Isabella di Francia
2024/6, p. 30
Figlia di Luigi VIII e Bianca di Castiglia, fu sorella del re san Luigi IX seguace dell’umiltà di Maria.
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TESTIMONI
Isabella di Francia
Figlia di Luigi VIII e Bianca di Castiglia, fu sorella del re san Luigi IX seguace dell’umiltà di Maria
Cerchiamo di penetrare nel mondo della figlia di Luigi VIII e Bianca di Castiglia, privilegiando il riferimento ai documenti. Conosciamo la principessa capetingia attraverso la Vita della beata Isabella di Agnese di Harcourt. Scritto una quindicina d’anni dopo la morte della principessa, questo testo è notevole per molti motivi. Pur non essendo esente da intenti agiografici, è una fonte attendibile dal punto di vista biografico perché l’autrice, appartenente alla nobiltà normanna, era stata dama di compagnia di Isabella e ne aveva condiviso la giovinezza, per poi seguirla anche nel suo percorso religioso; inoltre è la prima vita di una santa donna scritta da un’altra donna, direttamente in francese senza ricorrere a un modello latino.
Il testo è vergato ordinatamente in due parti. La prima ha forma narrativa e ripercorre in ordine cronologico l’esistenza di Isabella. La seconda parte riporta quaranta miracoli attribuiti alla principessa. Interessante è anche il supporto materiale del documento: il testo è stato steso su fogli di pergamena cuciti insieme e poi piegati a rotolo. Il prologo e i primi paragrafi sono stati probabilmente aggiunti alla fine del lavoro e si sono rivelati un adattamento da una leggenda di Elisabetta di Ungheria, quasi a sottolineare la continuità tra due donne di sangue reale, ma presumibilmente anche per dare maggiore autorevolezza alla vita di Isabella, esemplata su quella di una santa appena canonizzata. Ricerche recenti hanno inoltre dimostrato che nella vita di Agnese di Harcourt vi sono prestiti di una vita di santa Chiara in francese antico.
La vita
Da Agnese impariamo che Isabella era bella e colta e che, oltre all’apprendimento del latino e la lettura della Sacra Scrittura, trascorreva le sue giornate in silenzio dedicandosi al lavoro del cucito e della seta. La mamma amava vestirla elegantemente e la educava in vista del matrimonio. I genitori l’avevano destinata in sposa a Corrado, figlio dell’imperatore Federico II, ma Isabella rifiutò, lasciando intendere che voleva vivere in verginità. Infatti, dopo la morte della madre e con il sostegno del fratello divenuto re con il nome di Luigi IX, decise di dedicare la sua vita alla cura dei poveri e dei malati e di impiegare la sua dote per la costruzione di un monastero.
Prima del 1254 Isabella, come la madre e il fratello, era spiritualmente vicina all’ordine cistercense, ma in quell’anno ricevette la lettera-trattato di Gilberto di Tournay e attuò la «svolta francescana» che la principessa seguì poi fino alla morte, avvenuta nel 1270. Gilberto era stato maestro delle arti all’Università di Parigi prima di entrare nell’ordine francescano, acquisì poi il dottorato in teologia e insegnò nello studium dell’Ordine francescano a Parigi. Nell’epistola spirituale, che segue di un anno un’altra lettera del papa Innocenzo IV che invitava la principessa a consacrare la sua verginità con un voto, il teologo francescano esprime il medesimo auspicio indirizzando ad Isabella una esposizione del salmo 44, dandone una interpretazione mistica. Nel commentare il versetto «Tutta la gloria di questa figlia del re viene dall’interno in frange d’oro, avvolta nella varietà», Gilberto distingue cinque parti: l’eredità celeste, la purezza, la verginità, l’umiltà e la condotta onesta della figlia del re. Alla figlia di un re spettano infatti vesti regali: la gloria che viene da dentro indica purezza interiore. Con l’oro si esprime la verginità illibata, con le frange l’umiltà, con il contorno della varietà, la bellezza esterna e l’umiltà. Per conquistare il regno di Dio la figlia del re deve compiere un cammino distinto in dieci passi, ciascuno dei quali è volto a superare un ostacolo che allontana da Dio e ad avvicinarsi invece al regno dei cieli. Segue poi un commento agli ornamenti della figlia del re, che non consistono in cose esteriori ma piuttosto nella purezza del cuore e nella testimonianza della coscienza. Inoltre, Gilberto rivela il significato simbolico degli ornamenti menzionati nel versetto 44. La frangia d’oro è la perfetta umiltà, cui si congiunge strettamente la verginità. Il trattato prosegue con un lungo elogio della verginità, i cui ornamenti sono la corona d’oro, la veste di lino e porpora, il velo e l’anello, ossia i segni simbolici del matrimonio ma anche del rito della consacrazione delle vergini. L’epistola spirituale si conclude dunque con una chiara esortazione ad Isabella di prendere i voti.
