Morgante Patrizia
Guardando la vita consacrata dal futuro
2024/4, p. 7
Gestire il lutto del cambiamento che sta investendo la vita consacrata in Italia e nel mondo.

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FOCUS SULLA VITA CONSACRATA
Guardando la vita consacrata
dal futuro
Gestire il lutto del cambiamento che sta investendo la vita consacrata in Italia e nel mondo.
«Fa’, che dopo aver scoperto la gioia di usufruire di ogni crescita per lasciarti fare, o per lasciare crescere in me, accedo senza turbamento a quest’ultima fase della comunione nella quale ti possiederò diminuendo in te…» (Theilard de Chardin).
Ero a un incontro con una congregazione e, mentre si lavorava sul programma per l’anno successivo, sono state mostrate le statistiche del numero e le fasce di età delle sorelle. Rispetto a 10 anni prima erano scomparse le fasce estreme (sotto i 35 anni e sopra i 90) e si era ridotto molto il numero dei membri della fascia intermedia (45-65 anni); ciò che colpiva era un numero considerevole di sorelle tra i 75 e 85. Molti istituti si cimentano, oggi più che in passato, in proiezioni sul numero delle sorelle per i prossimi 20/30 anni e sull’assottigliamento delle risorse finanziarie necessarie per fronteggiare una realtà di cura di anziane e con entrate sempre più ridotte; con uno scarto tra liquidità ridotta e capitali immobiliari che costano tanto e non sempre garantiscono quel futuro sereno di cui parliamo, nella cultura italiana, quando diciamo «investire sul mattone».
Congregazioni che vanno scomparendo
Credo che sia una realtà molto comune a diverse congregazioni, almeno in Italia e in Europa, dove si riflette canonicamente e teologicamente sul concetto di istituti coming to completion. È un’espressione inglese, politicamente corretta, per dire «congregazioni che stanno andando verso la loro conclusione/scomparsa». Uso questa espressione inglese perché la sento bella (nel senso estetico di buona) e profondamente dignitosa: non c’è accanimento, ostinazione verso una realtà che non vorremmo, ma che accettiamo; per questo alcune congregazioni scelgono di accompagnare il processo fino alla fine con serenità, certe che il Signore abita ogni situazione.
Con questo articolo si desidera porre domande generative, le cui risposte possiamo cercare solo insieme, in un clima sinodale di fede e di fiducia nella vita, dove Dio sempre abita. Generative perché possano a loro volta far fiorire altra vita, senza lasciarsi ostacolare da un cinismo che può scaturire dal soffermarsi solo alla superficie: siamo di meno e abbiamo meno forze, dobbiamo chiudere le opere e le comunità. Un altro passo che questa riflessione intende provare è riconoscere che questo cambiamento va affrontato come un lutto da gestire e di cui prendersi cura, aprendosi a qualcosa che solo intuiamo, ma ancora non vediamo con chiarezza. Il fatto di non vederlo, non significa che non ci sia.
Verso una consapevolezza generativa
Forse, nello scorso secolo, non pensavamo di dover parlare di questo: abbiamo assistito a uno sviluppo di più antiche e nuove forme di vita consacrata (VC) e sembrava un tempo di fioritura senza fine. Da più decenni invece stiamo assistendo a un cambio di rotta, che non è solo numerico. Ci sono certamente meno vocazioni che in passato, ma a cambiare è la cultura delle società dove la VC esprime la sua missione; a trasformarsi sono i valori e i bisogni di una società globale sempre più interconnessa e tecnologizzata. Come stiamo reagendo a questi cambiamenti? Sarebbe proprio bello aprire un forum di buone pratiche proprio su Testimoni.
Cambia, todo cambia
La VC sta cambiando. O meglio, è già cambiata e il processo continua. Siamo tutte e tutti dentro una dinamica di evoluzione che non è lineare: la realtà cambia in modo evolutivo, cioè trasformandosi nella sostanza e non ritornerà mai la stessa di un attimo prima. Nulla si distrugge, ma si trasforma. Da un punto di vista sociologico, gli istituti sono organizzazioni umane che hanno un arco di vita e, come nascono per rispondere a una realtà specifica, così muoiono, vivendo momenti di cambiamento e trasformazione tra le due fasi di nascita e morte.
Da un punto di vista spirituale: i carismi sono grazie più grandi della forma in cui vengono incarnati in un tempo specifico della storia. E che succede se la nostra congregazione non ha nuove vocazioni? E se moriamo? Come mi sento? Come cambia la mia identità e senso di appartenenza? Come ci prepariamo a vivere questo cambiamento radicale? Come istituto, come accompagniamo questa evoluzione che potrebbe anche includere la morte? Come viviamo la relazione intergenerazionale in questo contesto in trasformazione?
Resistenza al nuovo
Talvolta percepisco, nella VC come nella società, una sorta di gerontocrazia: un potere dell’anziano che, anche quando non occupa ruoli di governo, esercita ancora una forte leadership, che, in alcuni casi, si esprime con una forte resistenza verso il cambiamento. Per questo parlo di lutto: è necessario prendere consapevolezza che dobbiamo lasciar andare stili di vita religiosa, di preghiera, di liturgia, di vita quotidiana regolare, per poter dare ancora vita ma in forme diverse. Trovo sconvolgente che un paese democratico e moderno come gli Stati Uniti non sia in grado di proporre alla presidenza candidati più giovani degli attuali contendenti. Cosa ci dice questo? Che immagine ci dà di un paese? Che immagine diamo come VC quando lasciamo in ruoli di governo sorelle anziane pur di non aprire a sorelle di altre culture o generazioni? Evangelizziamo non solo con ciò che facciamo, ma anche come lo facciamo, con le nostre forme di governo. Che testimonianza diamo al mondo con questa resistenza al nuovo? Come viviamo la precarietà della vulnerabilità? Come possiamo far diventare una forza il fatto di avere meno potere rispetto al passato, di essere più anonimi/e, di essere dentro un movimento di vita dove non siamo i protagonisti?
