Scquizzato Paolo
L’ANTICA «PREGHIERA PURA»
2024/4, p. 27
La meditazione nasce con l’essere umano e nei millenni uomini e donne hanno meditato secondo la propria tradizione, cultura, religione. Non esiste una meditazione cristiana, una meditazione indiana, una meditazione zen. Esiste l’essere umano che all’interno di una tradizione siede e comincia a meditare. Si deve in particolare al benedettino John Main la scoperta dell’antica tradizione di meditazione cristiana chiamata «preghiera pura».

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ALLE SORGENTI DELLO SPIRITO
L’antica «preghiera pura»
La meditazione nasce con l’essere umano e nei millenni uomini e donne hanno meditato secondo la propria tradizione, cultura, religione. Non esiste una meditazione cristiana, una meditazione indiana, una meditazione zen. Esiste l’essere umano che all’interno di una tradizione siede e comincia a meditare. Si deve in particolare al benedettino John Main la scoperta dell’antica tradizione di meditazione cristiana chiamata «preghiera pura».
John Main nacque a Londra il 21 gennaio 1926 da una famiglia irlandese. Studiò Legge, imparò il cinese e, per conto del Ministero degli Esteri britannico, fu mandato in servizio in Malesia. Nel suo Imparare a meditare racconta l’avvio del percorso che allora intraprese in Estremo Oriente: dall’incontro con lo swami (maestro) indiano e il suo metodo di meditazione che provocò in Main un senso di novità, passando per l’uso del mantra per realizzare una risonanza con il Creatore e le creature, fino allo stupore nel ritrovare l’uso del «versetto ripetuto» nell’alveo della tradizione cristiana, ovvero nelle parole attribuite a san Giovanni Cassiano, una straordinaria figura del monachesimo antico, quando fino a quel momento la «preghiera degli atti» si presentava a Main come l’unico metodo di meditazione possibile.
«Fui iniziato alla meditazione molto prima di diventare monaco, mentre prestavo servizio nel British Colonial Service in Malesia. Mio maestro fu uno swami indiano, fuori Kuala Lumpur. Quando all’inizio lo incontrai, per una qualche ragione ufficiale o altro, rimasi profondamente colpito dalla sua saggezza, colma di pace e di quiete. Ero felice di constatare quanto egli sembrasse desideroso di parlare a un livello personale e, dopo che gli affari furono conclusi, ci mettemmo a conversare. Egli allora mi domandò se fossi un uomo di fede. Gli risposi che ero cattolico. Allora mi chiese se meditavo. Gli risposi che tentavo e, su suo invito, descrissi in breve quello che conoscevamo come il metodo di meditazione ignaziana». E così Main realizzò che il metodo di meditazione dello swami era un qualcosa di nuovo per lui. «Rimase un po’ in silenzio – continua John Main – quindi con gentilezza mi disse che la sua tradizione meditativa era completamente diversa. Per lo swami scopo della meditazione era giungere alla consapevolezza dello spirito dell’universo che abita i nostri cuori, e mi recitò questi versi delle Upanishad: “Egli contiene tutte le cose, tutte le opere e i desideri e tutti i profumi e i sapori. Egli dispiega l’intero universo e, in silenzio, verso tutto è amorevole. Questo è lo spirito che è nel mio cuore. Questo è brahman”». Lo swami lesse il brano con tale devozione e tale eloquenza che gli chiesi se volesse accettarmi come discepolo per insegnarmi a meditare a quel modo. Egli rispose: «La meditazione è molto semplice... tutto quello che devi fare è meditare. Se vorrai imparare, proverò a insegnarti. Ciò che suggerisco è questo... che tu una volta la settimana venga a meditare con me. Prima di meditare ti dirò alcune cose, ma l’importante è che meditiamo insieme». (John Main, Il silenzio e la quiete). Iniziai così ad andare regolarmente a trovare quel sant’uomo e ciò è quello che mi disse durante la mia prima visita.
