Montaldi Gianluca
Vivere la nostra sequela nella quaresima e nella pasqua
2024/3, p. 25
Come ogni anno le nostre comunità si stanno impegnando a vivere bene il tempo liturgico della quaresima e quello della pasqua. Del resto, proprio questo è il centro portante di tutto l’anno ed è giusto che riceva molta attenzione. Come ci viene annunciato ad ogni epifania: «centro dell’anno liturgico è il triduo del Signore crocifisso, sepolto e risorto». Non è retorica continuare a ricordarcelo e a prendere con serietà questo duplice tempo nel suo reciproco richiamo.

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TEMPO FAVOREVOLE
Vivere la nostra sequela
nella quaresima e nella pasqua
Come ogni anno le nostre comunità si stanno impegnando a vivere bene il tempo liturgico della quaresima e quello della pasqua. Del resto, proprio questo è il centro portante di tutto l’anno ed è giusto che riceva molta attenzione. Come ci viene annunciato ad ogni epifania: «centro dell’anno liturgico è il triduo del Signore crocifisso, sepolto e risorto». Non è retorica continuare a ricordarcelo e a prendere con serietà questo duplice tempo nel suo reciproco richiamo.
Mettere in gioco la nostra interiorità
Potremmo dire che lo stile con il quale viviamo questo tempo è il riferimento per lo stile con il quale viviamo anche tutti gli altri giorni dell’anno. Non si tratta di fare i bacchettoni o peggio di fare finta di aumentare il nostro impegno, ma di rendersi conto che siamo un’unica persona, quell’unica persona che cresce, cammina e si forma durante il tempo e lo spazio che la liturgia ci offre: se viviamo il centro di questo tempo e di questo spazio in maniera esteriore, corriamo il rischio che sia questo lo stile con il quale poi vivremo anche il resto del nostro cammino; se, invece, mettiamo adesso in gioco la nostra interiorità, la nostra sequela di Gesù – perché di questo si tratta – avrà un fondamento solido, una roccia sulla quale costruire.
Mettere in gioco: mi piace utilizzare la metafora del gioco per parlare di interiorità. Solitamente, quando si parla di spazi interiori il nostro immaginario va verso un non meglio precisato luogo intimo, ben nascosto, intangibile dall’esterno, intoccabile dagli altri, estremamente serio. È chiaro che con qualcosa di quel genere non possiamo affatto giocare. A pensarci bene invece la nostra interiorità, al contrario, viene pienamente agìta: da noi, dagli altri, e da Dio. È nel gioco di queste relazioni che essa si mostra e metterla in gioco, giocarcela, significa – mi pare – almeno due cose: farla ‘pesare’ nelle nostre azioni e portarne la ‘responsabilità’. È la nostra interiorità, infatti, a determinare ciò che facciamo e le nostre relazioni e proprio per questo è importante che ce ne facciamo carico, per portare fino in fondo la partita. Per continuare questa metafora, vorrei qui esplicitare tre regole di questo gioco.
1.Nella qualità: mettere il Vangelo al centro
La prima regola di questo gioco dell’interiorità è quella relativa alla qualità del nostro cammino spirituale; ce lo siamo detti molte volte ed è persino diventato ovvio: non è moltiplicando le pratiche o aggiungendone di nuove che facciamo progressi, ma è migliorandone la qualità. Aggiungere una via crucis e la coroncina della misericordia diventa persino deleterio se queste pratiche sono costruite all’ultimo minuto, non realmente vissute e soprattutto non condivise.
In questo senso, migliorare la qualità dei nostri momenti spirituali significa, prima di tutto, arricchirli dello spirito evangelico. A volte, infatti, molte delle pratiche spirituali – che le viviamo da soli o in comunità – si rifanno e citano il vangelo quasi a modo di corollario, dimenticando che invece dovrebbe essere al centro del nostro impegno, specialmente della nostra preghiera. La qualità del nostro impegno spirituale è legata alla qualità del nostro impegno evangelico. Per questo, e in secondo luogo, è necessario che i vari momenti di preghiera o di carità delle nostre programmazioni personali o comunitarie vengano preparati per tempo dai singoli e dall’intera comunità, nella comunione di un percorso condiviso e, ancora per questo, non dovremmo avere paura a dedicare in modo esclusivo tempi e persone per elaborare questa preparazione.
