Giardi Anna
La centratura del cuore nella vita consacrata
2024/5, p. 31
La vita consacrata rappresenta un’occasione per vivere un possibile cammino di redenzione del cuore per ambire all’unità ed integrità della persona.

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Testimoni
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CURA DELLE RELAZIONI
La centratura del cuore nella vita consacrata
La vita consacrata rappresenta un’occasione per vivere un possibile cammino di redenzione del cuore per ambire all’unità ed integrità della persona.
La relazione è connessione di cuori
«La fisionomia di una persona, la propria o un’altra, noi l’afferriamo nei momenti in cui comprendiamo qual è l’ordine delle cose che le stanno a cuore – un ordine che si forma e si riforma col crescere e il maturare o, al contrario, con l’inaridirsi o il rattrappirsi, di una sensibilità personale», così si esprime Roberta Monticelli, attraverso una lente fenomenologica (L’ordine del cuore. Etica e teoria del sentire, Garzanti).
Partendo dal presupposto che tra persone in un cammino di vita consacrata «educare ed educarsi sia aiutare ed aiutarsi a mettere un po' d’ordine nell’affettività…»; considerando che questo «ordine sia sempre instabile finché siamo vivi…, possiamo apprendere sempre meglio come «fare un po' d’ordine nella nostra esperienza di tutte le cose che ci stanno a cuore».
Jacqueline Morineau (Il mediatore dell’anima, Servitium), della quale ho raccolto vivace testimonianza partecipando ai suoi incontri formativi, suggerisce che «…per riportare l’ordine occorre fare un lavoro di purificazione. La relazione con Dio non è una soluzione facile», aggiunge, «al contrario è la soluzione più esigente che ci sia, nel senso che è continuamente da creare. Essa ha bisogno di una partecipazione attiva raramente vissuta nelle relazioni umane». Coltivare la vita spirituale è ambire a un’unificazione come ritorno dell’anima a se stessa, un equilibrio vitale tra una verticalità per lo più solitaria verso la luce, come anche una discesa verso l’esperienza d’Amore come condivisione umana, in senso trasversale. «Una volta che il cuore è aperto, lo è per tutti, continua Morineau, per Dio e per gli uomini. Non si può amare Dio se non si amano gli uomini. Quando è venuto meno lo sprofondare nelle tenebre della notte non si può restare indifferenti a coloro che si trovano imprigionati, non si può tenere per sé la luce che è scaturita. In questo senso, ciò che conta non è più tanto lo sforzo di donare all’altro, ma la nostra capacità di amore verso di lui. Essere ‘traghettatore’ di speranza e vita significa fare il viaggio con l’altro, pur continuando il proprio cammino».
Le relazioni e la sicurezza personale
La vita consacrata porta a vivere relazioni tra persone che non si sono scelte in partenza e questo inizio inedito non garantisce di trovare una iniziale stabilità personale e del gruppo in cui si entra. In tale realtà tutto il vivere è connotato da una quotidiana, continua co-costruzione di interazioni umane che hanno alla base la comune scelta di Cristo come centro della propria vita. Sono richieste qualità umane particolari, nell’unica certezza dell’amore che viene solo da Dio, colui che può darmi la mia stabilità e la mia sicurezza. La presenza dell’altro ci dà la possibilità di allenare ogni giorno la nostra vulnerabilità, come anche la nostra buona predisposizione alla relazione. Il senso di sicurezza interno percepito da ognuno/a è il motore di tutte le buone relazioni. In questo caso, l’equilibrio percepito in noi stessi ci predispone all’essere per e con l’altro, nelle condizioni che si presentano. Comunque, è sempre impegnativo riconoscere e gestire le nostre incoerenze per arrivare ad accogliere quelle dell’altro. Quanta fatica si fa a vivere di condivisione gestendo al tempo stesso la propria individualità? L’investimento di energia richiesto è tanto.
Perdere la centratura del cuore
Quando siamo centrati, percepiamo una sensazione di benessere di base, una integrazione tra tutti i nostri livelli, fisico, emotivo, mentale e spirituale, tanto da riconoscerli e utilizzarli. Perdere la nostra centratura significa perdere temporaneamente la sensibilità integrata di tutti i livelli e con essa l’obiettività del momento presente. Quando la nostra capacità di connessione emotiva verso l’altro è interrotta, siamo quasi esclusivamente in balia delle nostre sensazioni, che ci portano a reagire automaticamente ascoltando ciò che il nostro corpo ci dice, primariamente distanziandoci per proteggerci dalla relazione o confliggendo, spesso senza essere in grado di fare altrimenti.
Quando siamo nella centratura, il nostro sistema nervoso ci conferisce uno stato di calma interiore, ci sostiene e ci fa sentire sicurezza, a partire da dentro di noi. Quando invece il nostro sistema nervoso intercetta situazioni che possano riportarci a rivivere emozioni dalle quali il nostro corpo vuole proteggersi, per il rischio di ritrovarsi a vivere sensazioni dolorose già note, la connessione emotiva di relazione decade automaticamente. In questo caso, infatti, siamo spesso trascinati dai pensieri, dalle valutazioni mentali che ci allontanano da quello che sta davvero succedendo nel momento presente. Accade che si possano creare situazioni di forte incomprensione, come se ognuno di noi non fosse in grado di decodificare la realtà in maniera sufficientemente obiettiva. Per questi motivi, in queste situazioni, spesso prevale un sentire individuale e può diventare davvero difficile ritrovarsi nelle relazioni e, nel lungo periodo, possono subentrare il ritiro emotivo e la rinuncia a mettere in gioco la propria persona.