Il mantra
Main imparò il mantra, elemento centrale della meditazione. Il termine mantra deriva dall’insieme di due termini: il verbo sanscrito man nell’accezione di «pensare», da cui manas: «pensiero», «mente», «intelletto», ma anche «principio spirituale» o «respiro», «anima vivente», unito al suffisso tra che corrisponde all’aggettivo sanscrito k.rt «che compie», «che agisce». Un’etimologia tradizionale fa invece derivare il termine mantra sempre dal verbo man ma collegato al sanscrito tra, che diviene aggettivo con il significato di «protettivo», quindi «pensare, pensiero, che offre protezione». La meditazione divenne per John Main una buona abitudine, radicata, che richiedeva tempo e costanza. Infatti, iniziò a meditare mezz’ora al mattino e poi mezz’ora alla sera.
«Per meditare devi fare silenzio. Devi essere quieto. E ti devi concentrare. Nella nostra tradizione conosciamo un modo per arrivare a quella calma, a quella concentrazione. Noi usiamo una parola chiamata mantra. Per meditare, quel che devi fare è scegliere questa parola e poi ripeterla, con fede e amore di continuo. Questo è tutto sulla meditazione. Di fatto, non ho altro da dirti. E ora meditiamo», concluse lo swami. Dopo il servizio in Oriente, John Main tornò in Europa dove, continuando nel suo percorso di meditazione, divenne professore di Diritto internazionale al Trinity College di Dublino. Nel 1958 prese la decisione di diventare monaco benedettino e cominciò la sua formazione sotto le direttive di un maestro. Questi, ben presto, gli chiese di rinunciare alla pratica meditativa appresa in Oriente, poiché ritenuta non conforme alla tradizione cristiana. «Divenendo monaco, tuttavia, mi venne impartito un diverso metodo di meditazione che io accettai in obbedienza al mio nuovo status di novizio benedettino. Questo nuovo metodo era la cosiddetta “preghiera degli atti”: vale a dire una mezz’ora impiegata in atti di adorazione, contrizione, ringraziamento e supplica, una mezz’ora cioè di preghiere che consistevano per gran parte in parole indirizzate a Dio nel cuore e, nella mente, in pensieri su Dio. Accettai questa svolta con quella sorta di fatalismo sotteso alla frase di Alexander Pope: “Qualunque cosa sia, è giusta”. Nell’attesa, rimandavo qualsiasi confronto serio con il fatto che la nuova forma di preghiera diveniva sempre più insoddisfacente. E, naturalmente, siccome ero sempre più impegnato come monaco, l’urgenza diminuì».
Una tradizione perduta del cristianesimo
Nel 1969 John Main, ormai monaco professo, scoprì e si soffermò su san Giovanni Cassiano (360-435). Si rese conto inaspettatamente che nelle Conferenze spirituali di Cassiano si ritrovava praticamente tutto ciò che lui aveva ascoltato e sperimentato alcuni anni prima alla scuola del suo swami in Malesia. Insomma: trecento anni dopo Cristo, quell’arte della meditazione che il monaco benedettino apprese in Estremo Oriente, era già ben presente nell’alveo della tradizione cristiana.
«Fu con un meraviglioso stupore che lessi [nelle Conferenze spirituali, ndr], nella conferenza decima, “della pratica d’impiego di una sola breve frase per l’ottenimento della quiete necessaria alla preghiera; in questo modo la mente scaccia e reprime la così vasta materia di tutti i pensieri: riducendosi alla povertà di un singolo versetto”. Leggendo queste parole in Cassiano, ero ancora una volta arrivato a casa, ritornando alla pratica del mantra.
