La preghiera interiore e il silenzio
2024/2, p. 35
Religiosi e laici, tutti dobbiamo renderci conto dell’urgenza di riportare al centro della vita cristiana la preghiera interiore. Silenzio e solitudine sono dimensioni imprescindibili all’equilibrio della vita psicofisica stessa. La preghiera interiore mette in contatto con il bisogno autentico, libera dal dover essere, invita a essere.
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ALLE SORGENTI DELL'ESSERE
La preghiera interiore e il silenzio
Religiosi e laici, tutti dobbiamo renderci conto dell’urgenza di riportare al centro della vita cristiana la preghiera interiore. Silenzio e solitudine sono dimensioni imprescindibili all’equilibrio della vita psicofisica stessa. La preghiera interiore mette in contatto con il bisogno autentico, libera dal dover essere, invita a essere.
«Congedata la folla, salì sul monte, in disparte a pregare» (Mt 14,13). Gesù stesso testimonia il valore della preghiera interiore, del silenzio, della solitudine, di quella dimensione contemplativa che definisce «parte migliore» e della quale si fa garante: «Maria si è scelta la parte migliore, che non le sarà tolta» (Lc 10,42). La vita contemplativa è protetta e salvaguardata da Gesù stesso. Non tanto come stato di vita permanente, bensì come dimensione indispensabile alla vita di tutti. Gesù più si trattiene con le folle, guarisce i malati, più sente il richiamo a ritirarsi in luoghi solitari. C’è un equilibrio da preservare.
La preghiera come rigenerazione
Nel silenzio e nella solitudine si entra in contatto con il divino che abita nel profondo, si riceve rigenerazione, si entra in contatto con la sorgente dell’amore. Il vangelo di Matteo è esplicito: «quando preghi, entra nella tua camera e, chiusa la porta, prega il Padre tuo nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà. Pregando poi, non sprecate parole come i pagani, i quali credono di venire ascoltati a forza di parole» (Mt 6, 6-7). La preghiera interiore dà l’esperienza diretta attraverso cui si sviluppa e cresce la comunione con Dio. È una preghiera che non ha bisogno di parole, ma di fiducia, perché Dio ci è intimo e ci conosce molto di più di quanto noi non conosciamo noi stessi. Comunione che più ci pacifica e ci rigenera, più si riversa nelle relazioni creando comunione con gli altri. Porta luce nelle tenebre del mondo, nella pesantezza della storia. Mette in contatto con il bisogno autentico, libera dal dover essere, invita a essere.
La preghiera come esperienza di verità
È un’esperienza di verità che aiuta ad affrontare fragilità, paure, ombre. Libera da illusioni e false rappresentazioni che spesso abbiamo di noi stessi. La preghiera interiore mette a nudo, fa gridare aiuto e il grido sfonda i muri della distanza. Muove una dinamica che investe il profondo, agevola l’azione dello Spirito santo. Non hanno valore il quanto, il come, né le varie tecniche, che pure possono aiutare, bensì la nostalgia, la spinta che predispone verso un cammino di verità. La luce che dona lo Spirito smaschera la falsa coscienza dell’inganno, fa comprendere che la necessità che domina la storia non è così cieca se guardata da un’altra prospettiva. Quando l’occhio si accende comincia a guardare nel profondo, vede quello che si nasconde, entra in una sofferenza trasformativa. «Viene l’ora, anzi è già venuta, in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità, poiché tali sono gli adoratori che il Padre richiede. Dio è Spirito e quelli che l'adorano bisogna che lo adorino in spirito e verità» (Gv 4,23-24). La conversione allo spirito di verità spezza le catene dei destini, riconduce verso l’ordine dell’opera creatrice, verso la verità. Verità di una luce che ci abita e che più affiora, più mette a nudo la memoria di una frattura, il dolore di una distanza da cui l’anima rifugge. Rimane solo il silenzio. Non c’è più niente da dire, c’è bisogno di un affidamento totale. Cristo è luce che brilla nelle tenebre. Guardare verso quella luce e lasciare che quella luce ci guardi, penetri nell’anima. Inizia un percorso di scioglimento senza più mediazioni. Personalmente ho vissuto innanzitutto l’esperienza del silenzio, solo dopo ho compreso che quella esperienza era preghiera, una preghiera di abbandono e di offerta.
Il deserto dell’anima
Il silenzio è una dimensione interiore, inscritta nel profondo di cui l’anima ha sete, ma come obliata nella memoria. Quando ne sentiamo il richiamo vuol dire che si è risvegliata dentro di noi. C’è una nostalgia che preme, si fa sentire, inquieta, ci spinge a cercare reali luoghi di silenzio, nella natura, in eremi e monasteri. Non richiede tanto la pratica di una tecnica, ma di sostare alla presenza del mistero, di predisporsi alla resa. Il silenzio non è assenza di suoni, ma assenza di rumori. Si riconosce quando tutto rimane estatico, nella sua perfetta misura originaria. La natura è ancora custode del silenzio e pertanto proprio nella natura lo si può sempre sperimentare per farlo riemergere dall’interno e divenirne a nostra volta custodi. A tale proposito mi preme fare un breve accenno alla via della pustinia, vocazione al silenzio della tradizione ortodossa, alla quale mi sono ispirata. Pustinia vuol dire deserto in lingua russa. Un deserto non solo fisico, ma soprattutto interiore. Come afferma Catherine Doherty de Hueck, autrice del libro Pustinia: «Deserti, silenzio, solitudini, non sono necessariamente luoghi, ma stati della mente e del cuore. Questi deserti si possono trovare nel centro delle città, e nel quotidiano della vita». Oggi è tempo di deserto, troppe contraddizioni, troppa complessità, accumuli ad ogni livello. Voci ossessive, fiumi di informazioni. Lo spirito di inganno governa il mondo con grande vigore, con il potere del plagio, della manipolazione delle coscienze, della seduzione.
