Luciani Rafael
Riscoprirsi come Chiesa di Chiese
2024/4, p. 3
«Quello che riguarda tutti deve essere trattato e approvato da tutti». Una ricezione conciliare in divenire alla luce del Sinodo sulla sinodalità

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Testimoni
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CAMMINI SINODALI
Riscoprirsi come Chiesa di Chiese
«Quello che riguarda tutti deve essere trattato e approvato da tutti».
Una ricezione conciliare in divenire alla luce del Sinodo sulla sinodalità.
Il processo intrapreso dal Sinodo sulla sinodalità è stato un evento unico nella ricezione del Concilio Vaticano II per approfondire e maturare la cattolicità del Popolo di Dio. Il punto di partenza e di arrivo dell’intero processo sono state le Chiese locali o «porzioni del Popolo di Dio» (Episcopalis Communio 7) «ed è in esse e a partire da esse che esiste la Chiesa cattolica una e unica» (LG 23). Questo ci ha permesso di sperimentare un ampliamento della nostra esperienza di Chiesa, prendendo coscienza delle molte particolarità teologiche, liturgiche, spirituali, pastorali e canoniche che esistono in ogni luogo socioculturale in cui la Chiesa è presente. L’Instrumentum Laboris lo aveva descritto come segue: «abbiamo potuto toccare con mano la cattolicità della Chiesa, che, nelle differenze di età, di genere e di condizione sociale, manifesta una straordinaria ricchezza di carismi e di vocazioni ecclesiali, e custodisce una diversità di lingue, di culture, di espressioni liturgiche e di tradizioni teologiche (…). Allo stesso modo, abbiamo scoperto che, anche nella varietà di modi in cui la sinodalità è vissuta e compresa in diverse parti del mondo, sulla base della comune eredità della Tradizione apostolica, ci sono interrogativi condivisi» (IL 6).
Alla luce di questa cattolicità, è maturata la consapevolezza di essere una Chiesa di Chiese, mettendo a nudo la complessità del poliedro ecclesiale esistente ed evitando di cadere in falsi universalismi. Questo ha portato alla consapevolezza del perché ci sono temi che sono più difficili da accogliere in alcuni luoghi rispetto ad altri, non solo per ragioni ecclesiali, ma anche storiche e socioculturali.
In questo contesto, la Relazione di sintesi della prima sessione della XVI Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi dell’ottobre 2023 riconosce che «nella molteplicità degli interventi e nella pluralità delle posizioni, risuona l’esperienza di una Chiesa che sta imparando lo stile della sinodalità, cercando le modalità più opportune per realizzarla» (Relazione di sintesi, Introduzione) nelle Chiese locali, tra loro e con la Chiesa tutta. Alla luce dell’esperienza vissuta della cattolicità, l’Assemblea ha riconosciuto che «la sinodalità si presenta innanzitutto come un cammino comune del popolo di Dio» (Relazione di sintesi, Introduzione) in cui stiamo imparando a vivere l’unità nella diversità. È un cammino che ha iniziato ad accettare – non ancora tematizzato o assimilato – il principio che dice: «ciò che riguarda tutti deve essere trattato e approvato da tutti (Quod omnes tangit ab omnibus tractari et approbari debet)».