2.Nella profondità: la necessità di formazione
Mi pare che la seconda regola possa in modo parallelo essere quella di andare sempre più in profondità: ripetere formule non serve a nessuno, tanto meno al nostro cammino spirituale, perché diventano pian piano vuote di senso. A questo riguardo nasce un problema di formazione: la profondità, infatti, non è questione di sentimenti o, per lo meno, non solo. Gli stessi sentimenti e le stesse sensazioni devono trovare adeguate modalità di espressione: non ci si può fermare al «mi piace» o «non mi piace», «è gradevole», o a dire: «che belle parole». Badare ad una reazione sentimentale o emotiva è ancora fermarsi alla superficie.
Si tratta invece di dare a ciascuno e a ciascuna gli strumenti perché possa comprendere e vivere nella bellezza che la liturgia ci chiede di celebrare durante la quaresima e durante la pasqua. E questo non può essere frutto di improvvisazione. Occorre darsi tempo e spazio per formare, per lasciarsi formare e per formarsi, e per fare in modo che la liturgia sia fonte di formazione; occorre iniziare da lontano e occorre non avere paura della ricerca di verità; paradossalmente per vivere bene questi tempi liturgici occorre non solo la preghiera, ma lo studio, perché si tratta di instaurare un confronto non solo con le parole del più bravo tra i bravi blogger cattolici, o a qualcuno particolarmente bravo a scrivere twitter, ma con le stesse fonti bibliche, liturgiche e storiche del messaggio cristiano, e di farlo insieme. La riforma su questo ci aiuta molto. Purtroppo – almeno in Italia – abbiamo delegato la formazione e lo studio, la preparazione e la riflessione solo ad alcune persone, generalmente al clero.
Ce ne stiamo dolorosamente accorgendo con le nostre comunità cristiane, a qualsiasi livello: proprio la mancanza di formazione permette ad alcuni di ergersi a guida di altri, e ad altri di sentirsi esonerati dal prepararsi. Alla fine, tutto pesa sull’estro, più che sul carisma, di personaggi, che non sempre sanno portare la responsabilità di questo affidamento. Al di là di questo, proprio la mancanza di formazione rende quasi inefficace la bellezza di ogni passo quaresimale e pasquale che la liturgia ci affida.
3.Nella giusta direzione: dalle ceneri alla pentecoste
Un’ultima regola per strutturare la nostra interiorità nel tempo della quaresima e della pasqua è la direzione che diamo a questo cammino. Pensiamo, ad esempio, alla ricchezza dei simboli e delle realtà che la tradizione cristiana annoda al tempo quaresimale e pasquale: le ceneri, il digiuno, la carità, il silenzio, la luce, il buio. Per ciascuna di queste realtà potremmo idealmente guardare verso il passato o verso il futuro: per esempio, possiamo interpretare il silenzio come la fine delle parole che sinora ci siamo detti (verso il passato), oppure come l’attesa delle parole che ci diremo (verso il futuro); le ceneri indicano che abbiamo bruciato il nostro passato, ma possono diventare segno di un cambiamento che sta avvenendo e di fecondità per una nuova vita. La direzione verso la quale guardiamo, e camminiamo, cambia anche le nostre prospettive e il senso di quello che facciamo. La liturgia ci accompagna dal passato verso il futuro e dirige in quella direzione il nostro sguardo.
Ci ricorda, insomma, che siamo in cammino verso un futuro che è contemporaneamente nostro e di Dio e che questo futuro inizia già da ora, anche se ci troviamo all’ombra della tentazione e della fragilità. Prendere coscienza di questa intenzionalità profonda dell’anno liturgico e del nostro impegno, di questa direzionalità verso il regno di Dio che pure è già presente, ha ricadute non solamente sulle pratiche che programmiamo per la nostra quaresima e per la nostra pasqua, ma anche sul nostro stile cristiano. E torniamo così al punto di partenza: questi giorni non sono come altri giorni, da come li viviamo dipende molto: «Ecco ora il momento favorevole, ecco ora il giorno della salvezza!» (2Cor 6,2).
GIANLUCA MONTALDI