Adriano Giorgio
Il lungo viaggio verso l'inclusione
2024/2, p. 23
Rileggendo brevemente la storia dell’inclusione in Italia ci possiamo rendere conto di quanto si sia progredito, non solo in termini legislativi per la tutela dei diritti degli studenti che presentano fragilità di varia natura, ma anche nell’individuazione di prassi educative e metodologiche inclusive.

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SCUOLA E FRAGILITÀ GIOVANILI
Il lungo viaggio verso l’inclusione
Rileggendo brevemente la storia dell’inclusione in Italia ci possiamo rendere conto di quanto si sia progredito, non solo in termini legislativi, per la tutela dei diritti degli studenti che presentano fragilità di varia natura, ma anche nell’individuazione di prassi educative e metodologiche inclusive.
Partendo dal principio costitutivo che ogni studente ha “diritto ad apprendere” qualunque siano le sue condizioni psico-fisiche, il sistema scolastico si sta interrogando ed impegnando già da parecchi decenni nell’individuazione di strategie e modalità per permettere ad ogni studente di poter raggiungere il successo formativo in base alle proprie potenzialità e ai propri talenti.
Negli ultimi decenni vi è stato un cambiamento significativo nel paradigma legato alla disabilità; l’inclusione scolastica in Italia trae le sue origini dalla fine degli anni sessanta. In questo breve excursus storico non possiamo non ricordare Franco Basaglia che rivoluzionò la visione della cura dei malati di mente e dei manicomi, aprendoli al territorio; furono contestati gli orfanotrofi e i cronicari per gli anziani. Entrarono nell’occhio del ciclone pure gli istituti speciali per minorenni ed adulti con disabilità. Si creò quindi in quegli anni, carichi di contestazioni politiche e sociali, un forte dibattito sul tema dell’integrazione dei minori all’ interno del sistema scolastico.
Don Lorenzo Milani, sacerdote ed educatore in quegli anni, rimproverava alla scuola di non sapere accogliere proprio gli alunni più poveri, difficili e “diversi”, che avevano più bisogno di essa, malgrado la riforma della scuola media unica di poco tempo prima.
Molti docenti cominciarono a darsi da fare per offrire risposte didattiche appropriate sostenuti da alcuni Atenei, soprattutto l’Università di Bologna con il professor Andrea Canevaro che è unanimemente riconosciuto come il “padre dell’inclusione scolastica” italiana; egli è riuscito ad aprire le porte alla pedagogia speciale come disciplina, come campo dell’educazione che è diventato campo di ricerca e sperimentazione. La pedagogia speciale è in divenire, ha compiti esplorativi, deve dare risposte a bisogni che a volte sono già conosciuti e a volte sono da individuare e deve, nello stesso tempo, cercare di rendere ordinarie le attenzioni speciali. Questo dovrebbe essere facilitato dalla prospettiva dell’integrazione. (Canevaro, 1999).
Tutela delle persone con disabilità
La nostra Costituzione recita all’articolo 3 che tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. Inoltre, stabilisce che è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese. Partendo dal nostro statuto costitutivo, lo Stato, nel corso di questi cinquant’anni, ha promulgato leggi a tutela delle persone con disabilità. A tutti noi è nota la Legge 104 del 1992 che «garantisce il pieno rispetto della dignità umana e i diritti di libertà e di autonomia della persona handicappata e ne promuove la piena integrazione nella famiglia, nella scuola, nel lavoro e nella società»; previene e rimuove le condizioni invalidanti che impediscono lo sviluppo della persona umana, il raggiungimento della massima autonomia possibile e la partecipazione della persona handicappata alla vita della collettività, nonché la realizzazione dei diritti civili, politici e patrimoniali». La legge 104 prevede l’inserimento in organico, per gli alunni dalla scuola dell’Infanzia fino alla scuola secondaria di II grado, della figura dell’insegnante di sostegno ed in particolari altri casi anche la figura di un educatore durante l’orario scolastico. Quest’ultima figura professionale tende a coniugare l’area della “necessità” (alimentazione, cura della persona, movimento…) con l’area della socialità e della relazione (comunicazione ed autonomia).
Linee guida per l’integrazione
Altro importante documento sono le Linee guida per l’integrazione scolastica degli alunni con disabilità del 2009; tale provvedimento recepisce per la scuola italiana l’utilizzo dell’ICF (International Classification of Functioning), ossia la classificazione internazionale della disabilità. Con l’adozione dell’ICF, elaborato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) nel 2010, si tengono in considerazione tutti i fattori contestuali del processo educativo, sposando quindi un approccio di tipo “ecologico” ponendo al centro dell’attenzione l’ambiente educativo in cui il minore è inserito come punto di partenza per l’inclusione scolastica. Le Linee Guida del 2009 ribadiscono così due concetti fondamentali da un punto di vista pedagogico: l’accettazione delle diversità presentate dagli alunni disabili come fonte di arricchimento e l’importanza di prestare attenzione ai bisogni di ciascuno, non solamente quindi alle esigenze degli alunni con particolari fragilità certificate.
