Torcivia Carmelo
Medjugorje e la Regina della pace
2024/12, p. 26
Il 19 settembre 2024 è stata emanata la Nota del Dicastero per la dottrina della fede intitolata La Regina della Pace, inerente all’esperienza spirituale legata a Medjugorje. Si autorizza il culto pubblico, a prescindere dal riferimento ai «presunti» messaggi e dall’incontro con i «veggenti».

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DOTTRINA DELLA FEDE
Medjugorje e «la Regina della pace»
Il 19 settembre 2024 è stata emanata la Nota del Dicastero per la dottrina della fede intitolata La Regina della Pace, inerente all’esperienza spirituale legata a Medjugorje. Si autorizza il culto pubblico, a prescindere dal riferimento ai «presunti» messaggi e dall’incontro con i «veggenti».
Fare chiarezza sulla natura dei messaggi
Si tratta di una Nota che intende far chiarezza sulla natura dei cosiddetti messaggi della Madonna – che, viene espressamente precisato, devono essere sempre compresi come «presunti messaggi» (nn. 2 e 38) – e sui frutti che si sono registrati in questi ultimi decenni. Questa Nota determina che Medjugorje è un luogo dove si sono verificate e si verificano significative conversioni e quindi si può continuare a frequentarlo, anche se non è possibile rintracciare alcun fondamento soprannaturale nei messaggi ai «veggenti»: quindi non è possibile basarsi su quanto da loro detto e su alcuni aspetti e/o scelte della loro vita. In ordine a quest’ultima affermazione, la Nota sente il bisogno di precisare che le conclusioni cui perviene «non implicano un giudizio circa la vita morale dei presunti veggenti. D’altra parte, si deve ricordare che, quando si riconosce un’azione dello Spirito per il bene del popolo di Dio “in mezzo” a un’esperienza spirituale dalle sue origini fino ad oggi, i doni carismatici (gratiae gratis datae) – che possano essere collegati ad essa – non esigono necessariamente la perfezione morale delle persone coinvolte per poter agire» (n. 1). I messaggi sono allora considerati validi per la loro conformità al Vangelo o alla dottrina della Chiesa, non tanto per l’autenticità della loro origine. Alcuni di essi, a titolo esemplificativo, sono raggruppati in ordine a precise categorie: la Regina della Pace, la pace che sgorga dalla carità, il Re della Pace, soltanto Dio, cristocentrismo, l’azione dello Spirito Santo, il forte peso del male e del peccato, la preghiera, la centralità della Messa, la comunione fraterna, gioia e gratitudine, la testimonianza dei fedeli, la vita eterna. Alcuni di questi messaggi, seppur pochi, sono invece considerati erronei sia per il loro contenuto, in contrasto con la dottrina dogmatica della Chiesa in ordine a Gesù e alla Madonna e con il doveroso rispetto delle opinioni e delle decisioni della comunità parrocchiale e dei ruoli in essa esercitati, sia per il loro stile minaccioso. A riguardo di tutti questi messaggi si rendono necessari alcuni chiarimenti (cf. nn. 27-37). Nella Nota emerge, a tal proposito, il bisogno di affermare un «principio decisivo», che in un certo senso aveva già esposto (cf. n. 1): «quando si riconosce un’azione dello Spirito Santo in mezzo a un’esperienza spirituale, ciò non significa che tutto quello che appartenga a quell’esperienza sia esente da ogni imprecisione, imperfezione o possibile confusione. Va ricordato nuovamente che questi fenomeni “a volte appaiono connessi ad esperienza umane confuse, ad espressioni imprecise dal punto di vista teologico o ad interessi non del tutto legittimi” (Norme, n. 14)» (n. 27).
Frutti positivi di un’esperienza spirituale
Per quanto riguarda i frutti, la Nota esprime la sua soddisfazione nel prendere atto che vi sono molti casi di conversione e, in ogni caso, di ripresa in mano della propria vita da parte di molte persone, ritorni alla frequenza della pratica sacramentale, vocazioni sia al presbiterato, alla vita consacrata, al matrimonio, numerosissime guarigioni. «Molti fedeli hanno scoperto la loro vocazione al sacerdozio o alla vita consacrata nel contesto del “fenomeno Medjugorje” […] Per tante persone la vita è cambiata dopo aver accolto la spiritualità medjugoriana nella vita quotidiana (messaggi, preghiera, digiuno, adorazione, santa Messa, confessione…)» (n. 5). Medjugorje è ormai da considerare come un luogo, un luogo sacro – se si vuole –, caratterizzato da stili e comportamenti di preghiera e di raccoglimento e oggetto di moltissimi pellegrinaggi, a prescindere dal riferimento ai presunti messaggi e dalla ricerca d’incontro con i «veggenti». «Al di là di questi frutti concreti, il luogo è percepito come uno spazio di grande pace, di raccoglimento e di pietà sincera e profonda che contagia. In conclusione, si può riportare un quadro riassuntivo di frutti positivi legati a questa esperienza spirituale che, nel frattempo, si sono separati dall’esperienza dei “presunti veggenti”, i quali non sono più da percepire come mediatori centrali del “fenomeno Medjugorje”, in mezzo al quale lo Spirito Santo opera tante cose belle e positive» (n. 5). Tutto ciò porta a considerare che ormai Medjugorje può essere inteso alla stessa stregua di un vero e proprio santuario, dedicato a un titolo della Madonna. La Nota, quindi, così esorta: «Ad ogni modo, le persone che si recano a Medjugorje siano fortemente orientate ad accettare che i pellegrinaggi non si fanno per incontrarsi con i presunti veggenti, ma per avere un incontro con Maria, regina della Pace, e, fedeli all’amore che lei prova verso suo Figlio, per incontrare Cristo ed ascoltarlo nella meditazione della Parola, nella partecipazione all’Eucaristia e nell’adorazione eucaristica, come accade in tanti santuari diffusi in tutto il mondo, nei quali la Vergine Maria è venerata con i più variegati titoli» (n. 41).
