Evangelizzatori per passione
2024/9, p. 11
Quando la vita cristiana perde di vista l’orizzonte dell’evangelizzazione, l’orizzonte dell’annuncio, si ammala: si chiude in se stessa, diventa autoreferenziale, si atrofizza. Ispiriamoci oggi ai tanti testimoni che, mossi da un fuoco interiore, hanno desiderato vivere al servizio di Dio e del prossimo.
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Testimoni
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DIMENSIONE VITALE PER LA CHIESA
Evangelizzatori per passione
Quando la vita cristiana perde di vista l’orizzonte dell’evangelizzazione, l’orizzonte dell’annuncio, si ammala: si chiude in se stessa, diventa autoreferenziale, si atrofizza. Ispiriamoci oggi ai tanti testimoni che, mossi da un fuoco interiore, hanno desiderato vivere al servizio di Dio e del prossimo.
Nel corso del 2023, con ben trenta udienze generali, papa Francesco ha voluto esplorare il tema più urgente e decisivo per il Regno di Dio: la passione per l’evangelizzazione. «Si tratta di una dimensione vitale per la Chiesa: la comunità dei discepoli di Gesù nasce infatti apostolica, nasce missionaria, non proselitista». Parla così del tema a lui caro: lo Spirito plasma una Chiesa in uscita, «perché non sia ripiegata su se stessa, ma estroversa, testimone contagiosa di Gesù». Punta subito il dito sulla tiepidezza che offusca il desiderio di raggiungere gli altri con il buon annuncio del Vangelo. Per ridare ossigeno alla trasmissione della fede, il pontefice sviluppa dunque un percorso alla riscoperta di questa «passione», iniziando dalle Scritture e dall’insegnamento della Chiesa, con l’indicazione dei tanti testimoni che hanno riacceso nella Chiesa la passione per il Vangelo. Rileggendo l’episodio della chiamata dell’apostolo Matteo (9,9-13), afferma che «noi siamo quelli che annunciano il Signore, non annunciamo noi stessi, né annunciamo un partito politico, una ideologia, no: annunciamo Gesù. Bisogna mettere in contatto Gesù con la gente, senza convincerla, ma lasciare che il Signore convinca».
Lo stile «pastorale» di Gesù
Gesù presenta se stesso come il buon pastore che «dà la propria vita per le pecore» (Gv 10,11). «Fare il pastore non era solo un lavoro, che richiedeva del tempo e molto impegno; era un vero e proprio modo di vivere: ventiquattrore al giorno, vivendo con il gregge, accompagnandolo al pascolo, dormendo tra le pecore, prendendosi cura di quelle più deboli. Gesù, in altre parole, non fa qualcosa per noi, ma dà tutto, dà la vita per noi. Il suo è un cuore pastorale». Dunque, per valutare la nostra pastorale, dobbiamo confrontarci con il modello di Gesù buon Pastore. «L’intimità con lui è, come suggeriva il bel volume dell’abate Chautard, “L’anima di ogni apostolato”». Ci aiuta anche un altro episodio chiave, quello in cui Gesù, nella sinagoga di Nazaret, legge un passo del profeta Isaia e sorprende tutti con una «predica brevissima»: «Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato» (Lc 4,21). Emergono qui cinque elementi essenziali per una prima evangelizzazione: gioia, liberazione, luce (è un «venire alla luce», una rinascita che avviene solo con Gesù nel battesimo), guarigione e stupore per la gratuità del Vangelo («Dal peccato Gesù ci guarisce sempre. E quanto devo pagare per la guarigione? Niente. Ci guarisce sempre e gratuitamente»).
La Chiesa deve smettere di fingere
Lo Spirito Santo è gioia e luce, liberazione e guarigione. «Egli insegna una cosa, valida anche oggi: ogni tradizione religiosa è utile se agevola l’incontro con Gesù». «La Chiesa, se non lo prega e non lo invoca, si chiude in se stessa, in dibattiti sterili ed estenuanti, in polarizzazioni logoranti, mentre la fiamma della missione si spegne. È molto triste vedere la Chiesa come se fosse un parlamento». Per questo motivo, papa Francesco non cessa di denunciare la tentazione di procedere da navigatori solitari, ma anche la tentazione di adottare la logica mondana dei numeri e dei sondaggi, di affidarsi alla forza dei programmi, delle strutture e delle «relazioni che contano». Nello spirito comunitario della missione, non si può concepire la vita cristiana come una promozione, un arrampicamento per arrivare a comandare sugli altri. In questo marasma, l’evangelizzazione è più che una semplice trasmissione dottrinale e morale; è prima di tutto testimonianza dell’incontro personale con Gesù Cristo e accompagnamento all’incontro personale con lui. Così cresciamo in credibilità, rispondendo pure alle tre domande fondamentali di Paolo VI: «Credi a quello che annunci? Vivi quello che credi? Annunci quello che vivi?».
