Chiaro Mario
A SCUOLA DI SINODALITÀ
2024/3, p. 36
Il Sinodo sulla sinodalità va inteso come un processo: per papa Francesco è soprattutto uno «stile di essere Chiesa» che genera un confronto continuo tra vescovo e popolo. Una Chiesa «in stato di sinodo permanente» richiede un serio progetto formativo dei battezzati per far crescere in tutti una nuova «coscienza sinodale».

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COMUNIONE, PARTECIPAZIONE E MISSIONE
A scuola di sinodalità
Il Sinodo sulla sinodalità va inteso come un processo: per papa Francesco è soprattutto uno “stile di essere Chiesa” che genera un confronto continuo tra vescovo e popolo. Una Chiesa “in stato di sinodo permanente” richiede un serio progetto formativo dei battezzati per far crescere in tutti una nuova “coscienza sinodale”.
Il Sinodo ha per tema Comunione, partecipazione e missione. È stato avviato nel 2021, sviluppato in tre livelli (diocesano, regionale e universale) e destinato a concludersi nel 2024 con due Assemblee generali. Nel ricco Documento di lavoro della tappa continentale (Allarga lo spazio della tua tenda), sembra che la questione cruciale della formazione sia accantonata a favore di una più generale tendenza all’ascolto e al discernimento. In vista delle tappe finali è stato redatto anche uno Strumento di lavoro (20 giugno 2023) in cui si è preferito proporre alcune priorità, scaturite dalle diverse assemblee, in forma di domanda. Si tratta di un sussidio (corredato da schede) in cui si cerca un equilibrio tra le spinte in senso democratico e il metodo dell’ascolto senza esclusione delle diverse opinioni. Anche qui rimane ancora inevaso il tema della formazione, che si rivela ancora il punto più fragile del cammino sinodale. Il metodo ritenuto più utile al momento è la cosiddetta “conversazione spirituale”, un metodo che permette la manifestazione di tensioni e di differenze nelle assemblee. Per colmare la carenza formativa si è voluto attivare un processo di apprendimento in grado di sostenere la sinodalità nel lungo periodo: la Fondazione per le scienze religiose (Fscire) insieme alla Facoltà teologica dell’Emilia-Romagna (Fter) ha promosso una Piccola scuola di Sinodalità, svoltasi a Bologna nei mesi di gennaio-febbraio del 2023. Si sono ascoltate voci disomogenee e autorevoli (vescovi e rabbini, teologhe e teologi, studiose e studiosi, per un totale di venti contributi), che hanno condiviso esperienze e riflessioni. Il frutto di questo spazio di apprendimento è ora a disposizione di tutti grazie a un volume edito dalle EDB.
Cos’è la sinodalità per papa Francesco?
Questa è la questione cruciale per comprendere le sfide per la Chiesa del futuro. Il codice di diritto canonico indica che il Sinodo ha lo scopo di favorire una stretta unione tra il papa e il collegio dei vescovi (canone 342). È chiaro che occorre cercare un nuovo equilibrio tra sinodalità (l’ascolto) e autorità nella Chiesa. I cardinali Burke e Brandmüller hanno sollevato la questione della sinodalità: il loro dubbio riguarda «l’affermazione che la sinodalità è “dimensione costitutiva della Chiesa”, sì che la Chiesa sarebbe per sua natura sinodale. Dato che il Sinodo dei vescovi non rappresenta il collegio episcopale, ma è un mero organo consultivo del papa, in quanto i vescovi, come testimoni della fede, non possono delegare la loro confessione della verità, si chiede se la sinodalità può essere criterio regolativo supremo del governo permanente della Chiesa senza stravolgere il suo assetto costitutivo voluto dal suo Fondatore, per cui la suprema e piena autorità della Chiesa viene esercitata, sia dal papa in forza del suo ufficio, sia dal collegio dei vescovi insieme col suo capo il Romano Pontefice». Il papa ha risposto con la consueta chiarezza che «La Chiesa è “mistero di comunione missionaria”, ma questa comunione non è solo affettiva o eterea, ma implica necessariamente una partecipazione reale: che non solo la gerarchia, ma tutto il popolo di Dio in modi diversi e a diversi livelli possa far sentire la propria voce e sentirsi parte del cammino della Chiesa. In questo senso possiamo dire che la sinodalità, come stile e dinamismo, è una dimensione essenziale della vita della Chiesa».