Fondatrice
Ma quale era a quel momento lo stato di vita della principessa capetingia?
Dopo il rifiuto del matrimonio con Corrado, Isabella perseverò nel proposito di non sposarsi, ma non volle neppure diventare monaca. Eppure, la sua fondazione di un monastero femminile di ispirazione francescana in un ampio luogo nei pressi di Parigi stava per essere avviata. Nell’aprile del 1255 venne acquistata una parte del terreno destinato alla fondazione.
L’anno successivo papa Alessandro IV indirizzò a Isabella la lettera Benedicta Filia tu che conteneva un lungo elogio dei progressi spirituali della principessa, che avrebbero suscitato emulazione da parte di altre giovani, e lodava anche la sua vicinanza all’ordine dei Frati Minori. Nella lettera non si faceva menzione del progetto della fondazione, ma la sua conoscenza e la sua approvazione da parte del pontefice appare implicita. Nello stesso anno, infatti, Luigi IX pose la prima pietra della fabbrica del monastero, che sarebbe stato intitolato a Nostra Signora dell’Umiltà.
Eretta secondo gli antichi meccanismi di fondazione famigliare, l’abbazia reale di Longchamp doveva contribuire a plasmare una memoria sacra dinastica, ma Isabella volle comunque inserire la sua comunità nell’orbita francescana. Del resto, sono ben noti gli stretti legami di re Luigi con i Mendicanti. […]
Appena terminata la costruzione dell’abbazia, Isabella si attivò immediatamente per dare una legislazione alla sua fondazione. Raccolse intorno a sé i massimi teologi parigini, tra cui spiccava san Bonaventura, allora Ministro Generale dell’Ordine, e lavorò insieme a loro. Agnese di Harcourt ricorda che si radunavano nella sua camera. La letteratura francescana ha per molto tempo attribuito la regola a san Bonaventura, ma non c’è ragione di postulare una mano maschile nella stesura della regola: Isabella era un’ottima latinista e poteva controllare se quanto scritto corrispondeva alle sue disposizioni. Per questa ragione si può dire che Isabella di Francia sia stata la prima donna a scrivere una regola monastica. Questa affermazione contrasta con la convinzione soprattutto italiana che sia stata santa Chiara la prima donna a scrivere una regola. In realtà questa convinzione cade se si pensa che giuridicamente quella di Chiara deve definirsi forma vitae, e non regola, come lei stessa scriveva e come di fatto non poteva essere altrimenti. Nel 1215 infatti il concilio Lateranense IV aveva vietato la proliferazione degli ordini religiosi prescrivendo che ogni nuova formazione monastica assumesse una delle regole già esistenti. Isabella di Francia dovette infatti richiedere una dispensa per poter definire regola il suo ordinamento legislativo.
