Scattolini Antonio
Una icona evangelica di ospitalità
2024/7, p. 38
Un tratto della più alta spiritualità cristiana che si manifesta dentro una casa.

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Testimoni
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INCONTRI CON LA BELLEZZA
Una icona evangelica di ospitalità
Un tratto della più alta spiritualità cristiana che si manifesta dentro una casa.
Il grande pittore olandese Jan Vermeer, oltre che per i suoi ritratti (cf. «Fanciulla con turbante», detta «La ragazza con l’orecchino di perla») è conosciuto per le sue suggestive vedute di interni (cf. «La lattaia», «Donna che legge una lettera alla finestra», «Il geografo»…). Protagonista dei suoi dipinti è sempre la casa, in cui stazionano pochi personaggi, abbigliati alla moda fiamminga del ’600, avvolti dalla luce particolarissima che penetra dalle finestre poste sulla sinistra dello spettatore. Le sue opere dello stile maturo risultano facilmente riconoscibili perché sono segnate dalla insistita riproposizione di note di realismo e di morbidezza, di studio delle sorgenti di luce, di descrizione precisa dei dettagli: la sua è la testimonianza di una grande pittura che può esprimersi anche senza soggetti importanti, capace di non perdere la dimensione poetica pur dedicandosi ad una meticolosa attenzione alla realtà (es. effetti ottici). Alla produzione giovanile di Vermeer è invece attribuita questa tela: si tratta di una scena di interno che ha ancora una volta come protagonista una casa, quella di Marta e Maria, in cui Gesù viene ospitato, così come ci racconta il Vangelo di Luca al capitolo 10, versetti 38-42. A dire il vero, è un dipinto che ha poco in comune con le opere successive, essendo fortemente marcato dalle influenze italianizzanti, tipiche della Scuola di Utrecht; invece, a Delft, sua cittadina natale, Vermeer era cresciuto nell’ambito della tradizione pittorica legata ad una scuola locale, particolarmente attenta ai problemi della prospettiva ed alle architetture (cf. vedute di interni di chiese); è per questa ragione che qualche critico ha anche messo in dubbio la paternità dell’opera. Il nostro artista, che in seguito saprà dare un’anima alle case dei suoi dipinti, alle stanze ed agli arredi, qui è chiamato a confrontarsi con un tratto della più alta spiritualità cristiana che si manifesta proprio dentro una casa. E proprio per concentrarsi sul soggetto evangelico, Vermeer riduce al minimo le note descrittive e di ambientazione, che diventavano, al contrario, per altri pittori il pretesto per dipingere scene di cucina e di nature morte. Infatti il «Cristo in casa di Marta e Maria» era uno dei soggetti privilegiati nel clima della Controriforma, nel ’500 e nel ’600 (tra gli altri vi si dedicarono anche Tintoretto e Velazquez): bisogna tener conto del fatto che il brano di Luca veniva interpretato tradizionalmente in senso morale, come opposizione tra la vita attiva, personificata da Marta, e quella contemplativa, personificata da Maria. Oltre a ciò, nel contesto delle controversie tra cattolici e protestanti, c’era in gioco anche la questione della giustificazione per la sola fede o attraverso le opere: se era vero che Cristo aveva dato preminenza all’atteggiamento di Maria, era anche vero che era stata Marta ad accoglierlo nella sua casa, e proprio in questa casa può avvenire l’incontro del fedele col suo Signore. Vermeer e gli altri pittori dell’epoca, pur con scelte compositive diverse, ambientarono la scena evangelica negli spazi domestici del loro tempo, mettendo in evidenza gli elementi che richiamavano l’ospitalità ed il servizio (cucina, focolare, tappeti, mensa, vivande…), creando così delle opere che si collocavano a metà strada tra la pittura religiosa e quella cosiddetta «di genere», che si esprimeva con un linguaggio del tutto laico. Per questo, a prescindere dalla leggera aureola attorno alla testa di Gesù, noi non ritroviamo nessun elemento sacro, in questo dipinto, che potrebbe essere scambiato per una scena di vita di un’anonima famiglia delle Fiandre del XVI secolo.
