Berardi Marina
Il chicco di grano che muore produce frutto
2024/6, p. 3
Un’avventura umana e spirituale segnata finanche da persecuzioni e, a un tempo, da doni divini ineffabili.

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Il chicco di grano che muore produce frutto
Un’avventura umana e spirituale segnata finanche da persecuzioni e, a un tempo, da doni divini ineffabili.
Siamo nel dicembre 1930 quando inizia la nuova avventura, per la quale Madre Speranza non ha scelto le sue compagne di viaggio, tutt’altro. In occasione della fondazione della congregazione delle Ancelle dell’Amore Misericordioso, l’hanno seguita persone accettate solo in obbedienza al padre spirituale, destinate poi, insieme a sacerdoti e alti prelati, a sollevare una vera e propria «persecuzione», giunta fino al Sant’Uffizio. Nel primo Capitolo generale, nonostante l’unanimità dei voti, Madre Speranza è stata destituita da Madre generale ed è stata affidata la guida della Congregazione ad un’altra religiosa. Proprio la tenace opposizione che le veniva dall’esterno, anche da una parte della «Santa Madre Chiesa» – come lei ha sempre continuato a chiamarla in segno di filiale gratitudine e stima –, ha fortificato Madre Speranza, portandola a confidare e ad appoggiarsi solamente in Dio, ma senza rinunciare ad esprimere i suoi sentimenti più profondi.
Ecco quanto scrive al Vescovo di Tarazona, nominato Direttore «ad nutum Sanctae Sedis»: «Molto lungo è stato per me il mese di maggio, nel quale aspettavo che V. Ecc.za, terminata la Visita alle case, sarebbe venuto a Roma e avrei potuto avere la consolazione di confidarmi con il Superiore che il Santo Padre ci ha nominato. Però vedo che il tempo passa senza ricevere questa consolazione e così mi permetto di dirle per lettera che soffro molto. Se il buon Gesù, manifestandomi il suo desiderio di fondare la Congregazione delle Ancelle dell’Amore Misericordioso mi avesse fatto vedere le sofferenze e le croci che dovevano accompagnare la mia amata Congregazione e me, mi sarei scoraggiata. Però il buon Gesù, che conosce la mia debolezza, mi ha nascosto le croci e mi ha mostrato solo la gloria che questa Congregazione gli avrebbe dato. Così, fin dai primi passi, sono diventata un segno di contraddizione, mi sono vista avversata da Vescovi, virtuosi Sacerdoti e perfino dalle mie povere figlie. Oggi ho la fortuna di vedere la mia amata Congregazione protetta e benedetta dal Santo Padre, incorporata nella Chiesa mia Madre, e guidata da V. Ecc.za che con affetto di padre lavora per lei. Io, nonostante tutte queste grazie, soffro indicibilmente. In questo momento ricevo la lettera nella quale V. Ecc.za mi ordina di scriverle il meno possibile» (Lettere, El Pan 19, 1262-1263).
Il primo Figlio dell’Amore Misericordioso
La resistenza che le arriva dall’esterno, l’abbiamo sentito, la fa soffrire indicibilmente ma non l’abbatte, piuttosto alimenta la sua personale resistenza e coraggio che hanno la loro radice nella convinzione che sta portando avanti un progetto che non è suo, che ama appassionatamente e che è pronta a difendere con tenacia e franchezza.
Mi piace evidenziare, inoltre, la pedagogia di Gesù: è quella del passo dopo passo, del disvelamento graduale della sua volontà. Come ogni creatura umana, in alcune circostanze anche Madre Speranza si è scoraggiata e ha tentato di resistere altercando con Dio, salvo poi riconoscere la presunzione di voler essere lei ad indicare a Lui il cammino.
È commovente la pagina del suo Diario, in cui annota l’estasi del 24 febbraio 1951. Quel giorno, a Roma, Gesù le svela che è arrivato il momento di fondare la congregazione maschile e che il primo membro avrebbe dovuto essere Alfredo Di Penta, un imprenditore edile che durante la Seconda guerra mondiale è stato un aviatore.
