Mastrofini Fabrizio
LA PACE DONO E RESPONSABILITÀ
2024/2, p. 3
La Pace, quella con la lettera maiuscola, ha campeggiato al centro del discorso rivolto dal Papa agli Ambasciatori dei paesi accreditati presso la Santa Sede, lunedì 8 gennaio. I discorsi di inizio anno dei Pontefici al Corpo diplomatico, e tanto più questi di papa Francesco nei dieci anni di Pontificato, sono dei veri e propri atti di Magistero da leggere integralmente, su cui riflettere e meditare.

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Il Papa al Corpo diplomatico
La pace
dono e responsabilità
La Pace, quella con la lettera maiuscola, ha campeggiato al centro del discorso rivolto dal Papa agli Ambasciatori dei paesi accreditati presso la Santa Sede, lunedì 8 gennaio. I discorsi di inizio anno dei Pontefici al Corpo diplomatico, e tanto più questi di papa Francesco nei dieci anni di Pontificato, sono dei veri e propri atti di Magistero da leggere integralmente, su cui riflettere e meditare.
«C’è una parola – ha esordito papa Francesco – che risuona in modo particolare nelle due principali feste cristiane. La udiamo nel canto degli angeli che annunciano nella notte la nascita del Salvatore e la intendiamo dalla voce di Gesù risorto: è la parola ‘pace’. Essa è primariamente un dono di Dio: è Lui che ci lascia la sua pace (cf Gv 14,27); ma nello stesso tempo è una nostra responsabilità: «Beati gli operatori di pace» (Mt 5,9). Lavorare per la pace. Parola tanto fragile e nel contempo impegnativa e densa di significato. Ad essa vorrei dedicare la nostra riflessione odierna, in un momento storico in cui è sempre più minacciata, indebolita e in parte perduta. D’altronde, è compito della Santa Sede, in seno alla comunità internazionale, essere voce profetica e richiamo della coscienza».
Sguardo ai conflitti nel mondo
Per lo scenario del Medio Oriente, papa Francesco ha ribadito la soluzione dei due Stati. «Auspico che la Comunità internazionale percorra con determinazione la soluzione di due Stati, uno israeliano e uno palestinese, come pure di uno statuto speciale internazionalmente garantito per la città di Gerusalemme, affinché israeliani e palestinesi possano finalmente vivere in pace e sicurezza».
Sul conflitto in corso in Europa tra Russia e Ucraina, ha usato toni altrettanto espliciti. «Purtroppo, dopo quasi due anni di guerra su larga scala della Federazione Russa contro l’Ucraina, la tanto desiderata pace non è ancora riuscita a trovare posto nelle menti e nei cuori, nonostante le numerosissime vittime e l’enorme distruzione. Non si può lasciare protrarre un conflitto che va incancrenendosi sempre di più, a detrimento di milioni di persone, ma occorre che si ponga fine alla tragedia in atto attraverso il negoziato, nel rispetto del diritto internazionale».
Ha poi passato in rassegna altri scenari conflittuali: il Myanmar, il Caucaso, l’Africa subsahariana, il Corno d’Africa, la situazione degli sfollati in paesi come Camerun, Mozambico, Repubblica Democratica del Congo e Sud Sudan. Per le Americhe, si è riferito alle tensioni tra il Venezuela e la Guyana, «mentre in altri, come in Perù, osserviamo fenomeni di polarizzazione che compromettono l’armonia sociale e indeboliscono le istituzioni democratiche. Desta ancora preoccupazione la situazione in Nicaragua: una crisi che si protrae nel tempo con dolorose conseguenze per tutta la società nicaraguense, in particolare per la Chiesa Cattolica. La Santa Sede non cessa di invitare ad un dialogo diplomatico rispettoso per il bene dei cattolici e dell’intera popolazione».