La prima parte di un assioma necessario: Quod omnes tangit ab omnibus tractari
Concependo il Sinodo come un processo che coinvolge tutto il Popolo di Dio e non solo i vescovi, vediamo emergere un modello istituzionale che inserisce l’esercizio dell’autorità episcopale all’interno dell’autorità dell’intero Popolo di Dio. In questo modo, ogni soggetto ecclesiale viene considerato innanzitutto come un battezzato che deve porsi in un atteggiamento di «ascolto reciproco in cui ognuno ha qualcosa da imparare. Fedeli, Collegio episcopale, Vescovo di Roma: gli uni in ascolto degli altri; e tutti in ascolto dello Spirito Santo, lo Spirito di verità (Gv 14,17), per sapere ciò che dice alle Chiese (Ap 2,7)» (Francesco, Commemorazione del 50° anniversario dell’istituzione del Sinodo dei Vescovi). Non si tratta di un semplice cambiamento procedurale. La costituzione apostolica Episcopalis communio afferma che, «benché nella sua composizione si configuri come un organismo essenzialmente episcopale, il Sinodo non vive pertanto separato dal resto dei fedeli. Esso, al contrario, è uno strumento adatto a dare voce all’intero Popolo di Dio proprio per mezzo dei Vescovi, costituiti da Dio autentici custodi, interpreti e testimoni della fede di tutta la Chiesa, mostrandosi di Assemblea in Assemblea un’espressione eloquente della sinodalità come dimensione costitutiva della Chiesa» (EC 6), tenendo presente che «i vescovi riuniti in Sinodo rappresentano innanzitutto le proprie Chiese» (Pastores Gregis 58), e non le loro singole opinioni in modo isolato dal resto della porzione di Popolo di Dio che presiedono. Questo è stato espresso dai membri dell’Assemblea nel precisare che solo «la figura del Vescovo può dunque adeguatamente essere compresa nell’intreccio delle relazioni con la porzione del Popolo di Dio a lui affidata» (Relazione di sintesi, 12.a).
Questa consapevolezza si è persa nel periodo post-conciliare con la crescente nomina di vescovi senza diocesi che non hanno vissuto ciò che dà al ministero episcopale la propria identità. Il Sinodo recupera questo legame attraverso la celebrazione di varie fasi – come «preparatoria, celebrativa e attuativa» (EC 4) – che sono interconnesse e alle quali tutti i soggetti ecclesiali sono invitati a partecipare. In questo quadro, le prime fasi del processo sinodale hanno favorito l’esperienza pratica della prima parte dell’assioma «ciò che riguarda tutti deve essere trattato da tutti», e questo alla luce del sensus fidei dell’Ecclesia tota. In particolare, questo si è visto nelle fasi consultive diocesane e continentali, così come nella celebrazione della prima assemblea della fase celebrativa.
Affinché le questioni emerse dalle consultazioni fossero affrontate da tutti e non solo da alcuni, la prima sessione del Sinodo ha attuato la norma introdotta dalla Costituzione Apostolica Episcopalis Communio secondo cui il Papa può convocare «altri che non sono investiti del munus episcopale» (EC 2.2). Ciò è avvenuto incorporando il 25% dei membri che, senza essere vescovi, hanno diritto di parola e di voto. Anche se il significato del voto è diverso, perché non è rappresentativo ma testimoniale e verificatore del processo, il suo valore è uguale a quello del voto episcopale in quanto ha la capacità di decidere su tutte le questioni trattate, manifestando così la reale autorità del popolo di Dio – sacerdoti, diaconi, religiosi e religiose, laici e laiche – come soggetto che racchiude la totalità dei fedeli che costituiscono l’Ecclesia tota.
Non si tratta di un cambiamento che può essere liquidato. Al contrario, incide sul modo di essere e di procedere del Sinodo, poiché, nell’interazione di tutti i battezzati lungo le numerose fasi e tappe del Sinodo, il Popolo di Dio esercita la sua infallibilità in credendo (LG 12: Infalibilitas in credendo; o LG 9: in credendo falli nequit). Ciò che è avvenuto è una ridefinizione pratica – anche se non pienamente consapevole o tematizzata, e anche con notevoli resistenze – dell’esercizio della potestas del munus episcopale, facendola decadere da ogni possibile autoreferenzialità ministeriale e risituandola all’interno dell’infallibilità dell’intero Popolo di Dio. In questo modo, il vescovo, «sapendo che lo Spirito è elargito a ogni battezzato, si pone in ascolto della voce di Cristo che parla attraverso l’intero Popolo di Dio, rendendolo infallibile in credendo. Infatti, «la totalità dei fedeli, avendo l’unzione che viene dal Santo (cfr. 1 Gv 2,20 e 27), non può sbagliarsi nel credere, e manifesta questa sua proprietà mediante il senso soprannaturale della fede di tutto il Popolo» (EC 5).