Le nostre relazioni oggi e ciò che il cuore «ricorda»
Spesso ci sono cuori feriti e disillusi all’interno delle Comunità; ripiegati, rinunciatari a credere che in ogni «caduta» si possa ogni volta riscoprire una nuova apertura di cuore, che ogni ferita possa ospitare nuova luce.
L’Amore ha origine dalla storia della persona, dai suoi legami di attaccamento; da qui deriva la capacità di costruire relazioni significative stabili e durature nel tempo, sulla base della fiducia in se stessi e nell’altro.
Come si possono costruire relazioni significative se la fiducia originaria è sinonimo di dolore? Nella consacrazione si dona la vita, ma in alcuni casi si fatica ad affidarsi uno/a all’altro/a. Come è possibile alimentare una certa flessibilità da un lato e una dilatazione costante del cuore per rimanere nella coerenza? Sant’Agostino dice che: «la misura dell’amore è amare senza misura». L’Amore è sperimentarsi, tentare e ritentare, perché è adesso che succede tutto. È sempre possibile imparare ad accogliere e ascoltare quelle parti di sé che impediscono di procedere sulla base di ciò che si sceglie di essere. Questa pratica può portare progressivamente a familiarizzare con se stessi ed imparare a notarsi con curiosità, nel presente, accogliendo in questo modo la propria incoerenza.
Come può essere possibile prendere per mano un cuore ferito, nel quale entra poco ossigeno, perché abituato ad autoalimentarsi della quotidiana impotenza e diffidenza? Ricordiamoci che molte volte il cuore indurito posso essere io. Non è che un cuore indisponibile non abbia spazio vitale di per sé. È che non è fruibile in quel momento. In origine forse ha sperimentato qualcosa che non poteva respingere e allora, magari, oggi quel cuore sa essere per lo più invisibile agli occhi degli altri, fa di tutto per restare in trasparenza. Oppure invece non riesce ad essere altro che ripiegato o collerico.
A noi per primi riconoscere questi cuori. Tutto ciò che si forza, senza rispettare i tempi di ognuno/a, rischia di fare e farsi male perché non corrisponde al flusso naturale che si può imparare ad ascoltare passo passo, mentre conferisce sicurezza.
Sono necessarie volontà, pazienza, attenzione, coerenza, perseveranza. Ogni persona può essere tanti cuori: fragile, ferito, palpitante, curioso, spento, puro, insensibile, arido, infranto, inascoltato, appassionato, raggelato, diffidente, vergognoso, affaticato, colpevolizzato, auto-emarginato, vivace, pulsante, irascibile, sensibile, tenero, compassionevole, ardente, generoso, indurito e tanto altro. Ogni persona può con-tenere in sé tanti di questi cuori, senza capacità di integrarli; di conseguenza quando è così diventa davvero difficile avvicinarsi emotivamente a se stessi e agli altri.
Lasciarci «vedere» da qualcuno, non soltanto da Dio
Il primo passo verso una centratura o presenza di cuore, specie quando non riusciamo a ‘vederci’ da soli, può essere lasciarci vedere da qualcuno.
Si può dire sia più facile dare che ricevere. Così facendo l’altro ha modo di mostrarmi un modo di essere di Dio che posso imparare a riconoscere.
Nei Vangeli, gli Apostoli spesso non comprendono cosa significhi lasciarsi amare, mentre vorrebbero soltanto prendersi cura.
Ci vuole forza per amare e maturità umana; sono molte le persone che per paura di soffrire, non sono in grado di amare in maniera integra e coerente, finché non iniziano a comprendere i motivi sottesi a questa incapacità.
Un cuore integrato sa darsi le giuste priorità per se stesso, per Dio e per l’altro; è un cuore che sa ascoltarsi ed ascoltare, che empatizza con i bisogni altrui senza lasciarsi invadere, rimanendo più possibile lucido e vigile e rispettando quelli che sono i propri confini e quelli altrui. Senza ansia o eccessiva responsabilità, perché non si prende carico della vita dell’altro, ma lo sostiene e accompagna nel percorso di vita, senza sostituirsi a lui. Quando si vive con una centratura di cuore, nella consapevolezza di se stessi nella mente e nel cuore, si vive costantemente in discernimento, per discriminare ciò che viene da Dio e ciò che viene da se stessi, e per diventare sempre più testimoni della stessa cura e accudimento che il Signore ha con noi, riversandolo sugli altri. Lo stare bene in relazione si può sempre ricostruire dentro di noi attraverso l’altro ed è nutrimento per la vita. Il terreno di relazione rappresenta l’ambiente di possibile rigenerazione di se stessi, facendosi dono ogni giorno. Imparare a ricevere dall’altro è imparare a restare in centratura senza ritrarsi, a tenere presente se stesso mentre ho presente l’altro.
È abituarsi a una concomitanza d’anima, allenandola, con possibile fiducia.
«Io imparo a vedere. Non so perché tutto penetra nel me più profondo e non rimane là dove, prima, sempre aveva fine e svaniva. Ho un luogo interno che non conoscevo. Ora tutto va a finire là». (Rainer Maria Rilke – I quaderni di Malte Laurids Brigge).
ANNA GIARDI, pedagogista
L’amore,
il bisogno di amare,
la necessità di essere amati.
Altro non cantano le lucciole,
altro non sussurrano gli alberi,
altro non tocca la neve.
Altro non è.
Roberta Lipparini, poetessa, da un inedito