Ferrari Matteo
«Rispettare gli anziani, amare i giovani»
2024/3, p. 30
Proponiamo come invito alla riflessione, la lettera che dom Matteo Ferrari, priore generale della Congregazione camaldolese dell’Ordine di San Benedetto, ha inviato il 14 febbraio scorso ai fratelli monaci, alle sorelle monache, ai cari oblati, amici e ospiti del S. Eremo e Monastero di Camaldoli.

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QUARESIMA: TEMPO FAVOREVOLE
«Rispettare gli anziani, amare i giovani»
Proponiamo come invito alla riflessione, la lettera che dom Matteo Ferrari, priore generale della Congregazione camaldolese dell’Ordine di San Benedetto, ha inviato il 14 febbraio scorso ai fratelli monaci, alle sorelle monache, ai cari oblati, amici e ospiti del S. Eremo e Monastero di Camaldoli.
All’inizio di questa Quaresima risuonano nella mia mente poche parole della Regola di San Benedetto, che vorrei condividere con voi come possibile spunto di riflessione e di conversione in questo “tempo favorevole” nel quale attendere la celebrazione della «santa Pasqua con l'animo fremente di gioioso desiderio» (RB XLIX,7): «rispettare gli anziani, amare i giovani» (RB IV,70-71). Sono parole che Benedetto inserisce tra gli «strumenti delle buone opere» nel IV capitolo della Regola. Che cosa c’entra questa espressione della Regola con il tempo liturgico che stiamo per iniziare? Il tempo della Quaresima è un tempo di conversione: un “cammino spirituale” nel quale con l’ascolto della Parola e la preghiera, con il digiuno e con le opere di misericordia, ci rendiamo disponibili all’azione dello Spirito in noi, per giungere rinnovati a celebrare la Pasqua del Signore. Le parole di Benedetto a cui abbiamo fatto riferimento ci richiedono una profonda conversione del cuore, quanto mai necessaria per la vita di una comunità non ripiegata sul passato e sul presente, ma protesa verso il futuro.
Rispettare gli anziani
Che cosa significa innanzitutto «rispettare gli anziani»? Una comunità non può vivere senza questo elemento. Ma ci possono essere degli inganni. Infatti, rispettare gli anziani non significa vivere secondo il criterio mortifero del «si è sempre fatto così»; non significa nemmeno ripetere semplicemente ciò che essi hanno fatto; non si tratta nemmeno di una venerazione solamente di facciata e formale. Ma allora che cosa significa rispettare gli anziani? Vi propongo alcuni semplicissimi spunti.
Rispettare gli anziani significa ascoltare la profezia di Simeone ed Anna (cf. Lc 2,22-40). In queste due figure di anziani del Nuovo Testamento noi vediamo l’esempio di come si possano rispettare veramente gli anziani. Simeone ed Anna sono due “poveri” di Israele che attendono la consolazione e la redenzione di Dio. Rispettarli significa sapere di “avere radici”. Non ci può essere vita senza radici e senza che queste siano profonde. Solamente se ci sono radici si può vivere e si può essere rigogliosi, portando frutti abbondanti. Senza radici si è come il seme caduto nel terreno sassoso: subito germoglia ma poi, quando viene il caldo, subito muore (cf. Mt 13,5-6). Onorare e rispettare gli anziani significa conoscere le proprie radici, lontane e più recenti, tenerle presenti ad ogni passo, non rinnegare ciò che ha costituito la vita di una comunità e delle singole persone che ne hanno fatto parte.
Il vecchio Simeone è un uomo avanzato nell’età che sa stringere tra le braccia un bambino. Venerare gli anziani significa mettersi nel medesimo atteggiamento. Si onorano gli anziani se si sa accogliere il bambino, cioè il futuro. Se non si sa stringere tra le braccia un bambino, non si possono onorare veramente gli anziani, ma si finisce per rinchiudersi in un passato sterile che non esiste più. Qui sta il senso dell’autentica tradizione. Papa Francesco, in un suo discorso, ha dato una bella definizione di tradizione e di tradizionalismo: «La tradizione è la fede viva dei morti, il tradizionalismo è la fede morta di alcuni vivi».