John Main riprese a meditare e dedicò il resto della vita a insegnare ai laici questa tradizione perduta del cristianesimo. Riteneva che fosse importante per il mondo ripristinare nella vita quotidiana l’uso di una pratica spirituale profonda. Morì il 30 dicembre del 1982. La sua opera è oggi portata avanti dalla World Community for Christian Meditation (WCCM) ed è guidata dal benedettino padre Laurence Freeman. Il WCCM – spiega il sito web dell’organizzazione – è una famiglia contemplativa globale aperta a tutti. Il suo centro internazionale è Bonnevaux, un antico sito monastico vicino a Poitiers ora dedicato alla pace e al dialogo attorno alla pratica quotidiana della meditazione. Le sue radici si trovano nella tradizione del deserto delle prime comunità cristiane risalenti al IV secolo. Nel 1975 John Main aveva aperto il primo centro di meditazione cristiana a Londra, dove il primo gruppo aveva iniziato a incontrarsi a cadenza settimanale. Nel 1991, nel corso del seminario annuale John Main, tenuto da Bede Griffiths, si decise di dare vita a una comunità che fosse «un monastero senza mura»; il suo simbolo, due colombe che guardano in diverse direzioni, ma poggiano entrambe sul medesimo calice, che rappresenta l’unione delle dimensioni contemplativa e attiva della vita. La Comunità opera in centoventisei paesi e si propone di avere uno sguardo particolarmente attento alle fragilità e al dialogo contemplativo con le altre fedi.
I tre momenti della meditazione
John Main non si è mai dilungato a spiegare come meditare; era solito affermare che «a meditare s’impara meditando». Potremmo tuttavia suddividere i passaggi della meditazione in tre momenti: la posizione seduta, l’immobilità descritta da Main ne La via della non-conoscenza e il mantra.
– Posizione seduta. Sedersi a terra, su una sedia, su una panchetta da meditazione, su un cuscino. L’importante è che il bacino rimanga un po’ più in alto rispetto alle ginocchia, questo per evitare dolori durante la pratica. La schiena deve essere in posizione retta, e l’intero corpo in una posizione comoda ma vigile. Troppo rilassati si rischierebbe di addormentarsi.
– Perfetta immobilità. «Verrà voglia di muoversi, di grattarsi il naso o di aprire gli occhi, ma rimanendo immobili si impara una grande lezione di distacco dal nostro egoismo, dall’ossessione di sé. Sedere semplicemente immobili per un tempo determinato è una vera e propria esperienza di trascendenza dal desiderio. Seduti così, per quanto immobili ci riesce di stare, si inizia a ripetere la nostra parola. (...) Non pensiate che l’immobilità sia statica, o che la quiete sia passiva. Nella pace, nella quiete troviamo il Dio che genera e sostiene il mondo intero».
– Abbassando dolcemente le palpebre recita il tuo mantra. John Main suggerisce come parola da ripetersi maranatha, che può essere tradotta «Signore nostro, vieni!». Sono diverse le ragioni, come lui stesso spiega, che inducono a scegliere questa parola. In primo luogo si tratta di un’espressione in lingua aramaica, la lingua parlata da Gesù: il suo impiego, quindi, ci collega in qualche modo alla figura del Cristo. Poi pare che sia la più antica preghiera utilizzata dalla Chiesa, ancor prima dell’uso del Padre nostro nelle comunità primitive. E ancora, san Paolo termina la Prima lettera ai Corinzi proprio con questa invocazione (1Cor 16,22) e san Giovanni conclude le rivelazioni nel libro dell’Apocalisse con la medesima parola (Ap 22,20), che chiude l’intera Bibbia cristiana. La si trova inoltre nel testo della Didaché.
Il mantra non ha come scopo quello di non dare importanza alle distrazioni, di calmare la mente: «L’essenza della meditazione e l’arte della meditazione consistono semplicemente nell’imparare a pronunciare questa parola, recitarla e lasciarla risuonare dall’inizio alla fine della meditazione. È semplicissimo, diciamola così: «Ma-ra-na-tha». Quattro sillabe, tutte accentate allo stesso modo. Molte persone accordano il proprio respiro con la parola, ma non è essenziale. È essenziale invece ripetere la parola dall’inizio alla fine e continuare a ripeterla per tutto il tempo della meditazione.
PAOLO SCQUIZZATO
prete torinese esperto di meditazione