Roggia Giuseppe
Grazia per il futuro
2024/5, p. 3
La vita consacrata ha una missione fondamentale di educazione alla fede e di umanizzazione, dove cristiano e umano coincidono.

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Grazia per il futuro
La vita consacrata ha una missione fondamentale di educazione alla fede e di umanizzazione, dove cristiano e umano coincidono.
I frutti del laboratorio operoso di questi 40 anni sono materiale prezioso per l’oggi e per il futuro, sono come le basi della Vita Consacrata dell’avvenire. Ma il futuro in se stesso non esiste, esiste solo un presente più o meno “gravido” di vita futura. Avere futuro dipende dalla vita che in noi preme per venire alla luce. Il futuro è già dentro di noi, non è fuori; non viene dopo, ma è già. Pur nel travaglio di questo tempo davanti a noi immediatamente c’è questa memoria del passato così ricca e pregna di speranza. E di qui può veramente partire l’originalità e la creatività della vita consacrata del futuro, perché il futuro svanisce quando si perde questa creatività e originalità. Anche l’ambito della formazione, che tanto ci preoccupa, riceve da questa originalità la forza per la grazia di questo futuro embrionale, che 40 anni di laboratorio hanno impostato e che aspetta solo di essere lanciata alla grande.
Scrutando l’orizzonte nebbioso del possibile futuro, quali potrebbero essere i punti di partenza, per avviare il travasamento nel quotidiano della vita consacrata in base a quanto abbiamo pazientemente e fervorosamente maturato in questi 40 anni? Più di qualche volta, contemplare a lungo l’orizzonte serve per vedere sotto una luce diversa ciò che abbiamo vicino ed esaminare la prospettiva futura può darci modo di sfuggire alla gabbia del “presentismo”, per provare invece a progettare oltre la contingenza.
Se al centro di tutto c’è l’uomo
Oggi, di fronte alle sfide contemporanee siamo di fronte a un nuovo crocevia storico che chiamiamo col nebuloso nome di postmoderno, di cui non riusciamo a cogliere ancora i tratti e il senso. Siamo nella terza ondata dell’umanità: dopo la prima, la rivoluzione agricola, la seconda, industriale, la terza nella forza della computerizzazione. Davanti a noi c’è unicamente il panorama dell’uomo e delle sue opere: manufatti, strumenti, strutture, macchine, tecniche, dispositivi… Davanti a noi non vediamo altro che uomo, saturati da tutto ciò che i media ci riversano addosso.
In quest’era dell’Antropocene, nuova era geologica, con il mondo totalmente nelle mani dell’uomo, in cui persino gli equilibri della biosfera sono modificati, quest’uomo centro e ragione di tutto vive e rimane immerso in una grande bolla, una capsula senza finestre, che non permette più di vedere nulla oltre il visibile. Lo status odierno sta sotto la categoria della fragilità antropologica e sociale: poche idee fluttuanti e contraddittorie in continua ricerca di beni di consumo. Abbiamo un adulto incerto, supponente, infantile, alla fine vuoto, con tutti i riferimenti civici, relazionali, politici e religiosi saltati. E come risultato, negli ultimi due decenni, in maniera sempre più crescente, costatiamo che la barbarie ha fatto grandi passi e che le contraddizioni al cammino di umanizzazione sono cresciute. Questo tipo di uomo non avverte nessun bisogno di farsi domande sull’aldilà. Unico imperativo è l’autorealizzazione come individui assoluti senza vincoli di tradizione e di autorità qui e ora con la tensione della massima liberalizzazione degli stili di vita.
Nonostante tutto, si può intravedere uno spiraglio in cui la Buona Notizia, il Vangelo, può ancora penetrare. Anche il cristianesimo più autentico si presenta come eccedenza per superare ogni limite, come apertura liberante alla vita ma attraverso l’amore, e può proporre proprio a questo individuo di potere espandere la sua vita nell’amore che fiorisce grazie alla relazione con gli altri con dinamismi di donazione personale e sociale.
Il concilio Vaticano II ha segnato un momento fondamentale nella riapertura del dialogo tra la Chiesa e la modernità. Ma è stato solo il primo passo. Certo, in molti casi, la Chiesa è ancora un’organizzazione solida e autorevole, però, oggi appare per lo più come una struttura invecchiata e piagata da gravi patologie, come un’istituzione inadeguata, una specie di pachiderma che si muove con molta difficoltà. Il Concilio è stato una bussola importante per il cammino di fede di tutti i credenti, rilanciando le potenzialità enormi del cristianesimo.