Il criterio per dare un prudente nihil obstat
Alla fine di questa breve disamina di alcuni punti della Nota, vale la pena volgere l’attenzione al n. 38: in forza del suo essere un richiamo a quanto previsto dalle Norme per procedere nel discernimento ai presunti fenomeni soprannaturali (emanate dallo stesso Dicastero per la dottrina della fede il 17 maggio 2024) può essere considerato il ‘criterio principale’ messo in atto per dare il nihil obstat circa un evento spirituale e di cui ha beneficiato la presente Nota. Dopo aver ricordato che, grazie ad esso, i fedeli possono dare la loro adesione prudente a un evento spirituale, la Nota stessa afferma che «sebbene questo non implichi una dichiarazione del carattere soprannaturale del fenomeno in parola (cf. Norme, art 22, § 2), e ricordando che i fedeli non sono obbligati a credervi, il nihil obstat indica che questi ultimi possono ricevere uno stimolo positivo per la loro vita cristiana attraverso questa proposta spirituale e autorizza il culto pubblico […] La valutazione degli abbondanti e diffusi frutti tanto belli e positivi non implica dichiarare come autentici i presunti eventi soprannaturali, ma soltanto evidenziare che “in mezzo” a questo fenomeno spirituale di Medjugorje, lo Spirito Santo agisce fruttuosamente per il bene dei fedeli» (n. 38). L’importanza di questo passaggio è in quel «in mezzo» virgolettato. Il criterio che si adotta per rilasciare il nihil obstat non ha più a che fare con l’autenticità dei messaggi in quanto di origine soprannaturale né con la dirittura morale dei veggenti. No. Il criterio è quel «in mezzo» che dice l’azione dello Spirito Santo nelle prassi pastorali, che, seppur non fondate nella loro origine soprannaturale e/o teologica, producono buoni frutti di conversione, di riflessione, di preghiera e di vocazioni presbiterali, consacrate e laicali. Se, da una parte, l’assunzione di questo criterio è apprezzabile perché implica tutta una serie di riflessioni positive in ordine alla presenza fattiva di Dio nella storia opaca degli uomini, d’altra parte però non si può non notare che quel «in mezzo» implica anche un pericoloso «nonostante» in ordine alla soprannaturalità dell’origine, alla dottrina teologica e all’importanza di una vita morale coerente con la testimonianza cristiana. Troppi «nonostante» che rischiano di marginalizzare questi ambiti così preziosi e di separarli ulteriormente dalla prassi pastorale.
Verifica della spiritualità con la lente del Vaticano II
Non da ora, infatti, la pastorale è il luogo dove è possibile dire e fare ciò che le dottrine teologiche e morali non permettono e, nel nostro caso, ciò che non viene ritenuto soprannaturale. Il Vaticano II aveva tentato di superare il divorzio tra il dottrinale e il pastorale. Già con il discorso Gaudet Mater Ecclesia, Giovanni XXIII aveva inteso l’aggiornamento pastorale, che doveva guidare tutto il corso del Concilio, come la capacità di rivedere il «rivestimento» della dottrina. Il pastorale aveva così assunto, forse per la prima volta, una dignità importante, dismettendo i panni della cenerentola che doveva mettere in pratica, in forma deduttiva, ciò che le veniva indicato dalla dottrina. Non solo. L’aggiornamento della pastorale non implicava immediatamente la riflessione metodologica su nuovi linguaggi e su nuove forme di comunicazione. Aggiornare la pastorale era aggiornare la dottrina senza toccarne la sostanza. Purtroppo, questa lezione non è stata accolta. La ormai lunga recezione del Vaticano II ne dà contezza. Questa separazione, allora, non fa bene alla dottrina che viene chiusa all’interno dei suoi recinti tradizionali. Non fa bene neanche alla pastorale che risulta svuotata di ogni esigenza rivelativa tematizzata. Se, infatti, si afferma un’azione di Dio «in mezzo», rilevabile solo a partire dai frutti pastorali, si può certo fare riferimento allo Spirito che soffia dove e quando vuole e – se si crede opportuno – all’intuito del popolo di Dio in ordine al sensus fidei, ma tutto questo è affermato nonostante la teologia, in regime cioè di separazione con l’ambito ecclesiale che si pone come ministero proprio l’esercizio della funzione di intellectus fidei. Un’altra importante questione è data dal rapporto tra questo modo d’intendere l’agire di Dio nella pastorale e la spiritualità. Non viene infatti dato alcun giudizio sulla conformità dell’insieme sistemico dei messaggi a una spiritualità ispirata dal Vaticano II. Detto in altri termini, pur a fronte di una giustezza della corrispondenza dogmatica dei messaggi, ci si deve chiedere se in generale la loro accoglienza pratica comporti l’assunzione di un modello spirituale datato, non confacente a quanto la recezione del Vaticano II ha maturato in questi decenni. Come la pastorale non può essere sganciata dalla dottrina né essere pensata come deduzione pratica dalla stessa dottrina, ma piuttosto come una sua inculturazione concreta, così non è pensabile uno sganciamento della pastorale dalla spiritualità. E occorre riaffermare con forza che non è possibile oggi riconoscere positivamente quelle linee di spiritualità, anche sotto forma di frammenti, che sono chiaramente in contrasto con il modello ecclesiale del Vaticano II.
CARMELO TORCIVIA