Radici e conseguenze delle guerre
Nella seconda parte del suo articolato discorso, papa Francesco ha svolto alcune intense riflessioni sulle modalità dei conflitti contemporanei e sulle caratteristiche che stanno assumendo. Prima di tutto, «in un contesto in cui sembra non essere osservato più il discernimento tra obiettivi militari e civili, non c’è conflitto che non finisca in qualche modo per colpire indiscriminatamente la popolazione civile». Importante l’aggiunta successiva: «Forse non ci rendiamo conto che le vittime civili non sono “danni collaterali”. Sono uomini e donne con nomi e cognomi che perdono la vita. Sono bambini che rimangono orfani e privati del futuro. Sono persone che soffrono la fame, la sete e il freddo o che rimangono mutilate a causa della potenza degli ordigni moderni. Se riuscissimo a guardare ciascuno di loro negli occhi, a chiamarli per nome e ad evocarne la storia personale, guarderemmo alla guerra per quello che è: nient’altro che un’immane tragedia e ‘un’inutile strage’, che colpisce la dignità di ogni persona su questa terra». Tema, tra l’altro, ripreso e ribadito nel colloquio televisivo del 14 gennaio sul canale italiano 9.
Nel ribadire che le guerre sono rese possibili dall’enorme disponibilità di armamenti – industria che non conosce crisi – papa Francesco si è soffermato sulle cause più profonde dei conflitti, radicati nelle troppe situazioni di disparità ed ingiustizia. «Per perseguire la pace, tuttavia, non è sufficiente limitarsi a rimuovere gli strumenti bellici, occorre estirpare alla radice le cause delle guerre, prime fra tutte la fame, una piaga che colpisce tuttora intere regioni della Terra, mentre in altre si verificano ingenti sprechi alimentari. Vi è poi lo sfruttamento delle risorse naturali, che arricchisce pochi, lasciando nella miseria e nella povertà intere popolazioni, che sarebbero i beneficiari naturali di tali risorse. Ad esso è connesso lo sfruttamento delle persone, costrette a lavorare sottopagate e senza reali prospettive di crescita professionale».
Né sono mancati degli importanti passaggi su due tematiche che stanno a cuore alla Santa Sede: il cambiamento climatico e lo sviluppo tecnologico, che deve avvenire «in modo etico e responsabile, preservando la centralità della persona umana, il cui apporto non può né potrà mai essere rimpiazzato da un algoritmo o da una macchina. Occorre dunque una riflessione attenta ad ogni livello, nazionale e internazionale, politico e sociale, perché lo sviluppo dell’intelligenza artificiale si mantenga al servizio dell’uomo, favorendo e non ostacolando, specialmente nei giovani, le relazioni interpersonali, un sano spirito di fraternità e un pensiero critico capace di discernimento».
Giubileo, tempo di pace e di giustizia
Papa Francesco ha quindi indicato nel dialogo politico e sociale, nella cooperazione, nel dialogo interreligioso, nel sentire la responsabilità a edificare il bene comune, le vie affinché l’umanità possa muoversi verso una convivenza pacifica e più giusta. E nel finale ha proiettato lo sguardo sul prossimo Giubileo: «Forse oggi più che mai abbiamo bisogno dell’anno giubilare. Di fronte a tante sofferenze, che provocano disperazione non soltanto nelle persone direttamente colpite, ma in tutte le nostre società; di fronte ai nostri giovani, che invece di sognare un futuro migliore si sentono spesso impotenti e frustrati; e di fronte all’oscurità di questo mondo, che sembra diffondersi anziché allontanarsi, il Giubileo è l’annuncio che Dio non abbandona mai il suo popolo e tiene sempre aperte le porte del suo Regno. Nella tradizione giudeo-cristiana il Giubileo è un tempo di grazia in cui sperimentare la misericordia di Dio e il dono della sua pace. È un tempo di giustizia in cui i peccati sono rimessi, la riconciliazione supera l’ingiustizia, e la terra si riposa. Esso può essere per tutti – cristiani e non cristiani – il tempo in cui spezzare le spade e farne aratri; il tempo in cui una nazione non alzerà più la spada contro un’altra, né si imparerà più l’arte della guerra».
FABRIZIO MASTROFINI