La Mela Maria Cecilia
Storia di un’amicizia spirituale chiamata “Anna”
2024/6, p. 28
Raccontare la storia dell’amicizia spirituale tra la baronessa Anna Grimaldi Zappalà e suor Anna Cantalupo fdc, è voler riconoscere il loro grande impegno caritativo per darne gloria a Dio, così come nel loro tempo hanno fatto molti dei loro beneficati.

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UNA SPOSA E UNA CONSACRATA
Storia di un’amicizia spirituale chiamata «Anna»
Raccontare la storia dell’amicizia spirituale tra la baronessa Anna Grimaldi Zappalà e suor Anna Cantalupo fdc, è voler riconoscere il loro grande impegno caritativo per darne gloria a Dio, così come nel loro tempo hanno fatto molti dei loro beneficati.
Lo spirito che anima questa nostra condivisione è ben espresso in un discorso di san Leone Magno meditato in Quaresima nell’Ufficio monastico delle letture: «La nostra generosità sia più larga verso i poveri e i sofferenti perché siano rese grazie a Dio dalle voci di molti». Ecco che, raccontare la storia dell’amicizia spirituale tra la baronessa Anna Grimaldi Zappalà e suor Anna Cantalupo fdc, è voler riconoscere il loro grande impegno caritativo per darne gloria a Dio, così come nel loro tempo hanno fatto molti dei loro beneficati.
Nel dispiegare questo bel «salmo» di lode vogliamo farci accompagnare dall’antifona liturgica «beato l’uomo che teme il Signore, e dona largamente ai poveri» che ben si addice ad entrambe: beata la donna, beata Anna… Le due amiche si chiamavano alla stessa maniera, anzi, proprio perché amiche, avevano lo stesso nome. Quando nel 1918 suor Pia Cantalupo venne trasferita da Napoli a Catania dietro richiesta della benefattrice dell’Istituto Anna Grimaldi Zappalà che tra l’altro era Presidente dell’Opera nazionale per l’Assistenza civile agli orfani di guerra, questa ebbe una positiva impressione della nuova arrivata tanto da suggerire ai Superiori che, secondo l’uso delle Figlie della Carità di mutare nome ad ogni cambio di casa, prendesse il suo; inoltre, intuendone la ricchezza di virtù e la capacità di servizio verso i poveri, la volle costantemente al suo fianco. «Suor Anna Cantalupo fu come un microfono dinanzi alla voce già potente della Baronessa Zappalà. Si compresero al primo incontro e si misero al lavoro con un’alacrità e un entusiasmo travolgente» tanto che sembrava inseparabile l’opera svolta dalle due, giunta fino a istituire la «Casa della Carità» ancora attiva in via San Pietro 49.
La baronessa
A Catania dire «la baronessa» era dire Anna Zappalà, tanto era conosciuta e apprezzata.
Prima ancora della collaborazione con suor Anna, due figure maschili vanno messe in risalto: innanzitutto quel gigante della carità che è stato il beato cardinale Giuseppe Benedetto Dusmet (1818-1894), benedettino arcivescovo di Catania che, tra le tante benemerenze a favore dei poveri, aveva istituito l’Opera di soccorso degli infermi poveri a domicilio della quale la Baronessa era una delle più attive volontarie sino ad esserne successivamente costituita presidente, e infine quella del marito, il barone Giuseppe Zappalà Asmundo, che assecondò ogni suo progetto di beneficenza collaborando con lei in tutto. Don Pepè – così veniva chiamato – scherzando, diceva: «Se do retta ad Anna mi toccherà andare a finire i miei giorni all’Albergo dei poveri». In fondo però erano un cuor solo ed un’anima sola.
Va dato merito anche alle amiche, generose nell’aderire all’entusiasmo e all’inventiva con cui Anna Zappalà le escogitava tutte per raccogliere fondi, oltre ciò che metteva di tasca sua. A conclusione dei ricevimenti nel suo bel palazzo era solita dire: «Vi siete divertite? Siete contente? Adesso pensiamo ai poveri».
La baronessa Zappalà ha donato cuore e cure, averi e poteri, ricchezze e carezze; «magnificamente donna, fieramente signora, profondamente cristiana» ha saputo mettere a servizio la sua intelligenza, i suoi titoli nobiliari, le sue conoscenze in un ritmo continuo di iniziative a favore dei più sprovvisti. Indubbiamente era una donna volitiva, tenace, forse a volte anche eccessivamente determinata come possono essere le personalità forti, ma tutto in lei era per il prossimo. Nella sua lunga vita (era nata nel 1870 e morta nel 1966) e nel costante attivismo all’interno del laicato cattolico, anche durante l’episcopato dello zio, il cardinale Giuseppe Francica Nava (1846-1928) e di mons. Carmelo Patanè (1930-1952), ella ha precorso i tempi ponendosi come un leader al femminile di indiscusso valore e attestazione.