I principi «costituzionali» dell’annuncio
Nel corso delle catechesi, papa Francesco ha sempre ribadito che l’annuncio nasce da questo incontro con il Signore: «può portare il Vangelo di Gesù solo la persona che sta con lui. Uno che non sta con lui non può portare il Vangelo. Porterà idee, ma non il Vangelo. Ugualmente, però, non c’è stare senza andare. Infatti, seguire Cristo non è un fatto intimistico: senza annuncio, senza servizio, senza missione la relazione con Gesù non cresce. Nel Vangelo il Signore invia i discepoli prima di aver completato la loro preparazione: poco dopo averli chiamati, già li invia! Questo significa che l’esperienza della missione fa parte della formazione cristiana». Prezioso in questo senso è il capitolo 10 del Vangelo di Matteo, che chiarisce perché annunciare, che cosa annunciare e come annunciare. La motivazione sta nelle parole di Gesù ai discepoli: «Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date». Dunque, «abbiamo ricevuto un dono e la nostra vocazione è noi farci dono per gli altri; c’è in noi la gioia di essere figli di Dio, va condivisa con i fratelli e le sorelle che ancora non lo sanno!» Che cosa annunciare è ben chiaro: «Predicate, dicendo che il regno dei cieli è vicino». Qui «il messaggio principale è che lui è vicino: vicinanza, misericordia e tenerezza. Accogliere l’amore di Dio è più difficile perché noi vogliamo essere sempre al centro, noi vogliamo essere protagonisti, siamo più portati a fare che a lasciarci plasmare, a parlare più che ad ascoltare». Sul come annunciare, Gesù chiede una incredibile consapevolezza: «Io vi mando come pecore in mezzo a lupi». Giovanni Crisostomo scrive: «Finché saremo agnelli, vinceremo e, anche se saremo circondati da numerosi lupi, riusciremo a superarli. Ma se diventeremo lupi saremo sconfitti, perché saremo privi dell'aiuto del pastore. Egli non pasce lupi, ma agnelli, è pastore di agnelli, miti, umili (Omelia 33 sul Vangelo di Matteo)».
Testimoni che hanno fatto la storia
Nell’approfondimento dello zelo apostolico lungo le varie epoche della storia, papa Francesco ha invitato a guardare ad alcune figure che, in modi e tempi diversi, hanno mostrato cosa vuol dire «passione per il Vangelo». Una catena di testimonianze che attraversa la storia della fede è quella di monache e monaci, «sorelle e fratelli che rinunciano a sé, rinunciano al mondo per imitare Gesù sulla via della povertà, della castità e dell’obbedienza e per intercedere a favore di tutti».
Viene ricordata, tra i tanti, la figura poco conosciuta di Gregorio di Narek, dottore della Chiesa, «monaco armeno, vissuto attorno all’anno Mille, che ci ha lasciato un libro di preghiere, nel quale si è riversata la fede del popolo armeno, il primo ad abbracciare il cristianesimo; un popolo che, stretto alla croce di Cristo, ha tanto sofferto lungo la storia». Gregorio scrive: «Io mi sono volontariamente caricato di tutte le colpe, da quelle del primo padre fino a quelle dell’ultimo dei suoi discendenti». I monasteri vivono chiusi ed evangelizzano, perché sono «un ponte di intercessione per tutte le persone e per i peccati».
Andando ancora più a Est emerge la figura di Andrea Kim Tae-gon, primo sacerdote della Corea, terra in cui l’evangelizzazione fu portata avanti dai laici! Nel tempo di una feroce persecuzione, questo martire accostava i cristiani ponendo di nascosto e sottovoce la domanda: «Tu sei discepolo di Gesù?». Il suo modo di essere discepolo emerge quando era ancora seminarista: doveva accogliere segretamente i missionari provenienti dall’estero. Un giorno camminò sotto la neve, senza mangiare e cadde a terra sfinito. «A quel punto – continua il papa – all’improvviso sentì una voce: “Alzati, cammina!”. Udendo quella voce, Andrea si ridestò, scorgendo come un’ombra di qualcuno che lo guidava. Questa esperienza del grande testimone coreano ci fa comprendere un aspetto molto importante dello zelo apostolico. Vale a dire il coraggio di rialzarsi quando si cade».