Il sapere pedagogico legato al mondo della disabilità pone, da questo momento in poi, l’attenzione soprattutto nella lettura delle situazioni per definire e realizzare strategie educative e didattiche che tengano conto della singolarità e complessità di ogni alunno (identità, aspirazioni, fragilità, capacità, competenze, ecc).
L’impegno del sapere pedagogico per la riduzione delle differenze in ottica inclusiva esige delle competenze specifiche, anche costruite sul campo e non rigidamente definite, che si devono rapportare ad alunni che abitano in contesti di vita ordinari e che non siano rinchiuse in realtà segreganti. Nelle strutture chiuse è più semplice considerare l’individuo come appartenente a una categoria speciale: infatti in questa situazione si tende a definire i bisogni di un individuo in base al deficit che lo caratterizza e alla struttura nella quale si colloca. Ma i deficit non sono provocati da una sola causa, bensì da più cause, e quindi esigono più risposte; la multicausalità si collega con la multi modalità, intesa come l’insieme dei diversi modi di rispondere.
La didattica inclusiva si fonda su un principio relativamente recente, ma diventato fondamentale per le sorti della scuola. Fino ad un decennio fa si parlava di didattica integrata come possibilità per coinvolgere i bambini con disabilità, che dovevano adattarsi all’ambiente scolastico. Oggi, questo paradigma è radicalmente mutato: con il termine inclusione si fa riferimento a strategie finalizzate alla partecipazione di tutti gli studenti, con l’obiettivo di valorizzare al meglio le potenzialità, i talenti e le caratteristiche di ciascuno. In questo caso, quindi, è la scuola che si modella accogliendo i bisogni educativi e didattici degli studenti.
Nella didattica inclusiva è essenziale progettare e programmare cosa si vuole trasmettere le modalità e gli strumenti per poter attuare l’azione didattica.
L’insegnamento inclusivo deve essere anche molto flessibile e offrire agli alunni molteplici modalità di coinvolgimento e partecipazione attiva alle attività proposte dai docenti.
Tutti noi abbiamo modalità diverse di apprendere; uno degli obiettivi della didattica inclusiva è proprio quello di individuare la modalità di apprendimento più efficace per ogni studente, proponendo stili di insegnamento innovativi. Un altro principio fondante della scuola inclusiva è la collaborazione, non solo all’interno del sistema scolastico, ma estesa anche all’intera comunità. Perché l’inclusione funzioni davvero è necessario che chiunque interagisca con la scuola e con il processo di apprendimento dei bambini sia disposto a una partecipazione positiva e ad una collaborazione costante.
Anche le famiglie degli studenti devono divenire quindi parte attiva diventando loro stesse costruttrici propositive della cultura inclusiva.
Nell’ultimo decennio il dibattito educativo e sociale riguardante il rapporto scuola-famiglia ha evidenziato difficoltà sempre maggiori nel porre in dialogo queste due agenzie di socializzazione. La scuola oggigiorno si trova a doversi confrontare con nuovi modelli familiari e a rispondere a nuove emergenze educative; dall’altro canto molte famiglie attuano un sistema di totale delega educativa alla scuola. Numerose sono le ricerche che testimoniano il valore di una efficace relazione scuola-famiglia nel processo di apprendimento e di formazione integrale del bambino; tanto più la connessione tra i due sistemi è consolidata e basata su un’istanza fiduciaria reciproca tanto più può aumentare il potenziale di sviluppo del bambino non soltanto da un punto di vista cognitivo. La connessione tra scuola e famiglia viene a realizzarsi innanzitutto attraverso la condivisione di un chiaro progetto educativo da parte della scuola, esplicitamente condiviso con le famiglie. Il progetto educativo pone al centro del suo essere il bambino ispirandosi a teorie pedagogiche valorizzandone le finalità e le motivazioni dell’azione educativa in un’ottica inclusiva. Tale progetto necessita di essere condiviso e sostenuto in uno spirito di corresponsabilità che vede coinvolti insegnanti e famiglie in un impegno reciproco.
Finora abbiamo analizzato, seppur sinteticamente, la parte organizzativa della didattica inclusiva, ma è risaputo che le dinamiche che si instaurano all’interno delle classi non sono quasi mai prevedibili, dato che ogni gruppo classe è formato da individui e ognuno di loro è unico ed irripetibile. È essenziale che gli insegnanti possano ricevere un’adeguata formazione per quanto riguarda la gestione delle emozioni. È bene non dimenticare che il benessere del singolo è il benessere del gruppo; il compito del docente è proprio quello di assicurarsi che nella classe vi sia un clima di positività e incoraggiamento per tutti.
Solamente se ci apriremo all’alterità, accogliendo i bisogni esistenziali ed educativi dei nostri alunni, riusciremo a “fare scuola” in un’ ottica realmente inclusiva.
GIORGIO ADRIANO