Sognando insieme, in cammino
2024/12, p. 21
Il cammino di conoscenza e di dialogo ecumenico e interreligioso è un vero e proprio «pellegrinaggio spirituale». Chi ha scelto una vita monastica è chiamato ad essere un esploratore in zone che altri non hanno la possibilità di visitare, diventando così un «ponte» di riferimento per tanti.
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Testimoni
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PASSI DI ECUMENISMO
Sognando insieme, in cammino
Il cammino di conoscenza e di dialogo ecumenico e interreligioso è un vero e proprio «pellegrinaggio spirituale». Chi ha scelto una vita monastica è chiamato ad essere un esploratore in zone che altri non hanno la possibilità di visitare, diventando così un «ponte» di riferimento per tanti.
La bellissima frase del noto filosofo e teologo Martin Buber: «Ogni vita vera è incontro», mi sembra riassuma in modo splendido il sentimento più profondo che anima e alimenta il desiderio di quanti ancora, forse pochi, credono e sperano nella possibilità di continuare un cammino di conoscenza e di dialogo sia ecumenico che interreligioso. Questo desiderio, credo si possa dire, si fa più intenso, forse più puro, in quanti come me, conducendo una vita monastica, non hanno avuto la possibilità di vivere, se non per pochi o per brevi tempi, esperienze dirette di conoscenza di altre chiese, o ancora di più di altre religioni. Certamente oggi, le possibilità di conoscere sono infinite, grazie a Dio, ma il poter dialogare, e confrontarsi con esperienze di vita concreta, resta un punto unico e irrepetibile, anzi, a mio avviso necessario per cercare di uscire dal proprio piccolo spazio e intraprendere, con tutte le forze, un vero e proprio «pellegrinaggio spirituale», diventando anche in questo «pellegrini della speranza».
Il viaggio interiore e lo stile di ricerca
Attraverso molte testimonianze e riflessioni, possiamo dire che l’ecumenismo davvero non è altro che un cammino, un cammino avventuroso animato da un grande desiderio di incontrare, un viaggio che man mano avanza si fa sempre più carico di emozioni e di scoperte che permettono di aprire e dilatare orizzonti sconosciuti dell’anima, dello spirito e del cuore. In questa «avventura» ci si trova anche aiutati e confortati da grandi pionieri come, ad esempio, il monaco trappista Thomas Merton, che proprio tra le austere mura del suo monastero fu capace di porre le basi per questa grande sfida del dialogo interreligioso. Nella sua ultima lettera scritta nel settembre 1968, pochi mesi prima della sua tragica morte, avvenuta in Thailandia, dove si era recato per partecipare ad uno dei primi convegni monastici interreligiosi, così si esprimeva: «Il nostro vero viaggio è un viaggio interiore: è un impegno di crescita, di approfondimento, è un abbandonarci sempre più all’azione creativa dell’amore e della grazia nei nostri cuori. Mai come oggi è stato così necessario rispondere a questa azione. Io prego perché tutti noi possiamo farlo». Davvero, mai come oggi è necessario rispondere a questa azione, un’azione certamente voluta, sostenuta dallo Spirito Santo, che guida e attira l’anima di quanti sentono l’importanza vitale di entrare in questo dialogo, in questo «spazio sacro» che diventa un vero luogo di incontro con Dio. R. Panikar affermava con forza questo, sottolineando che: «il dialogo religioso richiede un’attitudine di ricerca profonda, una convinzione di stare camminando in un luogo sacro, di rischiare la propria vita». Parole forti, ma che si pongono come risposta al grande invito che ci è stato consegnato dal Concilio Vaticano II, specialmente dalla dichiarazione Nostra Aetate.
La solidarietà spirituale
È ancora Merton che, con tutta la forza della sua esperienza, ci aiuta a scandagliare più in profondità il senso di questa sete che dovrebbe animare quanti sono stati chiamati a una vita religiosa: «Il monaco è un ricercatore, in zone che altri non hanno la possibilità di visitare, un esploratore per gli altri, chiamati ad esplorare un’area deserta del cuore dell’uomo, in cui le spiegazioni non bastano più e nella quale si impara solo con l’esperienza che conta». Un luogo che va attraversato, dunque con l’anima tesa all’ascolto vero e profondo dell’altro, con un grande desiderio di imparare. Questo può essere fatto solo se si ha una grande convinzione della propria fede, del dono immenso che va condiviso e partecipato. Merton, ancora una volta, esprime con grande finezza il senso profondo di questo dialogo, parlando così di fronte a monaci di altre religioni: «Sono venuto come un pellegrino, desideroso non di raccogliere informazioni o fatti sulle altre tradizioni monastiche, bensì di abbeverarsi alle antiche fonti della concezione e dell’esperienza monastica. Io non cerco solamente di saperne di più in fatto di religione o di vita monastica, ma di fare di me stesso un monaco migliore e più illuminato». Davvero solo così ogni incontro, se vissuto nella sua autenticità, nella trasparenza del rapporto con l’altro, permetterà prima di tutto di conoscere meglio noi stessi, di percepire i grandi tesori di cui ciascuno è portatore, permetterà di aprirci a quel cambiamento necessario per poter creare una vera «solidarietà spirituale». I mondi nuovi che si apriranno progressivamente agli occhi del cuore faranno percepire la bellezza di questa grande avventura, quella di cercare di conoscere il mistero che anima le differenti forme di fede, i segreti dei cuori dei fedeli che, come lampade, ardono di sete dell’infinito. In una delle meditazioni tenute recentemente nel corso degli incontri del Sinodo a Roma, del 30 settembre, padre T. Radcliffe ha meravigliosamente descritto questa tensione: «La ricerca nel buio del Signore ha bisogno di tutti questi testimoni, come il Sinodo ha bisogno di tutte le vie per amare e cercare il Signore, così come abbiamo bisogno dei cercatori del nostro tempo, anche se non condividono la nostra fede».