Ciò ha rafforzato la consapevolezza condivisa che nessuno dei fedeli – compresa la gerarchia – è padrone dello Spirito, perché «lo Spirito Santo non solo santifica e guida il popolo di Dio attraverso i sacramenti e i ministeri, ma distribuisce anche i suoi doni a ciascuno come vuole, rendendolo idoneo e pronto a intraprendere varie opere o servizi per il rinnovamento e l’ulteriore edificazione della Chiesa» (LG 12). Questo è stato vissuto dai membri dell’assemblea affermando che «laici e laiche, consacrate e consacrati, e ministri ordinati hanno pari dignità. Hanno ricevuto carismi e vocazioni diversi ed esercitano ruoli e funzioni differenti, tutti chiamati e nutriti dallo Spirito Santo per formare un solo corpo in Cristo» (Relazione di sintesi 8.b).
La sfida che emerge dalla seconda parte dell’assioma: … et approbari debet.
L’inclusione di membri non vescovi è un’altra novità della prima sessione del Sinodo, poiché include le dinamiche istituzionali dei processi decisionali basati sulle interazioni comunicative – come l’ascolto e il discernimento – che avvengono durante l’Assemblea tra i diversi soggetti ecclesiali con voce e voto, siano essi vescovi o meno. Ciò ha permesso di sperimentare modalità e procedure in grado di attivare la seconda parte dell’assioma che recita: «… deve essere approvato da tutti» (… et approbari debet), poiché tutti sono chiamati a costruire insieme il consensus omnium fidelium, cioè «quando, dai Vescovi fino all’ultimo dei fedeli laici, danno il loro consenso universale nelle cose di fede e di morale» (LG 12; EC 5).
Vescovi e non vescovi, membri e no, sono tutte e tutti chiamati a costruire e verificare il consensus ecclesiae su un piano di parità con il battesimo, superando così il legame che esisteva tra voto e munus episcopale. Non è un problema di minoranze o maggioranze di vescovi o non vescovi. Questo nuovo modello istituzionale mette in pratica un tacito riconoscimento della dignità battesimale di tutti i fedeli, ratificata dal diritto di voto di tutti i membri, che permette loro di affrontare e decidere le questioni che si presentano, per poi offrire il proprio consiglio al Papa. Come sottolinea l’Episcopalis Communio: «attenti al sensus fidei del Popolo di Dio – che devono saper attentamente distinguere dai flussi spesso mutevoli dell’opinione pubblica –, i Membri dell’Assemblea offrono al Romano Pontefice il loro parere, affinché questo possa essergli di aiuto nel suo ministero di Pastore universale della Chiesa» (EC 7).
La presenza di non vescovi rafforza il fatto che le decisioni non sono costruite sui voti stessi, ma come espressione e frutto di un’elaborazione congiunta di decisioni. Questa prima pratica della seconda parte dell’assioma (… et approbari debet) rivela la complessità dei processi decisionali sinodali perché implica la creazione di una cultura del consenso ecclesiale di tutto il Popolo di Dio attraverso processi organici di interazione e comunicazione tra tutti i soggetti ecclesiali – laici, religiosi, sacerdoti, vescovi, Papa – e a tutti i livelli – sia diocesano, continentale e universale.
L’apprendimento raggiunto in questa prima sessione del Sinodo ci porta a pensare che, nell’ultima tappa della fase celebrativa, sarà necessario un metodo più appropriato per la costruzione del consenso, che non solo aiuti ad ascoltare e verificare le realtà, ma anche a deliberarle. Ciò significherà articolare in modo più organico quanto sottolineato nell’Instrumentum Laboris: «l’apporto di tutti, ciascuno con i propri doni e compiti, valorizzando la diversità dei carismi e integrando il rapporto tra doni gerarchici e carismatici» (IL 54); ma a questo va aggiunto quanto chiesto dai sinodali in assemblea: «per sviluppare un autentico discernimento ecclesiale in questi e altri ambiti, è necessario integrare, alla luce della Parola di Dio e del Magistero, una base informativa più ampia e una componente riflessiva più articolata. Per evitare di rifugiarsi nella comodità di formule convenzionali, va istruito un confronto con il punto di vista delle scienze umane e sociali, della riflessione filosofica e della elaborazione teologica» (Relazione di sintesi 15.c).