Ma lasciamo che sia lei a raccontarlo: «Il buon Gesù mi dice che è giunto il momento di accettare totalmente il dolore e il sacrificio e che debbo essere pronta ad accogliere tutto quello che Lui vorrà, costi quello che costi. Mi ha detto che è arrivato il momento di fondare la Congregazione dei Figli dell’Amore Misericordioso e che il primo di questi sarà il giovane Alfredo Di Penta che, in occasione dell’anno santo, Egli nella sua provvidenza mi aveva già messo accanto perché mi si affezionasse e potesse così rispondere, con più facilità, alla divina chiamata. Solo Gesù conosce l’impressione dolorosa che ha prodotto nella mia povera anima la sua decisione. Oppressa dalla pena e piangendo come una bambina, ho preteso spiegare al buon Gesù la mia nullità, i miei timori e cosa mai avrei potuto realizzare con l’aiuto di un secolare che neanche lontanamente pensava di diventare religioso. Il buon Gesù mi ha risposto che questo giovane diventerà religioso, sacerdote e primo figlio dell’Amore Misericordioso. Io, fuori di me e non in sintonia con Lui, gli ho risposto avventatamente: “Io, Signore, non sono disposta a servire da strumento per farti soffrire collaborando al tuo fallimento; cercati una creatura più adatta per questa impresa, cercati, Signore, un Vescovo, un monsignore o un sacerdote esperto e virtuoso, chiunque tu voglia, ma non io, Signore, e per giunta aiutata da un secolare che non ha la più pallida idea di cosa sia la vita religiosa”».
Continua Madre Speranza: «Il buon Gesù mi ascoltava sereno e tranquillo, tollerando, nella sua infinita umiltà, la mia sconsiderata superbia, finché, trafitta nell’anima dal suo sguardo amoroso, ho detto al mio Dio: “Perdonami, Dio mio, ancora una volta e puniscimi con ogni sorta di sofferenze, però fa’ che non pensi più a me stessa, ma solo a darti gloria”. Egli mi ha perdonato e con sguardo amoroso e voce paterna, mi ha detto: “Figlia mia, io non tengo in conto, dimentico, perdono e ti amo tanto, tanto; conosco le sofferenze che ti attendono e le umiliazioni che dovrai subire; ma è mio desiderio che tu passi per queste prove e che il primo dei Figli dell’Amore Misericordioso sia Alfredo”. Al che ho aggiunto: “Ecce Ancilla Domini, però Gesù, dimentica il dispiacere che ti ho dato e aiutami, perché nelle prove impari a diffidare di me per confidare unicamente in te”» (El Pan 18, 1042-1047).
«Il grande Santuario dedicato al Suo Amore Misericordioso»
La «resa» all’amore, così come la «resistenza» di fronte alle sofferenze, alla croce, hanno un comun denominatore: la fiducia in una relazione fondante per la propria vita. È, infatti, nella prova vissuta con fede che Madre Speranza ha scoperto quegli orizzonti illimitati che Dio le ha posto davanti e, come lei stessa ha detto, è nella «solitudine, è lì, che ho imparato ad amare Gesù». È lì che ha imparato ad assumere i suoi i criteri, i sentimenti di Lui, a credere, nell’attesa paziente di scoprire il senso di ogni cosa.
Il 1951, oltre ad essere l’anno della fondazione, segna l’inizio della grande realtà di Collevalenza e di un progetto che viene da lontano. Per la prima volta una comunità di Ancelle e di Figli vivono nello stesso luogo, le une a Casa Valentini e gli altri nella Casa parrocchiale, dando vita a quella Famiglia religiosa che il Signore le aveva chiesto di fondare. Madre Speranza comprende, inoltre, che è qui che deve sorgere il «grande Santuario dedicato al Suo Amore Misericordioso». Eppure, nonostante per anni abbia portato nel cuore tutto questo, tanto da temere di non riuscire a vederne la realizzazione, umanamente fatica a conformarsi al volere di Dio: «… durante la notte mi sono distratta e il buon Gesù mi ha detto chiaramente che in questa Collevalenza, dove io non mi rassegno facilmente a restare, è dove devo vivere, svolgere e organizzare il mio ultimo compito, secondo il suo desiderio» (Diario, El Pan 18, 1086).
Basta guardarsi intorno, perdersi con lo sguardo tra le verdi colline, tra le diverse chiese ed edifici o incamminarsi lungo la suggestiva Via Crucis, per capire che Madre Speranza, ancora una volta, si è arresa all’Amore.