Uno stile rivoluzionario
Nella “Piccola scuola” è stato il gesuita Christoph Theobald a evidenziare l’importanza di applicare i nostri stili di vita alla sinodalità della chiesa, che non può quindi ridursi a qualche grande evento ecclesiale. Papa Francesco sta provocando una rivoluzione culturale, una ‘mutazione stilistica’ perché si fonda sull’uguaglianza di tutti i battezzati. Due tratti stilistici permettono di vivere una vera sinodalità ecclesiale: la capacità di ascoltare, la revisione istituzionale di procedure e metodi. Riscoprendo l’antica massima: “Quello che riguarda tutti deve essere esaminato da tutti […] e approvato da tutti”, comprendiamo che il problema è come intaccare un governo clericale autoritario e poco trasparente, ostile ad accettare nuove norme per evitare i terribili abusi che conosciamo. Su questo punto suonano decisive le parole del domenicano padre Radcliffe, quando ricorda che il sinodo è un’assemblea eucaristica e non politica. Non dobbiamo spaventarci di fronte ai conflitti che percorrono il cammino sinodale: «la chiesa è divisa dalle speranze per futuri diversi». In questo contesto il prof. Melloni, segretario di Fscire, nella Postfazione, ha sottolineato i problemi che attendono la Chiesa cattolica in questo secolo: forma del ministero, trasmissione della fede, lotta per la giustizia e la pace, la libertà dal potere ecc. Problemi che non possono essere risolti «a colpi di autorità, né a colpi di opinione pubblica, né a iniezioni di “spiritualità”, né tantomeno con il “dialogo” con le culture della società capitalista avanzata». Occorre una rinnovata fedeltà al Vangelo: la sinodalità è “una esperienza liturgica”, che aiuta a individuare i temi maturi per svilupparli dando verità e dignità al Sinodo.
Sequela di Gesù, forma della chiesa
Se si può cogliere un filo rosso che ha attraversato le “lezioni”, si può partire dalla prima sezione del volume dal titolo eloquente: “Sequela di Gesù, forma della chiesa” (pp. 17ss.). Nella Prolusione mons. Castellucci - presidente del Comitato nazionale del cammino sinodale – ha affermato che la Chiesa è geneticamente dinamica e mette in crisi gli schemi consolidati: papa Francesco «ha chiesto ripetutamente a tutti di recuperare la dimensione discepolare della sequela, come premessa e cuore della dimensione apostolica, e di farlo dentro la dimensione popolare della sequela». A sessant’anni dall’inizio del concilio Vaticano II, ha precisato mons. Castellucci, «si nota una certa resistenza della egemonia “clericale”, che non ha risparmiato anche diversi settori del laicato organizzato e che si è collegata con una simmetrica passività dell’insieme del popolo credente». Anche la pastora battista Lidia Maggi ha approfondito la sequela e la comunità dei discepoli di Gesù, che ci propongono «un nuovo modo di vivere e di abitare la terra, di essere comunità di sorelle e fratelli in grado di gestire le conflittualità, di valorizzare le differenze, liberati dalla paura di vivere situazioni alternative rispetto al proprio contesto culturale, come nel caso del discepolato delle donne che al tempo di Gesù - come purtroppo ancora adesso! – generava perplessità e ostilità. I vangeli ci descrivono una «comunità solidale e plurale, che deve tornare a essere esempio per la chiesa o meglio per le chiese di oggi, quale modello di sinodalità». Mons. Repole, arcivescovo di Torino, è rimasto nel contesto del discepolato, rileggendo la sinodalità secondo la categoria del dono: «Tutta la vicenda di Gesù ci mostra come egli sia vissuto nella donazione piena e gratuita di sé […] un dono che culmina nello Spirito che da Gesù passa a noi, producendo un secondo effetto di questo dono e cioè il fatto che noi veniamo ospitati, accolti in Cristo». La prima modalità per essere chiesa in missione è «corrispondere gratuitamente al dono stesso di Dio»: questo aiuta a precisare come si realizza in ogni processo sinodale il ripresentarsi di Cristo, del dono di Dio vivo nello Spirito. Si tratta di un aspetto raramente presente nei discorsi sulla sinodalità che si posizionano su un piano retorico.
Chiesa sinodale: accogliente, povera e plurale
Per una evangelizzazione in chiave sinodale occorre dunque rendere disponibile l’ospitalità di Cristo che Dio ha offerto a noi: un annuncio nella forma del dono nello spazio di ospitalità in Cristo, mediato dall’ospitalità della Chiesa, implica comunità realmente ospitali e accoglienti. Oggi l’annuncio dei singoli spesso abortisce anche perché essi non sono rappresentanti di comunità reamente ospitali. La chiesa è un mezzo e non un fine, entra in relazione col mondo non seguendo le regole del dominio e del possesso. Una chiesa povera sa rinunciare alle rendite di posizione e non teme di allargare gli spazi di partecipazione ai processi decisionali. Questa “conversione” è presente nel cosiddetto “Nuovo patto delle catacombe”: «Ci impegniamo a stabilire nelle nostre chiese particolari in uno stile di vita sinodale, in cui i laici, a causa del loro battesimo e in comunione con i loro pastori, abbiano voce e voto nelle assemblee diocesane, nei consigli pastorali e parrocchiali, in breve, in tutto ciò che compete nel governo delle comunità». Possiamo concludere che, di fronte a una chiesa che deve sempre più fare i conti con l’opinione pubblica, c’è la necessità di trovare un nuovo modo di stare al mondo.
MARIO CHIARO