Ma, dopo quasi 60 anni, dobbiamo ammettere che molte cose rimangono difficili da attualizzarsi nella vita delle comunità cristiane, per cui la modernità e l’attualità del Vangelo non viene percepita. Oggi si ipotizza il futuro come un insieme di comunità di base animate soprattutto da laici sufficientemente formati e preparati, ben centrate sul Vangelo e sulla fraternità per una nuova evangelizzazione capillare sul territorio, con dei presbiteri itineranti che assicurano la celebrazione dei sacramenti e la formazione degli animatori di queste comunità.
Tra i confini dello scarto e del mistero
E la vita consacrata in tutto questo? In una società in cui Dio è assolutamente marginale la vita consacrata deve percepirsi come strumento di Dio e sentirsi piena di Dio. Essa non deve avere paura a sentirsi considerata per certi versi estranea al modo come in tutta la storia di questi duemila anni, ma proprio per questo avere delle chances in più anche rispetto alla Chiesa istituzionale: con maggiore libertà nel muoversi, sognarsi e intervenire incontrando e sfidando la cultura contemporanea in maniera significativa: lo farà abitando due confini, quello dello scarto e quello del mistero.
È su questi due confini che la Chiesa è chiamata a posizionarsi e radicarsi e come in tutte le epoche dei grandi cambiamenti la vita consacrata ha il compito di essere antesignana con il suo lievito di umanizzazione. Il confine delle periferie esistenziali verso cui uscire oltre noi stessi, le nostre paure, le nostre istituzioni. L’insistenza evangelica sul tema dei poveri è la finestra da cui guardare criticamente all’ordine sociale di una vita più umana per tutti. E poi il confine del mistero e della preghiera. Al di là delle pretese di autosufficienza e delle apparenze e della corsa esagitata che tutti stanno provando e vivendo, è avvertita una enorme mancanza. Una mancanza da cui lasciarsi interrogare, un desiderio che non possiamo colmare da soli, che è mistero e grazia, quello di tenere vivo il fuoco della preghiera e della invocazione, che ci mette in ginocchio di fronte al mistero della vita, alla ricerca di Dio.
Da tutto questo dovrebbe emergere la proposta generativa da offrire alla Chiesa e al mondo e che necessariamente va nelle tre direttrici su cui si esprime un carisma e su cui anche la Chiesa nei documenti, dal Concilio a oggi, traccia le linee del futuro della stessa vita consacrata.
La direttrice mistica: affermare il primato assoluto di Dio in maniera molto più eloquente che nel passato. Oggi è il tempo dell’audacia della fede e della vita interiore contro una fede solo per adesione di dovere a una dottrina e a un sistema legislativo ecclesiale. Cosa coglie immediatamente la gente che ci incontra o entra nella nostra casa? Un servizio benemerito, una tradizione antica standardizzata, un esserci per Dio? Gente appassionata della ricerca di Dio. Non si entra nella vita consacrata per fare delle cose ma per essere.
La direttrice della fraternità: l’istituzione, sia per la Chiesa in generale sia per la vita consacrata deve restare solo uno strumento per fare passare la vita. Una Chiesa viva e una vita consacrata viva che passa attraverso esperienze vive di fraternità. Contro la globalizzazione del mercato è urgente la globalizzazione della fraternità con una apertura alla comunione a 360° e la rifondazione di un nuovo umanesimo. Le comunità di vita consacrata devono essere luoghi in cui si rifà l’umanità e si vive un amore attento a ogni bisogno. Non basta più la comunità giuridica standardizzata, che riduce il vivere insieme ad una convivenza da albergo senza relazioni significative vicendevoli. La vita consacrata è chiamata ad essere un ponte di collegamento tra la Chiesa e l’ecumenismo, con le altre religioni e con i non credenti nella fantasia della carità.
La direttrice della missione. Indubbiamente il problema è quello della umanizzazione ed evangelizzazione su tutti i fronti, strettamente collegati con la costruzione della famiglia umana che ha una dignità infinita ma in cui cristiano e umano coincidono, altrimenti siamo al più grande scisma della storia. Ebbene, la vita consacrata ha una missione fondamentale di educazione e maturazione alla fede. Se la preoccupazione emergente della vita consacrata sarà solo quella del ridimensionamento o della pura conservazione della propria presenza sul territorio, per essa non ci sarà futuro e verrà meno al compito fondamentale che Dio si attende da essa.
don GIUSEPPE ROGGIA, sdb