Portandosi poi idealmente in Oceania, il pontefice ha descritto la vita di «una religiosa straordinaria», Mary MacKillop, fondatrice delle suore di San Giuseppe del Sacro Cuore. Tutta una vita dedicata alla formazione dei poveri nell’Australia rurale. Leggendo con saggezza i segni dei tempi, comprese che l’educazione è una forma di evangelizzazione. «In cosa consiste l’educazione? Nell’accompagnare e incoraggiare gli studenti nel cammino di crescita umana e spirituale, mostrando loro quanto l’amicizia con Gesù Risorto dilati il cuore e renda la vita più umana».
Un’altra figura femminile tratteggiata è quella di Kateri Tekakwitha, la prima donna nativa del Nord America a essere canonizzata. Era figlia di un capo Mohawk non battezzato e di una madre cristiana Algonchina, che le insegnò a parlare con Dio. «L’evangelizzazione spesso inizia così: con gesti semplici, piccoli, come i genitori che aiutano i figli a imparare a parlare con Dio nella preghiera e che raccontano loro il suo amore grande e misericordioso». Quando Kateri aveva quattro anni, una epidemia di vaiolo colpì il suo popolo; i genitori e il fratello minore morirono e lei stessa rimase con cicatrici sul viso e problemi di vista. Da quel momento in poi Kateri affronterà difficoltà di ogni tipo e perfino minacce di morte in seguito al suo battesimo. «Tutto ciò le diede un grande amore per la croce, segno definitivo dell’amore di Cristo, che si è donato fino alla fine per noi […] Sebbene fosse incoraggiata a sposarsi, Kateri voleva invece dedicare completamente la sua vita a Cristo. Impossibilitata a entrare nella vita consacrata, emise voto di verginità perpetua. Questa sua scelta rivela un altro aspetto dello zelo apostolico che lei aveva: la dedizione totale al Signore».
Papa Francesco ha invitato a continuare il viaggio toccando stavolta il Venezuela, per conoscere la storia di un laico, José Gregorio Hernández Cisneros. Egli è stato medico, professore universitario e scienziato. Un dottore vicino ai più deboli, tanto da essere conosciuto in patria come «il medico dei poveri». Provò a diventare religioso e sacerdote, ma problemi di salute glielo impedirono. In questo contesto egli accolse la medicina come «il sacerdozio del dolore umano». Egli si sentì chiamato anche a offrire la sua vita per la pace, mentre infuriava la Prima guerra mondiale. Il 29 giugno 1919 un amico gli fa visita e lo trova molto felice. «José Gregorio ha infatti saputo che è stato firmato il trattato che pone termine alla guerra. La sua offerta è stata accolta», Quella stessa mattina, dopo la Messa scende in strada per portare una medicina a un malato. Ma, mentre attraversa la strada, viene investito da un veicolo; portato in ospedale, muore pronunciando il nome della Madonna».
Le quattro facce dell’annuncio di Gesù
Per finire in bellezza, il papa ha voluto sintetizzare il ciclo di catechesi in quattro punti, ispirandosi alla sua Evangelii gaudium. Il primo riguarda l’atteggiamento da cui dipende la sostanza del gesto evangelizzatore: la gioia. Il secondo ricorda che la buona notizia è per tutti (Dio sceglie uno per amare tutti, per arrivare a tutti, prevedendo la tentazione di identificare il cristianesimo con una cultura, con un’etnia, con un sistema). Il terzo conferma che l’annuncio cristiano è per l’oggi (è necessario arrivare là dove si formano i nuovi racconti e paradigmi, raggiungere con la Parola di Gesù i nuclei più profondi dell’anima delle città). Quindi, più che voler riconvertire il mondo d’oggi, occorre convertire la pastorale perché incarni meglio il Vangelo nell’oggi. L’ultimo punto tocca una caratteristica essenziale: occorre che l’annuncio avvenga nello Spirito Santo. «Il Signore non ci ha lasciato delle dispense di teologia o un manuale di pastorale da applicare, ma lo Spirito Santo che suscita la missione. E l’intraprendenza coraggiosa che lo Spirito infonde ci porta a imitarne lo stile, che sempre ha due caratteristiche: la creatività e la semplicità».
MARIO CHIARO