un terzo dell’umanità segue le intuizioni religiose nate in questa regione: la fede ebraica, quella cristiana e quella islamica sono germogliate qui. Ripercorrendo la storia di Mesopotamia, Egitto, Siria, Turchia, Iran, Giordania e della terra di Gesù, entriamo in contatto con le nostre radici e con quelle di buona parte del mondo. Non dimentichiamo che qui «la Parola si è fatta carne» e ha iniziato la sua corsa tra i pagani attraverso la predicazione degli apostoli. Qui sono nate le prime scuole di elaborazione teologica, sono stati celebrati i primi sette concili ecumenici della Chiesa, si è sviluppato il monachesimo che attraverso san Benedetto da Norcia è poi germinato anche in Occidente. Oggi la regione è una delle aree cruciali per le strategie geopolitiche mondiali; attira brame e interessi da parte delle grandi potenze e delle loro sfere di influenza.
Nel cuore devastato del Medio Oriente
La Siria ne sta facendo le spese in modo emblematico e drammatico. Il nostro viaggio, svoltosi dal 4 al 13 agosto 2024, avviene dopo una guerra civile molto sanguinosa scoppiata nel 2011, che ha dilaniato tante vite alimentando una spirale di odio che ha minato le convivenze pacifiche tra etnie e comunità religiose. Con il titolo «La speranza del ritorno. Dieci anni di guerra, fra violenze, distruzione e vite sospese» Caritas Italiana ha pubblicato un Dossier sui civili in fuga. Sono circa tredici milioni di persone: circa 7 mln hanno trovato rifugio in altre nazioni (Turchia, Giordania, Libano e Germania); gli altri 6 mln sono sfollati interni, concentrati nel nord: famiglie costrette a vivere in campi improvvisati al confine con la Turchia, in condizioni sub-umane; più di 6mln sono bambini. Siamo partiti sapendo di dover entrare in punta di piedi in un paese cosparso di macerie. Alla povertà dilagante oggi si somma la gravissima crisi finanziaria che ha colpito il Libano, la crisi economica derivante dalla pandemia di Covid-19, le nefaste conseguenze del terremoto del febbraio 2023 nella zona al confine tra Turchia e Siria (oltre 52mila i morti accertati). A causa della crisi finanziaria e delle sanzioni internazionali (embargo), il costo del paniere di beni per una famiglia media siriana è aumentato di oltre il 200%. Si sono perduti tra i 200 e i 300mila posti di lavoro; oltre 12mln di persone oggi non riescono a coprire i bisogni alimentari. Oltre al cibo mancano beni primari non alimentari (vestiti, prodotti per l’igiene, utensili primari per la casa).
La solidarietà con un popolo martoriato
Il progetto di «Percorsi di vita» ha ricominciato a raggiungere la Siria e il Libano nel 2019, dopo un’interruzione di 7 anni dovuta alla guerra. Le operazioni belliche sono cessate nel 2016 ma, come si è detto, la vera battaglia è quella che la popolazione rimasta nel paese combatte quotidianamente per resistere e sopravvivere alla paralisi sociale ed economica causata dall’embargo, agli squali che monopolizzano il mercato che si sono moltiplicati grazie allo stesso. Il nostro viaggio è stato di riscoperta e di conoscenza, ma soprattutto di ricerca, nel tentativo di capire e magari anche imparare cosa significasse apprezzare la vita in un contesto surreale e complicato. Così sono ripresi gli aiuti diretti a gesuiti e francescani, agli amici del coordinamento scout cattolico di Aleppo, avviando un progetto dal nome «Yalla Aleppo» grazie al quale si importano in Italia prodotti artigianali fatti da famiglie, studenti e artigiani che resistono ancora nonostante le difficoltà.
