Chiaro Mario
STORIA DI μ
2024/3, p. 41
L’autore, Alberto Melloni, motiva il curioso inserimento della lettera μ (emme del greco) nel titolo, per lasciare intatti i nomi con cui lo chiamavano coloro che lo hanno amato. Nel testo troviamo l’invito a «sfogliare la vita e le immagini di una vita». Nel Preambolo (pp. 15-16), don Raffaele Bensi, prete fiorentino e direttore spirituale di Lorenzino, lo descrive con un affettuoso appellativo in una trasmissione televisiva del 1971 condotta da Enzo Biagi: «Povero passerotto, gli era una cosa meravigliosa: perché (pativa) una sofferenza incredibile nella carne, nello spirito. Nello spirito, perché anche in quei tre o quattro mesi di malattia, quando a quando aveva degli oscuramenti: sentiva Iddio come terribilezza, presenza giudicante».

Accedi alla tua area riservata per visualizzare i contenuti.

Questo contenuto è riservato agli abbonati a
Testimoni
.
Alberto Melloni
STORIA DI µ
lorenzino don milani
Marietti 1820, Bologna 2023 - pp.208, € 25,00
L’autore, Alberto Melloni, motiva il curioso inserimento della lettera μ (emme del greco) nel titolo, per lasciare intatti i nomi con cui lo chiamavano coloro che lo hanno amato. Nel testo troviamo l’invito a «sfogliare la vita e le immagini di una vita». Nel Preambolo (pp.15-16), don Raffaele Bensi, prete fiorentino e direttore spirituale di Lorenzino, lo descrive con un affettuoso appellativo in una trasmissione televisiva del 1971 condotta da Enzo Biagi: «Povero passerotto, gli era una cosa meravigliosa: perché (pativa) una sofferenza incredibile nella carne, nello spirito. Nello spirito, perché anche in quei tre o quattro mesi di malattia, quando a quando aveva degli oscuramenti: sentiva Iddio come terribilezza, presenza giudicante». Vien fuori tutto il dramma di un giovane che arriva a rifiutare il suo privilegio di classe, sopportando il doloroso conflitto con le autorità ecclesiali e l’esilio a Barbiana. Ci viene offerto uno squarcio della sua esistenza ardente delineandone sette passaggi: la vita spezzata, il cappellano, il priore, il maestro, l’obbedienza, la lettera, un prete cristiano. A Calenzano e a Chiusa nel 1947 don Milani è incaricato di seguire una pluriclasse: è maestro per caso, non per vocazione! In questo contesto gli si aprono gli occhi. Inizia a “vedere” con una nitidezza inedita il nucleo politico e teologico dei bisogni dei ragazzi, proprio loro che con la fame della parola inizieranno a educarlo come loro maestro, liberandolo dagli intellettualismi. Il nostro μ impara che «la scuola può essere lo strumento che anziché educare a un ‘assoluto’ di coscienza di sé, garantisce la perpetuità del rapporto sfruttati-sfruttatori» (p.61). Per queste sue convinzioni, lentamente ma inesorabilmente, nasce l’astio nei suoi confronti del padronato anti-La Pira, di chi contesta il suo rapporto col popolo comunista, dell’ostracismo dei confratelli e della curia fiorentina. Il cappellano si ritrova come uno sbranato, che appare agli occhi della gente come prete isolato. Per tutto ciò, Milani alla fine sarà promosso priore di Barbiana, un angolo estremo della diocesi, senza acqua, corrente elettrica, ufficio postale, strada. Con affetto paterno, aveva iniziato a raccogliere un gruppetto di allievi, che progressivamente diventano comunità reciprocamente educanti, disposte a imparare la sacralità della parola e l’umanizzazione della lingua. Dal 1950 abbozza un catechismo che per trent’anni resterà inedito. Però, «il bisogno di esprimersi e di far esprimere non combacia con lo stereotipo del prete tutto devozioni e Dc». La delusione nei suoi confronti diventa astio e seme di un conflitto di lunga data. Il punto di non ritorno avviene quando l’autorità ecclesiastica gli vieta di parlare di politica dal pulpito. Pochi sanno che proprio in questo frangente si fa strada in lui il progetto di una pellicola sulla “Vita di Gesù”. Così scrive al regista Maurice Cloche nel 1951: «Sono prete e lavoro a un testo di catechismo che consiste in una vita di Gesù […] Non sto affatto pensando di proporle una ordinaria Vita di Gesù (ho sempre proibito ai miei ragazzi di andare a vederle!). Al contrario le propongo un film dove si apprende e si imprime questa Vita senza mai vedere Lui, il Protagonista […] Uno sguardo fisso sull’obiettivo come se Gesù fosse nella macchina da presa, io l’ho sperimentato come insegnante dei bambini; ciò che meglio imprime nei loro cuori le parole e gli atti di Gesù è descrivere le reazioni psicologiche degli uditori» (p.69). Anche in questo modo, il prete cristiano esprime l’utopia di una scrittura che diventa caparra di redenzione. La parola diventa oggetto sacro e la scuola una parabola che ristabilisce l’eguaglianza. «La mia scuola è assolutamente aconfessionale come quella di un liberalaccio miscredente, non ho nessuna fretta di portare i giovani alla chiesa, perché so che cascheranno da sé nelle sue braccia appena si saranno accorti di essere delle povere creaturine ignare del futuro e di tutto» (p.202).