Venerabile sr. Anna Cantalupo
Suor Anna Cantalupo è stata per la nostra Chiesa di Catania un riflesso dell’amore di Dio che, attraverso di lei, ha illuminato tanta gente. Dichiarata venerabile da papa Francesco il 22 giugno 2023, nei 65 anni di apostolato a Catania (dal 1918 al 1983, anno della sua morte), è stata al servizio degli ultimi. A motivo di ciò era stata insignita della cittadinanza onoraria della città etnea e nominata prima cavaliere e poi commendatore della Repubblica.
Ad una intervista del 1973 inizialmente oppose un serio rifiuto poi addolcito da caritatevole compiacenza: «Non mi sembra il caso che io vada su un giornale: una suora! Cosa c’è di eccezionale in quello che ho fatto? Ho semplicemente lavorato, ho amato tutti e ho incontrato tanta gente buona. Che c’entra questa pubblicità con il lavoro che ho fatto solo per grazia del Signore? […] Io andavo dappertutto. […] Sa chi sono io? Un asinello con le bisacce una di qua, una di là: quello che ci mettono gli altri io lo porto».
Disarmante nella sua umiltà e nel suo instancabile donarsi, suor Anna è stata prima di tutto una religiosa di grande fede, di eroica speranza e di autentica pietà, per questo ha saputo fare della carità evangelica il cuore di tutta la sua vita scorgendo Cristo nelle consorelle e in tutti i fratelli. È significativo che alla fine della lettera pastorale per l’anno 2023-2024, il nostro Arcivescovo mons. Luigi Renna, abbia invocato anche l’intercessione del beato Dusmet e della venerabile Anna Cantalupo, «angeli della carità per i nostri poveri».
Nel 1968, in occasione del suo 60° di professione, fu posta la prima pietra per la costruzione dell’ampia cappella di via San Pietro intitolata alla Madonna della Medaglia Miracolosa grazie al contributo di tantissimi «devoti» di suor Anna. Una nuova prova di affetto da parte della cittadinanza che si chiedeva dove traesse tanta inesauribile capacità di amare. La risposta l’ha data lei stessa molte volte quando con semplicità ha affermato: «Ho solo amato Dio attraverso le sue creature».
Icona della Chiesa sposa e madre
La Baronessa e suor Anna hanno incarnato in pieno la modalità di approccio con i sofferenti, soprattutto gli infermi, propria del fondatore san Vincenzo de’ Paoli che mentre soccorre i corpi cura le anime. Esse hanno donato al prossimo, chiunque esso fosse, tutte se stesse, sempre pronte a dare senza tante volte ricevere. Ma era questa gratuità che apriva gli altri alla gratitudine e magari anche all’impegno. Nella fedeltà quotidiana alla loro vocazione secondo lo stato proprio di ciascuna – una sposa e una consacrata – hanno espresso l’unitarietà della risposta. Guardando alla loro amicizia e al loro fecondo operato, davvero possiamo affermare che hanno reso visibile quanto di più bello: consacrate e sposi sono immagine della Chiesa Sposa.
Grazie alla ventata carismatica del Concilio vaticano II, è stato possibile recuperare questa comprensione universale, e possiamo dire sinodale, per cui i cristiani, insieme, riflettono la più completa immagine della Chiesa, così come era all'inizio della vita apostolica mentre nei secoli successivi si è via via attribuito solo, o per lo più alla vita consacrata e femminile in particolare, questa peculiarità speculare della Chiesa sposa. E invece la si riflette e testimonia tutti. Per questo, noi battezzati – sacerdoti, religiosi, sposi, laici impegnati – insieme alla baronessa e a suor Anna, possiamo pregare con l'intercessione della II domenica di Pasqua: «O unico sposo della Chiesa, nata dal tuo cuore squarciato, rendici annunziatori del tuo sacramento sponsale con la tua Chiesa».
La Chiesa inclusiva, infatti, è la vergine sposa di Cristo e queste due connotazioni – la verginità e la sponsalità – nella loro diversità complementare risplendono e si illuminano a vicenda sino a riflettere, in virtù dell’apertura relazionale, l’immagine della Chiesa Madre. Alla morte della baronessa Zappalà tantissimi poveri, malati, orfani di guerra, ragazze avviate a un lavoro dignitoso, hanno pianto come avessero perso una mamma comune. Lei che non aveva avuto il dono della maternità fisica, di fatto esercitò una vera e propria maternità spirituale vivendo le opere di misericordia spirituale e corporali e accompagnando ogni sua iniziativa con la preghiera. Lo stesso, e con più intensità, si può dire di suor Anna: l’indomani della sua morte «tutti i suoi amici sfilano dinanzi alla sua salma per baciare un’ultima volta quella mano che ha profuso tanti aiuti e tanto amore nella stessa misura. Tutti partecipano alla S. Messa che è stata davvero il centro e il sole dell’attività di suor Anna […] che nell’attesa finale della resurrezione continuerà la sua opera spirituale di maternità e di mediazione». Come per Maria, sposa e madre, di entrambe le «Anna» possiamo dire: «Grandi cose ha fatto il Signore»!
suor MARIA CECILIA LA MELA osbap