Le visite in fraternità
Siamo entrati nelle città di Damasco ed Aleppo, in alcuni bei villaggi sui monti della catena dell’anti-Libano orientale, laddove si parla ancora l’aramaico. Abbiamo visitato siti archeologici di origine fenicia, un famoso imponente castello medievale legato alle Crociate. Siti disseminati sui monti del Libano occidentale e inseriti in un contesto paesaggistico mediterraneo. L’apice della nostra esperienza spirituale è stato raggiunto in montagna presso il monastero di Deir Mar Musa l’Abissino. Incastonato tra le montagne deserte del Qalamun, il monastero di Mar Musa al-Habashi (San Mosè l’Abissino o l’Etiope) si trova a circa 80 km a nord di Damasco, in direzione di Palmira. Anche per la sua collocazione strategica, si ipotizza che il corpo centrale del sito fosse in origine una antica torre di vedetta romana. La tradizione racconta che Mosè era un principe etiope che lasciò la corona per condurre vita eremitica con altri monaci. La forma di vita adottata era inizialmente quello della «laura», una vita semi-eremitica in cui i monaci abitavano nelle grotte e alla domenica condividevano la chiesa e altri spazi comuni. Per molti secoli il monastero fu abitato da monaci di rito siro-antiocheno, prima di essere definitivamente abbandonato. Nel 1982 il gesuita Paolo Dall'Oglio trascorre dieci giorni in ritiro spirituale tra le rovine, dove potrà dar vita al suo sogno di una comunità consacrata alla mutua comprensione e collaborazione islamo-cristiana. La comunità monastica al-Khalil di Deir Mar Musa (il patriarca Abramo è amico=khalil di Dio) è una comunità di rito siro-cattolico, composta da monache e monaci provenienti da diverse Chiese e paesi. Proprio nel dialogo con i membri di Mar Musa trovo una risposta cristiana alle letali affermazioni di Netanyahu riportate all’inizio. Nel libro Il mio testamento (2023), il fondatore p. Paolo, di cui non si hanno più notizie dal 29 luglio 2013, nel commentare la Regola monastica, scrive sull’arte di uscire verso l’altro: «La nostra vocazione all’ospitalità è una sfida terribile, e una risposta divina alla questione dell’affollamento e a una domanda, che io chiamo la domanda dell’altro […] È una dialettica tra avversione e attrazione: sento in me un impulso a chiudermi nella comunità limitata che è in definitiva la comunità delle prime caverne, e questo è morte, la morte culturale umana, una regressione alla pre-civiltà, alla pre-cultura […] Sono andato da Khaled Mashaal, il capo di Hamas […] Sapevo dalle mie letture della rivista “Palestina musulmana” che esiste un legame tra Hamas e i talebani. Allora ho chiesto: voi a Gaza, cosa pensate di quello che fanno i vostri amici del movimento dei talebani a proposito della chiusura delle scuole e della proibizione alle ragazze di studiare? Mashaal ha risposto: “Abbiamo iniziato a dire loro che sono andati troppo oltre” […] Ciò significa che i talebani sono “un altro” rispetto ad Hamas e che all’interno dell’altro (che per noi è l’Islam) c’è un altro e un altro ancora».
MARIO CHIARO
Suor Houda Fadoul, una voce del Medio Oriente al Sinodo
Partecipare all’Assemblea Generale del Sinodo, su invito di papa Francesco, come monaca in rappresentanza della complessa realtà ecclesiale del Medio Oriente, è stato un grande dono. Un dono dello Spirito che mi ha fatto sentire come le Chiese dell’Oriente camminano insieme a tutta la Chiesa universale nel terzo millennio. Abbiamo avuto spesso cammini diversi, ma ora possiamo apprendere gli uni dagli altri per vivere la comunione, realizzare una più ampia partecipazione e aprirci alla missione. Le Chiese in Siria sono stanche: la guerra, il Covid, il terremoto, la corruzione a tanti livelli della società, le ingiustizie, la migrazione, la persecuzione politica e religiosa hanno fiaccato le nostre forze. La Chiesa siro-cattolica di Homs è rimasta senza vescovo per tre anni, fino a quando papa Francesco ha nominato mons. Juliano Yaqoup Mourad, che si è attivato subito per recuperare tempo ed energie per preparare localmente il Sinodo, nonostante tutte le