Una regola nuova
Questo nuovo testo formulato da Isabella di Francia assume come base la regola innocenziana del 1247, molto vicina alla forma vitae di Gregorio IX per l’ordine di San Damiano, ma contiene anche numerose differenze. Le modifiche riguardano soprattutto l’abbigliamento, il digiuno, il silenzio, l’ingresso in monastero ed altri elementi della vita quotidiana, che possono anche mutare a discrezione dell’abbadessa. Vi è però un elemento innovativo di grande peso: l’obbligo della clausura rafforzato da un voto di clausura perpetua.
Isabella non aveva tuttavia ottenuto l’approvazione di un suo grande desiderio: quello di intitolare il suo Ordine Sorores minores, per essere speculare a Fratres Minores. Alessandro IV impose invece il titolo «Sorelle dell’ordine delle Umili Serve della Beata Vergine Maria», che richiamava molto da vicino il titolo del monastero di Longchamp: Monastero dell’Umiltà della Beata Vergine Maria.
Non avendo fatto concessioni circa l’intitolazione francescana dell’Ordine, il papa cedette infine sul ruolo che i francescani avrebbero avuto nella direzione spirituale del monastero: nella regola si prescrive infatti che i visitatori dell’Ordine debbono essere soltanto Frati Minori, designati dal Ministro Generale; le visite debbono essere brevi e il visitatore deve tener conto anche dei problemi dei frati che vivono in monastero come confessori. Infine, si prescrive di mantenere accuratamente il segreto su quanto appreso nella visita e di bruciare alla presenza delle sorelle tutti gli appunti eventualmente presi.
Queste brevi note sono sufficienti a mettere in evidenza la non conformità di questa regola con la legislazione francescana, soprattutto in relazione alla questione della povertà. Isabella accettò infatti il possesso di beni, per la cui amministrazione venne istituito l’ufficio del Procuratore. La sua spiritualità non era incentrata sulla povertà materiale, ma sull’umiltà, la povertà di spirito, opposta all’orgoglio aristocratico e nobiliare, e la principessa fece dell’umiltà della Vergine la virtù cardinale.
Ottenuta l’approvazione di questa regola nel 1259 e la concessione di diversi privilegi che accentuavano il carattere di Longchamp come Eigenkloster, ossia come monastero sotto la giurisdizione di una famiglia reale o nobiliare, Isabella di Francia non poteva ancora dirsi soddisfatta. La sua maggiore ispirazione era infatti il riconoscimento del suo ordine come francescano con l’intitolazione di Sorores minores.
Perché i papi si opponevano fermamente a questo titolo? Tutto si deve allo sviluppo tumultuoso dei movimenti della penitenza tra XII e XIII secolo, dove la componente femminile era molto alta. Nel 1216 Jacques de Vitry, in visita in Italia, attestava la proliferazione di sorores minores che vivevano fuori città senza una regola. Molto spesso questi gruppi non avevano neppure un legame diretto con i Frati Minori; tuttavia, si temeva che il loro nome e la loro irregolarità dessero discredito al giovane ordine di san Francesco. Ecco, dunque, la ritrosia dei frati ad accettare un ordine femminile e l’impegno costante del papato a regolarizzare questi movimenti e a obbligarli alla clausura.
Per Isabella di Francia, tuttavia, il nome era strettamente legato alla identità francescana della sua fondazione. Avviò così una revisione della regola del 1259 per accentuare il legame con l’ordine di Francesco. Per esempio la nuova versione prevedeva che i confessori fossero Frati Minori e che dovessero risiedere nell’abbazia; si eliminava inoltre l’ufficio del cappellano, che avrebbe potuto essere un chierico esterno all’ordine, e si accentuavano i compiti del confessore; anche il titolo dell’ordine mutò e finalmente le monache di Longchamp poterono essere chiamate Sorores minores con l’apposizione inclusae; del resto Isabella fin da principio aveva accentuato il valore della clausura rafforzandola con un voto.
GABRIELLA ZARRI