Adriano Giorgio
Lo sviluppo religioso nel bambino e nell’adolescente
2024/7, p. 29
L’esperienza spirituale è parte del mondo interiore di ogni essere umano; il concetto di «essenza dello spirito umano» invita tutti noi a compiere un viaggio di scoperta interiore profonda, alla ricerca di ciò che ci rende unici ed irripetibili. Questo viaggio di esplorazione ci permette di scoprire le profondità del nostro essere al di là dei confini più puramente materiali.

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CRESCITA DELL’INTERIORITÀ UMANA
Lo sviluppo religioso
nel bambino e nell’adolescente
L’esperienza spirituale è parte del mondo interiore di ogni essere umano; il concetto di «essenza dello spirito umano» invita tutti noi a compiere un viaggio di scoperta interiore profonda, alla ricerca di ciò che ci rende unici ed irripetibili. Questo viaggio di esplorazione ci permette di scoprire le profondità del nostro essere al di là dei confini più puramente materiali.
Questo cammino di conoscenza interiore parte fin dalla fanciullezza; i bambini e le bambine necessitano che gli adulti di riferimento abbiano consapevolezza di quanto il proprio ruolo sia di fondamentale importanza nel permettere che tale esperienza possa essere vissuta in modo autentico, senza distorsioni e derive.
La grande pedagogista Maria Montessori sosteneva che il fanciullo è portato naturalmente a conoscere Dio, a partire dall’ambiente che lo circonda; ella era convinta che i bambini fossero capaci «di distinguere fra le cose naturali e le cose soprannaturali». Già dalla più tenera età, i bambini pongono all’adulto domande fondamentali: chi siamo veramente? Qual è il nostro scopo nella vita? Cosa significa morire? Le loro domande cercano risposte a eventi inspiegabili e a sentimenti incomprensibili. I bambini di ieri e di oggi, così come tutti gli adulti del passato e del presente, non possono fare a meno di porre e porsi quesiti che li aiutino a spiegarsi il rapporto tra vita e morte, tra bene e male.
I molti «perché» dei bambini rappresentano la loro spinta a capire il significato della vita che li circonda e il valore morale delle loro azioni. Le loro domande richiedono un atteggiamento di ascolto costruttivo da parte degli adulti, di rassicurazione, comprensione ed esplicitazione delle diverse posizioni. È attraverso i genitori che il bambino assegna un nome alle cose e ne comprende la funzione ed il significato capendo ciò che è buono e ciò che è cattivo, ciò che è bello e ciò che è brutto. È attraverso la madre ed il padre che gradualmente il bambino acquisisce la scansione del tempo, che entra nei ritmi della vita, che impara a comunicare, a comportarsi, a entrare in relazione con il mondo.
Diversi passaggi di sviluppo
Il filosofo e pedagogista svizzero Piaget affermava che «la vita religiosa, durante la prima infanzia si confonde con lo stesso sentimento filiale: il bambino piccolo attribuisce spontaneamente ai propri genitori le diverse perfezioni della divinità quali l’onnipotenza, l’onniscienza e la perfezione morale».
Fino ai 3 anni circa, per ogni bambino i suoi genitori, sono il suo Dio, onnipotenti e perfetti. Sono loro che possono modificare ogni suo stato di bisogno in benessere; i genitori sono per il bambino, come Dio, in grado di dare tutto ed anche di privarlo di tutto.
Durante la crescita evolutiva queste certezze spontanee cominciano ad andare in crisi, sorge l’esigenza di avere «qualcuno» che sia veramente buono e perfetto; nasce così l’idea di Dio. «Solo quando il bambino scopre, a poco a poco, le reali imperfezioni dell’adulto, i sentimenti filiali vengono sublimati e trasferiti sugli esseri soprannaturali offerti dall’educazione religiosa» (J. Piaget, Lo sviluppo mentale del bambino).
Dai 3 ai 5-6 anni, il bambino osserva l’ambiente che lo circonda cercando di cogliere le diverse relazioni tra le persone; si incuriosisce circa le narrazioni degli adulti, le espressioni delle loro opinioni e della loro spiritualità e della loro fede; ascolta con attenzione discorsi circa gli orientamenti morali, cosa è giusto e cosa è sbagliato, il valore che gli adulti attribuiscono alle pratiche religiose. I bambini in questa fase evolutiva sono alla ricerca di legami affettivi e di punti di riferimento stabili e rassicuranti, di conferme e di serenità e, allo stesso tempo, di nuovi stimoli emotivi, sociali, culturali, di ritualità e di nuove scoperte.
È proprio in questo tempo di crescita in cui si dovrebbe collocare l’educazione religiosa. È fondamentale che i genitori aiutino il bambino a capire che la realtà non si esaurisce in ciò che si vede e si tocca con mano, ma che esiste una dimensione trascendente, che va aldilà del mondo fisico: una dimensione che anche per noi adulti risulta essere misteriosa, non percepibile con i sensi, ma profondamente vera. Esiste un Dio che ama tutti noi, che ci è vicino e che ci accompagna lungo le strade della vita.
È essenziale che i genitori si interroghino su come procede questa progressiva scoperta da parte del bambino del religioso che lo circonda e che è in lui. Così come vengono osservate con cura ed attenzione le fasi della crescita fisica, psichica e mentale, è importante non dimenticare la crescita religiosa nel bambino tenendo ben presente che questo è un campo molto delicato. Qui non vi sono indicatori oggettivi da verificare e test diagnostici con cui confrontarsi.
La naturale predisposizione religiosa di cui facevamo cenno, ha bisogno di essere sostenuta e guidata, altrimenti il forte rischio è determinato dal fatto che possa rimanere al suo stato potenziale e non evolversi accompagnando il bambino nella crescita. È opportuno interrogarsi se al bambino forniamo il «cibo» di cui ha bisogno: gesti, segni, parole, esempi capaci di coinvolgerlo. Sostanzialmente sono gli stessi segni con i quali la fede è stata trasmessa a noi dalle generazioni che ci hanno preceduto. Lo sviluppo del senso religioso richiede tempo, sobrietà, delicatezza, empatia nei confronti del piccolo, in modo che il messaggio sia trasmesso nella misura giusta per lui e per la fase di sviluppo che sta vivendo.
È fondamentale quando si parla di educazione religiosa utilizzare un linguaggio vicino ed accessibile ai bambini e ai preadolescenti; un linguaggio che, ancorandosi alle esperienze di vita concrete, sia in grado di «tradurre» sul piano esistenziale quelle parole e quei concetti religiosi che possono spesso risultare loro «astratti».
L’adulto deve essere in grado di saper pronunciare la «parola giusta», quella che sa intercettare ed accogliere quel desiderio profondo di senso, di autenticità che abita il cuore dei bambini e degli adolescenti, come di ogni essere umano; di creare «esperienze di bellezza» per permettere l’incontro tra la parte «più intima» di sé e «quel qualcosa» che si intuisce essere racchiuso e, al tempo stesso, «andare oltre» quella bellezza percepita.
Accettare la sfida di educare ad una spiritualità religiosamente orientata, sollecita ad assumere nei loro confronti uno sguardo educante, capace di riconoscere, accogliere, favorire e orientare quel desiderio di una relazione intima, personale e incarnata, con il Tu di Dio.
Aiutare i giovani a trovare la loro spiritualità significa aiutarli a guardare al di là delle apparenze superficiali e delle etichette che ci sono state assegnate permettendo loro di fare esperienze di una «religiosità incarnata» nei volti e nelle relazioni che essi incontrano e vivono quotidianamente nel loro percorso di crescita.
GIORGIO ADRIANO