La storia del dialogo interreligioso monastico
Questa definizione di «cercatori» illustra meravigliosamente, l’esperienza che dagli anni 1970 porta avanti una organizzazione monastica nata proprio per promuovere il dialogo interreligioso. Proprio perché la figura del monaco attraversa tutte le religioni, può diventare in modo molto concreto, ponte di riferimento. Iniziato da un impulso del defunto card. Sergio Pignedoli, nel lontano 1974 mentre era presidente di quello che oggi è il Dicastero del dialogo interreligioso, con una lettera indirizzata all’Abate primate Rembert Weakland, che sollecitava tutti gli ordini monastici, prevalentemente benedettini, ad assumere un ruolo specifico in questo campo. Nel 1978, si arrivò all’istituzione di alcune sottocommissioni europee e nordamericane che si inserirono all’interno della già esistente Alliance for International Monasticism (AIM). Da questa organizzazione erano già state messe le basi attraverso conferenze e incontri, con lo scopo di sensibilizzare i monaci e le monache in questo campo. Durante uno di questi incontri, perse la vita Thomas Merton, come sopra è stato ricordato. In seguito, venne istituito un vero e proprio segretariato indipendente a servizio del dialogo interreligioso che fu chiamato Dialogue Interreligieux Monastique Monastic Interreligious Dialogue (acronimo DIM-MID). Oggi, i suoi membri sono presenti in vari stati - sia in Europa che nel Nord America, oltre che in Australia e Corea – attraverso Commissioni che raccolgono monaci e monache di varie religioni, desiderosi di conoscersi e di lavorare insieme. Anche in Italia, la Commissione del DIM lavora con grande zelo ed entusiasmo. Sono innumerevoli le congregazioni che partecipano attivamente con uno o più monaci.
L’importanza del dialogo dell’esperienza di vita
Sono incontri fondati principalmente sull’esperienza di vita anche molto concreta, nei quali si cerca di mettere a confronto le varie prospettive, i tanti tesori che tutte le confessioni possiedono, avendo una consapevolezza ben radicata che ora è più necessario un dialogo della vita e dell’esperienza che non delle idee. Queste affermazioni, risultano ancora più forti e pregnanti di verità se sono pronunciate da chi, anche ultimamente ha vissuto e dato la vita per questo. Annalena Tonelli, missionaria uccisa in Somalia nel 2003, affermava con forza: «Il dialogo con le altre religioni è condivisione. Non c’è quasi bisogno di parole, perché è vita vissuta». Per questo, ogni anno, le varie Commissioni si incontrano. Quella italiana è formata da una trentina di monaci e monache di vari ordini e comunità, e l’incontro avviene sempre presso un monastero, alternando un luogo cristiano ad altri, di confessioni presenti in Italia: buddista (tradizione Mahayana, Theravada, Zen), induista, mussulmana (di ispirazione mistica sufi). Nel tempo, la dimensione più forte che è venuta a crearsi tra tutti è quella di una vera e solida amicizia, capace davvero di confortare e animare la vita personale di ciascuno, nella ricerca di una spendita più totale nella preghiera e nella vita di ogni giorno. L’esperienza della preghiera nei vari luoghi resta forte: come dimenticare la meditazione fatta insieme nel Sodo di un monastero zen (la parte più intima, il cuore della casa, riservato solo ai monaci ordinati e condiviso con noi perché appunto tutti monaci) o la preghiera con i fratelli e le sorelle nella moschea della Coreis a Milano, o con i monaci e le monache nel tempio induista di Altare?
Il dialogo interreligioso per la pace
Giustamente, papa Francesco nella «Evangelii Gaudium» afferma: «Questo dialogo interreligioso è una condizione necessaria per la pace nel mondo, e pertanto un dovere per i cristiani come per le altre comunità religiose». Un’antica storia cinese, narra, che un giorno il sole si frantumò in innumerevoli pezzi, lasciando il mondo nelle tenebre e nella desolazione. Un monaco, con inesauribile pazienza, si mise in cerca delle flebili luci di quei frammenti per anni e anni, fino a ricomporre il sole perduto. Questo è quanto, tutti, ma specialmente i monaci devono fare, con tutte le loro forze: cercare, raccogliere gli innumerevoli frammenti di luce (i Semi del Verbo!) e custodirli nella certezza che un giorno il sole splendido della Verità illuminerà ogni cuore. Il monaco, afferma Evagrio Pontico, è colui che è separato da tutti, ma unito a tutti. In questo sta la straordinaria e affascinante missione del monaco, tessere con la sua umile vita tele di luce e di colori, confortato dal sapere che da tanti cuori si alzano preghiere, offerte. Padre Romano Bottegal, monaco trappista amante del dialogo, vissuto come eremita e morto in Libano nel 1978, ora Venerabile, così scriveva riguardo a questa sinfonia che si alza dalla terra verso il cielo: «La preghiera è un balsamo che si espande in tutto l’universo e poiché molti pregano, il balsamo, composto da più aromi, è più prezioso ed efficace». Possa davvero crescere questa certezza in ciascuno e alimentare il desiderio di affinare sempre più una vera e propria arte del dialogo.
MARIA CRISTINA GHITTI
Piccola Famiglia dell’Annunziata (Montesole)