La preghiera come antidoto allo smarrimento
Di fronte a questo scenario serve un antidoto forte capace di rallentare la virulenza dell’andamento. Deserto, silenzio, solitudine, costituiscono il vero antidoto di una società globalizzata, anestetizzata da troppe parole che alla fine producono solo rumore, bruciano l’anima. In particolare la Chiesa si deve interrogare. Seppure mancano vocazioni, conventi e monasteri si svuotano, cresce il numero di coloro che si rivolgono verso pratiche di altre religioni. Non è vero che non c’è interesse per la spiritualità, c’è un grande bisogno di interiorità, di andare verso il profondo, che però non trova adeguati riferimenti nella Chiesa. La sofferenza psichica, esistenziale è sempre più diffusa. C’è un’arsura che consuma l’anima. Mancano linfe spirituali, imperano nihilismo, non senso, vuoto. Questa la nuova povertà alla quale bisogna guardare. Risuonano con forza le parole del profeta Isaia: «Ecco, io sto per fare una cosa nuova; essa sta per germogliare, non la riconoscete? Sí, io aprirò una strada nel deserto, farò scorrere dei fiumi nella steppa» (Is 43,19). Non è facile aprire una strada nel deserto. Nel deserto della massa urbana, nel deserto del rumore e del caos, nel deserto dell’accumulo di tutto. La pustinia, il deserto, è oggi la via necessaria per attraversare questo tempo di smarrimento che chiede cambiamento. Via verso cui chiama lo Spirito quando più cupa è l’oscurità del tempo. La mancanza di luce fa precipitare nel vero deserto, nel deserto dell’anima. Ed è proprio nel deserto dell’anima che dovrà aprirsi la strada del cambiamento che ci aspetta. Dipende da noi come attraversarlo. Standoci dentro lasciandoci portare cedendo, oppure opponendosi, facendo resistenza, continuando a pretendere che tutto continui nel suo perverso andamento. Lo smarrimento è grande, grande la paura, grande il presentimento di un passaggio che non riusciamo a fronteggiare. Certamente siamo davanti a un bivio, ci è chiesta una scelta. Il deserto dell’anima viene allo scoperto con i suoi fantasmi, con le sue ombre che non possono più essere occultate dalla coscienza.
La cura del silenzio
La preghiera interiore, il silenzio, la solitudine, costituiscono una via di cura. Sanare le parti malate dell’anima cercando di attivarne le parti sane. Più crescono fiducia, abbandono, desiderio di luce, più i traumi psichici, i fantasmi persecutori, i pensieri negativi, che chiudono l’anima nei suoi circoli viziosi, si scioglieranno. Più crescerà l’affidamento, più riaffiorerà il desiderio di verità. La potenza dell’amore svuota il male da se stesso, lo fa svanire nell’inconsistenza che esso è. In chi si affida lasciandosi investire, l’azione creatrice penetra attraendo e assorbendo nel suo fluire. L’atto creativo è puro, segno meraviglioso, eterno miracolo. È unico, mai ripetitivo, dà origine solo a cose belle. «E Dio vide che era cosa buona [bella]». La creazione sta sempre nell’ordine della bellezza, della leggerezza, della grazia, estranea alla forza di gravità. Brutto, il contrario di bello, deriva dal latino brutus, pesante, inerte. Stare nella pienezza che dona lo Spirito, gustare, assaporare con gratitudine quanto ci è donato, che riceviamo gratuitamente. Imparare la semplicità, vero atto creativo. Gustare la vita aderendo senza più scarti all’attimo che passa. Senza pretese, senza aspettative, lasciandoci sorprendere. Stare nella creazione sentendoci parte viva di un corpo vivo. La creazione è il grande miracolo al quale apparteniamo. La vita contemplativa apre una nuova prospettiva, sposta, fa stare su un’altra frequenza. Rende partecipi di un’Opera che agisce per potenza, che non conosce forza. Agire per potenza significa stare nella dinamicità, nella potenzialità che tende ad attualizzarsi, che ha la spinta in se stessa, che favorisce le condizioni, le predispone. La spinta viene dal Principio che la muove e che non è un principio spazio/temporale, bensì spirituale. Questo richiede la «passività dell’anima silenziosa», come afferma Catherine Doherty. In quanto la vita contemplativa costituisce la parte migliore, ce la dobbiamo concedere trovando e custodendo tempi adeguati nel ritmo ordinario. Religiosi e laici, tutti dobbiamo renderci conto dell’urgenza di riportare al centro della vita cristiana la preghiera interiore. Silenzio e solitudine sono dimensioni imprescindibili all’equilibrio della vita psicofisica stessa, ma essendo così marginalizzati, non è facile poterli vivere, ognuno deve ingegnarsi, farsi ispirare. In quanto costituiscono un valore essenziale del quale non possiamo privarci, richiedono luoghi dove poter essere vissuti. Deserti protetti dove chi lo desidera, possa ritirarsi per qualche tempo, possa sperimentare, conoscere le proprie inquietudini, i propri disagi. È auspicabile che si possano realizzare concretamente luoghi idonei a poter vivere questa esperienza, il tempo lo chiede, l’umanità ne ha bisogno, mancano tuttavia riferimenti, persone che possano accompagnare certi percorsi per averli sperimentati in prima persona.
ANTONELLA LUMINI