«Parrocchia, luogo sinodale». Gli apporti della vita consacrata
2024/5, p. 9
È necessario «esserci», con lo stile dell’accoglienza, dell’ascolto, della vicinanza, della familiarità: esserci là dove le persone consacrate sono chiamate a vivere, testimoniare e operare, sempre nella logica del lievito, che non lavora per se stesso ma per far crescere tutta la pasta, che è la Chiesa del Signore Gesù.
Accedi alla tua area riservata per visualizzare i contenuti.
Questo contenuto è riservato agli abbonati a
Testimoni
.
FASE SAPIENZIALE DEL CAMMINO SINODALE
«Parrocchia, luogo sinodale»
Gli apporti della vita consacrata
È necessario «esserci», con lo stile dell’accoglienza, dell’ascolto, della vicinanza, della familiarità: esserci là dove le persone consacrate sono chiamate a vivere, testimoniare e operare, sempre nella logica del lievito, che non lavora per se stesso ma per far crescere tutta la pasta, che è la Chiesa del Signore Gesù.
I tratti emersi coralmente, in Italia e non solo, nel primo biennio del Cammino sinodale intessono un "sogno" di Chiesa pienamente consonante con quello lanciato oltre dieci anni fa da papa Francesco nella Evangelii Gaudium.
Certo, non tutte le comunità cattoliche italiane hanno preso parte all’esperienza di ascolto proposta su scala mondiale da papa Francesco con il Sinodo sulla Chiesa sinodale: ascolto dello Spirito e ascolto dei fratelli e delle sorelle. E tuttavia, là dove il percorso è stato avviato, gli echi del magistero di papa Bergoglio sono evidenti: il desiderio diffuso è quello di comunità accoglienti, domestiche, vicine alla gente, inclusive, attente alle fatiche e alle sofferenze, presenti nei momenti importanti della vita della gente, gioiose nelle celebrazioni, capillari nella diffusione della Parola di Dio.
Libro dei sogni?
Perché non rimangano nel libro dei sogni, è necessario prendere sul serio queste istanze e impostare – come dovrà fare l’ultima fase del Cammino sinodale – alcune «condizioni di possibilità» per una Chiesa più snella ed evangelica: a partire dal linguaggio stesso, troppe volte riservato agli iniziati, per passare ad una formazione cristiana basata sull’essenziale (kerygma) e su metodi che privilegino la dimensione domestica (come il Vangelo nelle case) e raggiungere una vera corresponsabilità nella guida della comunità, vincendo le tentazioni delle «fette di potere» ritagliate dall’una o dall’altra persona, spesso sulla base del fatale principio: «si è sempre fatto così». Comunità nelle quali gli ultimi siano i primi, nelle quali contino di meno i risultati e di più le relazioni, nelle quali ciascuno possa trovare accoglienza ed essere accompagnato secondo i passi che concretamente può compiere.
Non è impossibile: basta smettere di immaginare il ritorno al passato – spesso idealizzato e comunque ormai da archiviare – e guardare in faccia al presente. Lo Spirito Santo non è andato in pensione e ci sta offrendo delle piste nuove, più attente alle persone e meno all’organizzazione, più tese a seminare e meno a raccogliere. Un mondo «solido» sta crollando – era poi così solido? – e siamo chiamati, senza inutili durezze e con molta umiltà ad abitare un mondo «liquido». Da una pastorale terrestre ad una marittima, potremmo dire. E questo vale anche e soprattutto per le nostre parrocchie.
Lo stile delle beatitudini
Pensando alla preziosa presenza e attività delle persone consacrate, in che modo si può favorire la crescita sinodale delle nostre comunità cristiane? Mi vengono in mente tre spunti, tra i tanti. Il primo riguarda lo stile, che non va inteso come un rivestimento esterno, un abito che può esserci o meno; lo stile, quando si parla di pastorale, fa parte della sostanza. E non può essere che lo stile di Gesù, quello delle beatitudini: mitezza, semplicità, pacificazione, umiltà del cuore. Quando una comunità gode della presenza di una comunità religiosa o comunque dell'apporto di persone consacrate, normalmente si ingentilisce. L’ho sperimentato direttamente, prima come parrocchiano, poi come prete e ora come vescovo. Le persone consacrate, con la loro stessa presenza, danno un tono più raffinato alla comunità cristiana. Il loro servizio può essere vario: dalla collaborazione nella catechesi, nella liturgia o nella carità, al servizio in una scuola materna o in una casa per anziani; ed è sempre un impegno apprezzato, che avvicina la gente alla Chiesa. Tante persone, anche non praticanti e non credenti, valutano con favore e gratitudine la testimonianza e l’attività di consacrate e consacrati.
L’ascolto della gente
Un secondo spunto riguarda l’ascolto, altra dimensione sinodale. Nelle comunità di oggi il parroco è spesso oberato di impegni – problema su cui il Cammino sinodale si sta concretamente interrogando – e non sempre riesce a mettersi in ascolto della gente. I cappellani sono una razza in via di estinzione, i diaconi, i ministri e i laici che collaborano alla vita parrocchiale non sempre sono attrezzati o disponibili per il servizio dell’ascolto. Le persone consacrate sono punti di riferimento per tante persone che sentono il bisogno di confidarsi, consegnare parte del loro cuore, condividere sofferenze e gioie.
Tanti anni fa, da seminarista, con altri compagni e con i nostri formatori, andammo insieme presso alcune suore nelle zone gravemente terremotate dell’Irpinia, per dare una mano nella catechesi e nella ripresa della vita comunitaria delle parrocchie più colpite. Girando a due a due nelle case – o in quello che ne era rimasto – qualche volta arrivavamo a proporre una successiva visita del prete per la confessione; e non era raro che ci sentissimo rispondere: «no, grazie: mi sono già confessato nei giorni scorsi da una suora».
Un clima familiare
Quando una comunità è arricchita dalla presenza di una comunità religiosa o comunque di persone consacrate, specialmente se donne, è più facile che esprima il suo volto familiare e accogliente. C’è una sorta di ritornello emerso nei gruppi sinodali italiani: anche se la parrocchia non fosse perfettamente organizzata, anche se non riuscisse a proporre iniziative sempre coinvolgenti, vivrebbe la propria missione semplicemente accogliendo, ponendosi come casa in mezzo alle case, proponendo esperienze che respirano aria domestica. Chi si accosta alla comunità parrocchiale non dovrebbe avere la sensazione di mettersi in fila per entrare in un ufficio, ma di varcare la soglia di una casa dove trova almeno un sorriso.
Il contributo dei consacrati
Non ho dimenticato ovviamente i tratti più specifici e caratteristici della vita delle persone consacrate: il dono di sé al Signore, la preghiera, la povertà, la castità, l’obbedienza… ma ho voluto evidenziare, con un approccio pratico e quasi «laico», il contributo che in questi anni le persone consacrate, specialmente quelle che vivono in comunità e operano nelle parrocchie, possono offrire al Cammino sinodale. Non è necessario, come si vede, aggiungere altri impegni o immaginare chissà quali novità. Piuttosto è necessario «esserci», con lo stile dell’accoglienza, dell’ascolto, della vicinanza, della familiarità: esserci là dove le persone consacrate sono chiamate a vivere, testimoniare e operare, sempre nella logica del lievito, che non lavora per se stesso ma per far crescere tutta la pasta, che è la Chiesa del Signore Gesù.
Mons. ERIO CASTELLUCCI, Arcivescovo Abate di Modena – Nonantola, Vescovo di Carpi, Vicepresidente della Conferenza Episcopale Italiana