Gestire evangelicamente il lutto della trasformazione
Nell’arco di vita di una persona umana, quanti cambiamenti, desiderati o meno, è chiamata a gestire, elaborare, integrare? Tanti. Alcune trasformazioni sono naturali, ma non per questo meno dolorose: pensiamo al passaggio dall’adolescenza all’età adulta. Oppure dall’età adulta a quella dell’anzianità: quanti cambiamenti fisici ed esistenziali! Ci sono cambiamenti non desiderati, come la morte di un figlio o una malattia che cambia tutto. Ci possiamo accanire perché non accettiamo la realtà, assumiamo l’atteggiamento della nostalgia bloccante e lamentosa, investiamo nella pastorale vocazionale ingenti energie, decidiamo di aprire comunità dove ci sono vocazioni giovani. Quando sento consacrate e consacrati colpevolizzarsi per non aver fatto una buona pastorale vocazionale, mi dico che la mancanza di consapevolezza e realismo può provocare più dolore che guardare senza filtri la realtà. Un’altra opzione è accettare con umiltà una realtà che, seppur in evoluzione, ha ancora qualcosa da dire. Quando le congregazioni sono nate, rispondevano a dei bisogni concreti che nessuno avrebbe soddisfatto. Oggi, qual è il ruolo della VC? A mio avviso è la testimonianza di sorelle e fratelli che dicono al mondo che possiamo vivere insieme e vivere bene, come donne e uomini che fioriscono. Un mondo fratturato e ferito come il nostro ha bisogno di vedere sorelle e fratelli vivere insieme e amarsi, supportarsi, aiutarsi. Come rendiamo una grazia la qualità delle relazioni delle nostre suore anziane? Come creiamo comunità che sappiano lasciar fiorire le giovani generazioni? A cosa stiamo morendo? A cosa stiamo nascendo? «La dimensione culturale della diminuzione, viene vissuta in ogni cultura in modo diverso, perché anche la vita religiosa è espressione della cultura… poi non è da sottovalutare il calo numerico, per cui la vocazione oggi rimane schiacciata dal lavoro apostolico, che aumenta proporzionalmente alla diminuzione di vocazioni. Il risultato è che spesso sacerdoti e consacrati hanno poco tempo da dedicare alla preghiera e alla vita comune. Queste tensioni di fondo, più o meno visibili, non favoriscono uno stato di benessere e quindi di gioia. Ma piuttosto che scandalizzarsi o esprimere pareri facili, proviamo a riflettere insieme su come recuperare la gioia. Di solito rispondo dicendo che “la fede non basta”, bisogna farsi aiutare anche dalle scienze umane, dall’impegno a diventare competenti in ciò che si fa».
Rituali per lasciar fiorire la vita dal lutto
A mio avviso è necessario vivere questo tempo con consapevolezza e fiducia, passando per le fasi del lutto. Se non si fa questo percorso, passando per diverse emozioni, possiamo avere strascichi dentro di noi che ci possono portare a rimanere bloccate/i nel dolore. All’inizio si prova una grande sofferenza, che può trasformarsi in rabbia (perché è accaduto a me? Cosa ho fatto di male?); poi, lentamente, inizia l’integrazione del dolore con la vita, fino ad arrivare a saper cogliere la luce dove prima vedevamo solo buio. «Solo il tempo ti aiuterà»: è una frase che mi hanno detto quando ho perso mio padre. È vero che il tempo sana le ferite, ma non lo fa a prescindere da noi, senza un nostro sforzo di stare dentro al buio, almeno all’inizio. Ogni fase ha dei rituali e dei simboli che la definiscono. È bello accompagnare le sorelle e i fratelli anziani nei nostri istituti a preparare il proprio rituale di passaggio chiedendosi che desideri hanno, come vorrebbero celebrare il funerale, chi vorrebbero a fianco negli ultimi attimi. Quando una persona è malata, può scegliere di fare dei rituali finché ha capacità di farlo, per salutare le persone che ama. Come custodire il ricordo di chi ci ha preceduto? Costruire un giardino dei ricordi, piantare un albero, ricordare la traccia che hanno lasciato nella nostra vita, sono solo alcune delle pratiche possibili. Anche separarsi da un modello di vita religiosa dentro la quale ci siamo formate e abituate, può essere un lutto. Cosa ci può aiutare a vivere questa trasformazione senza nutrire sentimenti cronici di paura, rabbia, rancore? Quali simboli e rituali possiamo fare per lasciar andare un’opera o un paese quando si chiude una comunità? In alcune culture durante i funerali si danza. L’augurio è di danzare la vita come un intreccio tra lasciar andare e accogliere il nuovo. «Ci si era sforzati di trovare Dio nel dono di sé, nella presenza agli altri, nel servizio, fino a considerare che non si aveva assolutamente il diritto di perdere tempo, farlo era un peccato, e ora bisogna sforzarsi di trovare Dio nel “lasciar andare”, nella rinuncia serena a degli incarichi, a delle responsabilità che non si possono più assumere… si può dunque essere tentati di pensare che bisogna restare aggrappati agli incarichi, alle responsabilità, finché è possibile» (p. Ronder, gesuita).
PATRIZIA MORGANTE