Sguardo su quattro piani
La composizione di Vermeer è impostata su quattro piani: davanti a tutti, in basso sta Maria, figura umile ma che doveva sempre avere una certa preminenza; di seguito, ecco la figura di Cristo, spostato sulla destra di chi guarda; leggermente arretrata troviamo poi Marta, che occupa la posizione centrale e culminante della piramide umana; sullo sfondo infine è mostrato un accenno di arredamento, con le pareti della stanza che chiudono la visuale. Maria è seduta in primo piano, tutta rivolta a Cristo: davvero in questa giovane donna, assisa ai piedi del Maestro, Vermeer ha saputo incarnare il valore dell’ascolto, della contemplazione. Maria sembra assumere lo stesso sguardo del Signore, impedendo che le pur giuste preoccupazioni del servizio, assorbano totalmente la persona, occupando anche lo spazio libero per «parte migliore» che non ci deve essere tolta. Proprio sopra di lei si intravedono le porte aperte di un armadio, simbolo di apertura degli spazi interiori dell’animo verso Dio. Molto bella è la postura di Maria, tipica della meditazione, con la testa appoggiata alla mano destra, mentre la sinistra è abbandonata sulle ginocchia. La sua figura ci ricorda che il Signore non contrappone l’azione alla contemplazione, ma vuole mostrare ciò che sta al fondamento dell’agire cristiano, e cioè l’ascolto fiducioso della Parola che poi fruttifica nell’amore.
Immagine vivente dell’accoglienza
In opposizione a Maria, seduta, immobile e passiva, Marta viene rappresentata in piedi ed attiva: sta portando in tavola un cesto col pane. La figura di Marta occupa come abbiamo già visto, la posizione centrale: il fatto che domini la scena, si spiega molto probabilmente con la committenza cattolica del dipinto. Marta, proprio per il suo servizio attivo rivolto a Cristo, era stata esaltata dal Maestro Eckhart, e più recentemente, da Santa Teresa d’Avila che ne aveva fatto un modello per le sue Carmelitane. I Gesuiti inoltre tratteggiavano il profilo ideale del cristiano «in actione contemplativus», ricomponendo così la tensione tra Marta e Maria. Marta, dunque, in questo caso è l’immagine stessa dell’accoglienza, di quell’accoglienza che consiste nella carità e che ha come sorgente l’eucaristia. È Marta che offre riparo, riposo, cibo, cure: è lei che ha steso la bella tovaglia bianca sulla mensa ed ora serve il pane; Vermeer sembra dunque interpretare positivamente il senso con cui Luca la prefigura come simbolo di tutti coloro che accolgono gli annunciatori della Parola.
«Casa della Parola e del Servizio»
Cristo è seduto di fianco, su una seggiola importante che ne esalta il ruolo. A differenza delle due donne, solo il volto di Cristo è totalmente illuminato: mentre con lo sguardo si rivolge a Marta, con la destra indica Maria come colei che ha scelto la «parte migliore»… contro il rischio di una «santa» agitazione, che va rieducata continuamente dalla Parola! Per Gesù, si tratta di ristabilire, in questa casa, l’equilibrio tra ascolto e servizio, evidenziando che il secondo, nasce dal primo e resta davvero evangelico nella misura in cui non funziona autonomamente, ma si radica stabilmente nell’ascolto della parola di Colui che ci amati per primo e che ci dona il suo Spirito d’Amore.
E dunque, in questa casa, così semplicemente abbozzata da Vermeer, noi ci troviamo di fronte ad una icona evangelica di ospitalità, di incontro, di comunione fraterna. Come ricordava Gesù in un altro passo del Vangelo di Luca, per diventare suoi fratelli e sue sorelle bisogna essere tra coloro che «ascoltano la Parola di Dio e la mettono in pratica» (8, 21). E questo dipinto, che nell’interpretazione tradizionale doveva coniugare il valore della vita attiva con quella contemplativa, ci mostra che l’ascoltare autentico è obbedire ed operare, è far sbocciare nella vita l’accoglienza e la gratuità. Si tratta ancor oggi di abitare in questo modo la casa della Chiesa, per offrire una testimonianza credibile che costantemente unisca ascolto e vita, fede e carità, culto ed impegno sociale. Le nostre comunità sono chiamate allora a ridipingere questa scena ridonando senza ambiguità il primato alla Parola, a quella Parola che non distrae dalla quotidianità, ma che suscita l’attenzione al fratello, alla storia, al mondo. San Benedetto, e gli altri grandi uomini di Dio che hanno coniugato mirabilmente l’ospitalità divina a quella umana, sono diventati autentici capolavori evangelici, dai colori vivaci come questo quadro. Il vero discepolo non solo «spiega» le Scritture, ma le «dispiega» davanti a tutti come realtà viva e praticata: è per questo che la lezione del servizio e della misericordia è una lettura/lezione vivente della Parola divina. Possano dunque le nostre chiese restare sempre «Case della Parola e del Servizio», in cui incontriamo i fratelli e le sorelle di altre chiese, di altre religioni, di altri popoli… un segno eloquente e profetico di accoglienza evangelica, in un mondo dove sembra prevalere la corsa, l’affanno e la dispersione.
ANTONIO SCATTOLINI