Da questo processo continuiamo a imparare che il consenso ecclesiale in una Chiesa sinodale non può essere elaborato solo da alcuni o da uno, ma da tutti, ciascuno secondo il suo modo et pro sua parte (LG 31) e secondo il principio della reciproca necessità (LG 32). Inoltre, il consenso non è né lineare né unidirezionale, ma a spirale e processuale, per cui sia ciò che è stato detto dall’intero popolo di Dio in consultazione, sia ciò che è stato discernito nell’assemblea dai suoi membri deve essere restituito alle Chiese locali. Questo permette un atto di riconoscimento e di testimonianza pubblica delle voci dei fedeli che hanno il diritto di verificare (accountability) ciò che è stato raccolto per discernerlo fino a raggiungere il consensus omnium populo dei. Non è solo una questione di metodo. Da questo emerge una forma di Chiesa perché «la sinodalità, infatti, articola in modo sinfonico le dimensioni comunitaria (tutti), collegiale (alcuni) e personale (uno) della Chiesa a livello locale, regionale e universale» (Relazione di sintesi 13.a).
Conclusione. Sfide aperte dal processo sinodale
Nei prossimi mesi ci viene chiesto di svolgere un lavoro di «approfondimento teologico e pastorale e di indicazione delle implicazioni canoniche». Si propone «di promuovere iniziative che consentano un discernimento condiviso su questioni dottrinali, pastorali ed etiche controverse, alla luce della Parola di Dio, del magistero della Chiesa, della riflessione teologica e del valore dell’esperienza sinodale» (Relazione di sintesi 15.k). Se il processo intende dare forma a una Chiesa costitutivamente sinodale, bisogna riconoscere che «una Chiesa sinodale non può rinunciare a essere una Chiesa che ascolta e questo impegno deve tradursi in azioni concrete» (Relazione di sintesi, 16.n) e soprattutto in processi decisionali attraverso i quali ciò che riguarda tutti possa essere trattato e approvato da tutti. Il teologo Giacomo Canobbio spiega la portata di questa visione:
«Toccherà poi ai giuristi regolare i processi mediante i quali si possa arrivare a decisioni condivise, quali organi rappresentativi immaginare, quali procedure mettere in atto per ascoltare tutti. Ma ciò potrà realizzarsi solo dopo che si sia accettato che tutti hanno diritto di parola nella Chiesa, poiché in tutti – fino a verifica in contrario – abita lo Spirito. L’antico assioma Quod omnes tangit ab omnibus tractari et approbari debet, nella sua integrità, custodisce non soltanto una necessità di carattere giuridico, ma pure una figura di Chiesa. In tal senso, la riscoperta della sinodalità non è semplice riscoperta di pratiche; è piuttosto riscoperta di una figura di Chiesa che riconosce e confessa l’azione dello Spirito che crea la concordia» (Giacomo Canobbio, Un nuovo volto della Chiesa? Teologia del Sinodo, Morcelliana, Brescia 2023, 172).
Possiamo affermare che siamo testimoni di una Chiesa in transizione. I membri dell’Assemblea hanno infatti riconosciuto che il disegno del processo sinodale in corso «costituisce un vero atto di ulteriore recezione del Concilio, che ne prolunga l’ispirazione e ne rilancia per il mondo di oggi la forza profetica» (Relazione di sintesi, Introduzione). In situazioni simili, «la vita consacrata più di una volta è stata la prima a intuire i cambiamenti della storia e cogliere gli appelli dello Spirito: anche oggi la Chiesa ha bisogno della sua profezia» (Relazione di sintesi, 10.b). Forse stiamo entrando in una nuova epoca carismatica chiamata a generare un nuovo modello istituzionale che risponda a ciò che lo Spirito chiede a una Chiesa di Chiese per il terzo millennio.
RAFAEL LUCIANI