Venerare gli anziani significa anche custodire il patrimonio che essi hanno costruito con fatica, non sperperare le risorse economiche, usare dei beni della comunità come appartenenti a tutti e non come proprietà privata di qualcuno. Venerare gli anziani significa gestire con responsabilità le risorse della comunità, vivendo una vita sobria. I nostri padri ci hanno lasciato dei beni che oggi garantiscono, anche dal punto di vista economico, la vita delle nostre comunità. Noi oggi, per onorare chi ci ha preceduto, dobbiamo usare dei beni che abbiamo con responsabilità, sapendo che la serenità di una comunità monastica dipende anche da una situazione economica sicura. Ciò non significa accumulare inutilmente, né cedere all’avidità e al desiderio di possesso, ma vivere del lavoro delle proprie mani, come la Regola di Benedetto ci insegna: «i monaci sono veramente tali, quando vivono del lavoro delle proprie mani come i nostri padri e gli Apostoli» (RB XLVIII,8). Al contempo una comunità deve poter fare affidamento su una situazione economia stabile, che le consenta di vivere serenamente il proprio cammino spirituale, che deve sempre avere il primo posto su qualsiasi altra dimensione della vita comune.
Maria e Giuseppe ascoltano da Simeone delle parole strane, forse lontane e inattese, incomprensibili al momento. Eppure, quelle parole di Simeone saranno la chiave di lettura di tutta la loro storia e dell’esistenza di quel bambino che stanno presentando al Tempio del Signore. Venerare gli anziani significa ascoltare i loro racconto, la loro esperienza di vita. Anche se a volte, come le parole di Simeone, essi possono dire parole strane e apparentemente lontane, tuttavia i loro racconti possono essere una chiave di lettura di ciò che ci sta davanti e delle scelte per il futuro. Non per replicare l’esperienza del passato, ma per ispirare ciò che si vive nel presente.
Venerare gli anziani infine significa comprendere la debolezza fisica, a volte anche la mancanza di slancio e di fiducia. Non sempre gli anziani sono deboli e sfiduciati, ma a volte può succedere. Venerare gli anziani significa rispettare anche la diversità di formazione, di attese per il futuro, di progetti. Ma soprattutto significa anche prendere coscienza della nostra debolezza e delle nostre infermità: le malattie, le infermità, le ferite, le lentezze che possono manifestarsi con l’avanzare dell’età ci ricordano la nostra finitudine e, in una comunità, che un giorno anche noi avremo bisogno di assistenza, di comprensione e di pazienza. Non bisogna mai deridere la debolezza degli anziani, perché un giorno sarà anche la nostra debolezza. Occorre invece saper ascoltare anche la debolezza, perché essa è una grande maestra di vita.
Amare i giovani
Ma «amare i giovani» che cosa significa? Come immagine biblica per rispondere a questa domanda potremmo prendere la storia di Giuseppe nel libro della Genesi (Gn 37-50). Giuseppe era giovane, il penultimo genito di Giacobbe, amato dal padre, ma in un modo non così libero e gratuito e odiato dagli altri fratelli. Se leggiamo in modo superficiale la storia sembra che gli altri fratelli non abbiano tutti i torti a non provare grande simpatia per il loro fratello sognatore. Ma se leggiamo con attenzione possiamo scoprire che le cose non stanno esattamente così come sembrano. Che cosa ci dice la storia di Giuseppe sul significato dell’espressione «amare i giovani»?
Innanzitutto, l’immagine di Giuseppe ci insegna che amare i giovani significa ascoltare i loro sogni e lasciare che siano essi ad interpretarli. Giuseppe fa molti sogni che infastidiscono i fratelli maggiori e anche il padre Giacobbe. Tuttavia, tutti danno la loro interpretazione dei sogni di Giuseppe ed è questa loro interpretazione, che nasce da un pregiudizio, che risulta inaccettabile e mette in cattiva luce il giovane. Ma nessuno nel racconto lascia che sia Giuseppe ad interpretare i propri sogni. Per amare i giovani dobbiamo ascoltare i loro sogni e lasciare che siano loro ad interpretarli. Occorre ascoltare con attenzione i sogni dei giovani, perché come dice Benedetto «spesso è proprio al più giovane che il Signore rivela la soluzione migliore» (RB III,3).
Per poter ascoltare i sogni dei giovani occorre lasciare che i giovani siano giovani, e lo siano a modo loro. Non possiamo pretendere che essi siano giovani come lo siamo stati noi. In tal caso sarebbero vecchi. Giacobbe e i figli maggiori pretendono che Giuseppe sia “vecchio” e sono infastiditi dai suoi modi spontanei, dai suoi sogni. Spesso capita anche a noi: desidereremmo che i giovani siano un po’ vecchi, cioè ci assomiglino un po’ di più. Ma se così fosse non sarebbero giovani. Spesso diamo giudizi sul modo di essere giovani dei giovani.
Amare i giovani significa anche non avere paura della novità, anche quando essa non corrisponde in tutto alle nostre attese. Quello che noi crediamo nuovo a volte è già da molto tempo invecchiato: era nuovo, ma molti anni fa. La vera novità è quella che non corrisponde alle nostre attese, ai nostri sogni di un tempo. I giovani ci insegnano ad aprirci alla novità vera: quella inattesa, che non corrisponde alle nostre attese e “rinnova” i nostri progetti, magari facendoci riscoprire le radici della tradizione monastica in un modo più fresco e autentico.