sofferenze. In questo percorso, abbiamo riscontrato due tipi di paure all’interno della nostra Chiesa. Innanzitutto, il timore che, dopo tutto il lavoro e lo sforzo compiuto, non cambiasse nulla. Poi, per alcuni, che vi fosse un’incomprensione dello spirito sinodale, per la paura di perdere il proprio posto e il ruolo nelle strutture ecclesiali. Nell’Assemblea Generale, a Roma, abbiamo portato le linee e le proposte discusse a livello locale e abbiamo vissuto un’esperienza di ascolto, silenzio e preghiera. Un tempo di grazia e una gioia immensa, che rimane e che trasforma le persone, attraverso la pratica del dialogo spirituale e della condivisione, alla luce della fede e nella ricerca della volontà di Dio. Lo spirito di fraternità e di amicizia che lo Spirito ha generato tra noi, uomini e donne, provenienti da tutti i paesi del mondo, ci ha permesso di vivere un’autentica Pentecoste. La diversità non ci ha spaventato perché abbiamo scoperto che ciò che unisce è l’Eucaristia che apre... occhi e cuori. Attraverso lo scambio di esperienze abbiamo potuto portare nella nostra preghiera la pienezza del dolore e le ferite degli altri, delle nostre Chiese ferite in Siria, e rendere tutti presenti con noi. Abbiamo parlato delle speranze, delle riconciliazioni e dei doni ricevuti, sapendo di poter condividere, come veri cristiani, la strada verso la giustizia e la riconciliazione. In questa sinfonia è entrata, poi, l’intimità di ciascuno di noi: siamo uniti nella comunione dallo Spirito Santo, che crea la connessione tra le parole e le vite di tutti noi. Le nostre Chiese sono chiamate a superare divisioni storiche e tensioni dolorose. Noi cristiani d’Oriente possiamo realizzare, insieme, di essere chiamati a far fruttare i nostri talenti per servire la missione della Chiesa in una responsabilità condivisa. L’ecumenismo per noi è una questione di rinnovamento spirituale ed esige seri processi di pentimento e di guarigione della memoria. Nell’Assemblea romana sono risuonate testimonianze illuminanti di cristiani di diverse tradizioni ecclesiali che condividono l’amicizia, la preghiera e soprattutto l’impegno per il servizio ai poveri. È importante, infatti, che l’ecumenismo si sviluppi anzitutto nella vita quotidiana. È una risorsa fondamentale per sanare la cultura dell’odio, della divisione e della guerra che contrappone gruppi, popoli e nazioni. Mentre nel dialogo teologico e istituzionale prosegue la paziente tessitura della comprensione reciproca in un clima di crescente fiducia e apertura. Nonostante le nostre differenze, abbiamo tante possibilità di lavorare insieme anche in vista del 2025, quando ricorrerà il XVII centenario del Concilio di Nicea (325 d.C.). Il ricordo del Simbolo della fede che unisce tutti i cristiani ci aiuterà a comprendere meglio come nel passato le questioni controverse fossero discusse e risolte insieme, in Concilio. E nello stesso anno 2025, provvidenzialmente, la data della Resurrezione del Signore coinciderà per tutte le confessioni cristiane. Una grande occasione per cercare di superare anche le antiche diatribe sulla data della Pasqua. In Siria, l’ecumenismo è spesso vissuto in modo formale e occasionale. Nel Monastero di Mar Musa, invece, siamo riusciti a realizzare occasioni di incontro familiare con i nostri amici e fratelli ortodossi che possono celebrare nella nostra Chiesa. Inoltre, un monaco ortodosso ha fondato una comunità mista di monaci e monache con i quali viviamo esperienze di condivisione belle e particolari. Rispetto alle nostre Chiese sorelle protestanti, gioia e speranza ci sono offerte dall’amicizia con un amico pastore armeno che con la sua famiglia partecipa alla nostra vita monastica. Esperienze di questo tipo sono un segno positivo dei tempi per la Chiesa che può arrivare, nel futuro prossimo, a una profonda sintonia con le altre Chiese sorelle, secondo le grazie del Signore e l’apertura dei nostri cuori, vivendo il senso autentico della sinodalità.
*Testimonianza pubblicata anche su il «Poliedro», periodico della diocesi di Caserta (n. 1, Gennaio 2024).