Il chicco che porta frutto
Un altro significato della parola «resa» è «produrre frutto» e, come per il chicco di grano, «molto frutto», a condizione di essere disposti a perdere la propria vita (cf. Gv 12,24). E questo è un frutto che rimane. Come non ricordare, a questo proposito, la notissima pagina di Diario del 14 maggio 1949? In vista della realizzazione dell’Opera di Collevalenza, è Gesù a chiedere a Madre Speranza di accettare di passare attraverso la complessa lavorazione di un chicco di grano, al fine di divenire pane offerto e condiviso: «… mai devi dimenticare che Io mi sono sempre servito dei mezzi più insignificanti e piccoli per fare cose grandi e meravigliose; ho parlato a Balaam per mezzo di un asino, anziché per mezzo di un angelo, e così, come per avere un grande covone di grano, occorre seminare un piccolo seme, coprirlo con la terra, straziarlo con acqua, sole, freddo, neve e finalmente farlo marcire e annientare perché fruttifichi e produca grano in grande abbondanza. E ancora tutto ciò non basta perché il frutto possa servire come nutrimento per l’uomo, ma occorre che il grano venga triturato, poi macinato e trasformato in polvere; quindi, la polvere passata al setaccio per dividere la crusca dalla farina e questa sia impastata con acqua e ben cotta, per servire da nutrimento o principale alimento per il sostentamento dell’uomo. Così, tu devi passare per tutta questa elaborazione, per essere come io ti voglio, cioè voglio servirmi di te come alimento e sostegno di molte anime e che i figli e le figlie succhino da te la sostanza di questa elaborazione per darmi molta gloria in questo Santuario, con il soave profumo del sacrificio, dell’orazione, della rinuncia e con il continuo esercizio della carità e dell’amore ai più bisognosi» (Diario, El Pan 18, 998-1000).
La tomba si ispira a questa metafora: lei è il chicco che sepolto sotto il pavimento lo solleva e il frutto sono i tanti pellegrini che giungono a Collevalenza da ogni parte del mondo e, perché no, siamo noi, siete voi, religiosi e religiose, che in questi quarant’anni avete partecipato agli arricchenti Convegni della CISM.
Ripetute volte, Madre Speranza si è domandata e ha chiesto al suo padre spirituale che cosa volesse il buon Gesù da lei, manifestando meraviglia per quanto Lui andava compiendo in lei e con lei: «… quanto mi ha impressionato questo»! «… che commozione»!
È stata una ricercatrice di senso e ha fatto i conti con la sua condizione di creatura, pronta ad abbracciare una progettualità che sembrava superarla, qualcosa più grande di lei, per la quale, come abbiamo visto, si sentiva inadeguata. Ha cercato sempre la pienezza del frutto, che credo sia identificabile con il raggiungimento della «misura che corrisponde alla piena maturità di Cristo» (Ef 4,13) e con il grado di santità a cui ciascuno è chiamato. Tutto questo per Grazia.
Il termine «resa» indica, infatti, anche il «restituire» ciò che gratuitamente si è avuto. Madre Speranza si sente in dovere di riconsegnare ciò che ha immeritatamente ricevuto in dono. Lei ne è certa: è solo chiamata ad essere riflesso di un Amore più grande, di quel Gesù a cui ha legato la sua intera esistenza, per il quale ha donato energie, mente, volontà, cuore. Cosciente della sua piccolezza e inutilità, più volte ricordatale dal Signore stesso, non ha però mai rinunciato a riflettere Lui, come uno specchio d’acqua che rende l’immagine che vi si specchia.
Concludo con le parole di padre Bartolomeo Sorge: «Avevo l’impressione di parlare con un’anima “abbagliata” da Dio, e questo traspariva anche dal suo sguardo».
Nello spirito della parola del Deuteronomio, incipit di queste righe, direi che nella sua vita longeva costellata, per permissione del Signore, da prove ed umiliazioni, Madre Speranza è stata mossa dal desiderio di osservare i comandi del suo Dio e, giunta alla meta, si è «arresa» e ha «reso» ciò che gratuitamente aveva ricevuto e custodito nel cuore: l’amore e la misericordia del suo «buon Gesù».
MARINA BERARDI