Amare i giovani significa combattere la tentazione dell’invidia. Nella storia di Giuseppe questo è un elemento fondamentale: tutti sono invidiosi di Giuseppe, i suoi fratelli, ma anche il padre Giacobbe. C’è un grande rischio che tocca tutti coloro che hanno accumulato un po’ di anni: vivere l’invidia per chi è giovane. Dobbiamo invece saper gioire dei giovani, dei loro doni, delle loro capacità. Amare i giovani significa gioire per la loro presenza, saperli valorizzare con gradualità, per aiutarli a mettere radici in comunità e a scoprire i doni con i quali il Signore arricchisce la loro esistenza. Come Simeone sa gioire per il bambino Gesù che stringe tra le sue braccia, così anche noi dobbiamo saper gioire con libertà dei giovani che si accostano alle nostre comunità e intraprendono il loro cammino di iniziazione monastica fino a farne parte definitivamente.
Quest’ ultimo aspetto ci rivela un'altra sfumatura di che cosa significhi amare i giovani: occorre curare la comunione, la fraternità e le parole buone che edificano. Lo vediamo bene nella storia di Giuseppe. Giacobbe non è stato un padre che ha curato la comunione e la fraternità, non ha favorito parole buone capaci di edificare la sua numerosa famiglia. Il padre di Giuseppe ha messo i suoi figli gli uni contro gli altri, ha innescato dinamiche distruttive, maldicenze, pregiudizi che hanno portato alla divisione e, addirittura, al tentativo di un omicidio, per togliere di mezzo il fratello “sognatore”. Il racconto di Giuseppe nella Genesi è un grande “manuale di fraternità”, che ci tocca tutti. In particolar da questo racconto impariamo che per amare i giovani dobbiamo custodire la comunione, evitare parole e gesti divisivi, non mettere gli uni contro gli altri per mortifere logiche di potere.
Infine, per ritornare ad un tema già trattato sopra, amare i giovani significa gestire i beni della comunità pensando al futuro, garantendo una serenità anche economica alla comunità che verrà dopo di noi. I beni che la comunità possiede non sono nostri, non sono di nessuno e nemmeno della comunità che oggi è chiamata a gestirli. I beni di una comunità appartengono anche a coloro che verranno dopo di noi, ai giovani. La buona gestione dei beni non è solo un dovere nei confronti di chi ci ha preceduto, né unicamente una necessità per chi oggi vive nella comunità, ma anche un debito nei riguardi di chi verrà dopo di noi. Amare i giovani significa non guardare unicamente al presente, ma anche al futuro, a chi porterà avanti in modo sempre antico e nuovo il cammino della comunità.
Ascoltarsi
«Venerare gli anziani e amare i giovani» significa, in ultima analisi, saper ascoltare: ascoltare gli anziani, ascoltare i giovani. Questo ascolto reciproco e autentico tra le generazioni può garantire la vita di una comunità e la crescita umana e spirituale di tutti. Si tratta di un elemento di equilibrio nella vita della comunità: né gli anziani né i giovani vanno assolutizzati, ma tutti vanno ascoltati per ciò che sono e per il contributo che possono portare alla vita di tutti. Non può avere futuro una comunità nella quale non si venerano gli anziani e non si amano i giovani. Senza la venerazione degli anziani siamo senza radici, ma senza l’amore dei giovani siamo come alberi senza foglie e senza frutti, condannati ad un perenne e triste inverno.
All’inizio del cammino quaresimale ci raggiungono le parole del profeta Gioele: «Ritornate a me con tutto il cuore» (Gl 2,12). Venerare gli anziani e amare i giovani può essere un “esercizio” di autentica conversione per tutti, che tocca aspetti fondamentali del nostro cammino personale e comunitario. È la conversione che viene annunciata da Malachia: «Ecco, io invierò il profeta Elia prima che giunga il giorno grande e terribile del Signore: egli convertirà il cuore dei padri verso i figli e il cuore dei figli verso i padri» (Ml 3,23-24). Sono parole molto concrete che possono toccare il nostro cammino comunitario e guidarci alla conversione gli uni verso gli altri.
A tutti l’augurio di un fruttuoso cammino quaresimale nella preghiera, nell’ascolto della Parola di Dio, nella vita fraterna: il Signore doni a tutti di convertire il cuore per giungere a celebrare la Pasqua del Signore «con l'animo fremente di gioioso desiderio» (RB XLIX,7).
dom MATTEO FERRARI
Priore Generale